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Associazione culturale Neoborbonica
L'orgoglio di essere meridionali

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Home arrow Le tue lettere arrow Le tue lettere arrow Lettera a Biologi italiani sul cosidetto articolo 22

Lettera a Biologi italiani sul cosidetto articolo 22 PDF Stampa E-mail

Egregio dott. Sarappa.

 

Ho letto, sul numero di Biologi italiani di Aprile 2007, la sua risposta alla lettera del collega che si firma “Zorba il Greco”.

 

In essa lei riporta  il cosiddetto articolo 22 del Regolamento della Marina Borbonica.

 

Vorrei informarla che tale articolo è falso (come è stato ampiamente dimostrato) e che, del Regolamento della Reale Marina del Regno delle Due Sicilie (Armata di mare),  non ha mai fatto parte qualcosa di simile ad esso.

Di quell’articolo, dell’articolo del facite ammuina, in questa sede non voglio ripercorrere né la dimostrazione della sua falsità né quella della sua vera origine.

Vorrei, però, fare alcune considerazioni mie personali che prendono spunto da dati storici incontrovertibili.

 

L’Armata di mare del Regno delle due Sicilie era la terza al mondo.

 

  1. Essa comprendeva oltre 100 unità tra le quali vanno ricordati:                                                          -  2 vascelli rispettivamente con 84 e 86 cannoni;                                                              - 18 fregate, 14 delle quali a vapore; tra queste ultime la “Borbone”, nave con                     propulsione  ad elica e artiglieria “rigata”, che fu varata nel 1860;                                      - 2 corvette;                                                                                                                          - 5 brigantini;                                                                                                                         - 11 avvisi.

  2. La Marina Italiana adottò, di quella borbonica, le uniformi, il sistema delle segnalazioni e delle manovre, le ordinanze e parte del gergo.

  3. La prima corazzata della Marina militare Italiana fu il vascello corazzato ad elica Monarca, armato con 70 cannoni. Esso faceva parte della marina borbonica sin dal 1850! Era stato costruito nei cantieri di Castellammare di Stabia ed era la più grande nave da guerra mai costruita in Italia fino a quel momento!

Dunque:

    • una marina consistente come quella Borbonica in quanto a  numero di vascelli, tonnellaggio e artiglieria,  che motivo poteva mai avere per contemplare, nel proprio regolamento, un articolo che invitasse  gli equipaggi a fare ammuina in caso di necessità?

    • Se quella borbonica fosse stata, a come la raccontano, una marina veramente sgarrupata, perché la Marina militare italiana adottò da essa e non da quella del Regno di Sardegna, le soluzioni di cui al punto 2?

    • Stessa considerazione per la corazzata Monarca…

In somma: un’armata di mare che si fosse basata su un articolo come quello da lei citato, come avrebbe potuto avere qualcosa di buono da lasciare in eredità alla Marina unitaria!?  

A rigor di logica, avrà notato, i fatti non concordano con quanto raccontato.

È d’uopo chiedersi, però, come mai una marina potente come quella borbonica, non riuscì a fermare, nel  Tirreno, i due vapori a ruota Piemonte e Lombardo (vere carrette del mare dell’epoca!) partiti da Quarto e diretti a Marsala. La risposta, anche se implicita, nella considerazione di una mente tanto acuta quanto onesta e schietta:

<<Quel che non capirò mai (salvo aiuto inglese, o tradimento dei comandanti napoletani) è come il Re, con ventiquattro fregate a vapore, non abbia potuto guardare tre quattrocento miglia di costa. Una fregata ogni venticinque miglia, faceva dalle dodici alle sedici fregate…>> (Massimo d’Azeglio, lettera a Persano).

Le parole di D’Azeglio finiscono per confermare quanto dai dati già dimostrato: non potendosi vincere in battaglia la flotta Borbonica neanche affrontandola con quella sabauda, si fu costretti ad operare anziché col piombo dei cannoni con … l’oro (prevalentemente in piastre turche) e con la carta delle fedi di credito alcune delle quali opportunamente falsificate al rialzo (…la qual cosa si ripeté anche nelle “battaglie” e nelle “conquiste” sulla terra ferma a partire da quel di Calatafimi[1]. E infatti, al di là dei numerosi dati documentali che vanno emergendo, è di nuovo D’Azeglio ad illuminarci:  Quando si vede un regno di sei milioni ed un’armata di centomila uomini, vinta colla perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire, capisca”. Così, il 28 settembre 1860, scriveva al nipote Emanuele[2]).

Per ritornare alle questioni di natura più squisitamente marinaresca  è da ricordare che sono stati patrimonio delle Due Sicilie anche:

  • la prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo(1836). Essa svolgeva un servizio regolare e periodico, compreso il trasporto della corrispondenza.

  • la prima flotta della penisola italiana giunta in America e nel Pacifico.

  • il primo codice marittimo italiano (1781)

  • la prima convenzione postale marittima d’Italia (è da ricordare anche che, ad unità avvenuta, quando fu bandita la gara per assegnare la convenzione postale marittima, le compagnie meridionali non furono invitate  e solo a Napoli se ne contavano oltre venti!).

  • il primo vascello a vapore del Mediterraneo: il Ferdinando I. Costruito nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena, presso Napoli, fu anche il primo al mondo a navigare per mare. Fu varato il 24 giugno del 1818, quattro anni prima che l’Inghilterra mettesse in mare il suo Monkey (1822). Il Ferdinando I suscitò tanto entusiasmo che molti pittori lo immortalarono nelle loro tele.

  • la prima crociera turistica del mondo nel 1833.  Fu fatta con il Francesco I che,varato nel 1831, copriva abitualmente la rotta Palermo, Civitavecchia, Livorno, Genova, Marsiglia. Questa crociera (che precedette di 50 anni le altre che la seguirono) durò tre mesi: da Napoli a Costantinopoli e ritorno. Alcuni commenti: “Non si fa meglio oggi“ e “Il Francesco I è il più grande e il più bello di quanti piroscafi siansi veduti fin d’ora nel Mediterraneo, gli altri sono inferiori, i pacchetti francesi “Enrico IV” e “ Sully” hanno le macchine di forza di 80 cavalli (mentre la macchina del Francesco I è di 120) … i due pacchetti genovesi si valutano poco, il “Maria Luisa” (del Regno di Sardegna) è piccolo, la sua macchina non oltrepassa la forza di 25 cavalli, e quantunque una volta siasi fatto vedere nei porti del Mediterraneo, adesso è destinato per la sola navigazione del Po.” (Eh…quando si dice l’ammuina!!!)

  • la prima nave della Penisola ad avere la propulsione ad elica: il “Giglio delle onde”.

  • la prima nave della penisola che arrivò a New York: il Sicilia che, nel 1854, impiegò 26 giorni di navigazione… e fu l’inizio di un proficuo scambio commerciale. La bilancia commerciale delle Due Sicilie era, con gli Stati Uniti,  fortemente in attivo e il volume degli scambi era quasi il quintuplo rispetto a quello del Piemonte. Nei porti francesi la flotta delle due sicilie era la seconda per numero di navi presenti. A Londra, solo per fare qualche altro esempio, esportavamo (dal Regno dei Borbone) guanti, la carta su cui era stampato il Times ecc.ecc.

  • In Italia, il primo cantiere navale con bacino di raddobbo in muratura fu quello di Napoli. Ad unità avvenuta, il bacino in muratura fu chiuso e sostituito da un altro costruito a  Livorno (…il che rende evidente come ci fosse – sin da subito! – una gran voglia di risolverla, la Questione meridionale. Ma, a proposito: è sicuro che allora già ci fosse!? Un dubbio sorge spontaneo, non crede!?[3]).

  • Il cantiere navale più grande della Penisola e dell’intero Mediterraneo: quello di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai; esso rivaleggiava con quelli di Londra e Anversa. Ad unità avvenuta vide ridurre fortemente le sue commesse, cosa che accadde regolarmente per tutti gli altri opifici (si pensi a Pietrarsa, a Mongiana, ad Egg  ecc)  ed attività di quello che era stato il Regno dei Borbone molte delle quali, poi, finirono per chiudere...

  • Ecc

Ecco: se proprio i Borbone avessero voluto far bella figura con i regnanti stranieri in visita a Napoli (come lei afferma nella sua risposta), che motivo avevano di far fare …”casino”, ammuina agli equipaggi delle navi in rada? Bastava che lasciassero alla fonda – …che so? – il Monarca, il Giglio delle onde, il Francesco I o lo stesso Ferdinando I. Ne avevano a iosa, potevano pure permettersi i lusso di lasciarne qualcuno in porto per pavoneggiarsi….qualora ne avessero sentito la necessità, il che non mi sembra che fosse!

 

In somma: anche in questo caso, i fatti smentiscono la vulgata

 

In ogni caso i dati citati, ed altri ancora non riportati ma riguardanti le attività non marinaresche (produttive, culturali, sociali ecc) del Regno delle Due Sicilie, vanno ben al di là della semplice questione del (falso) articolo 22, stridendo fortemente con l’immagine sgarrupata di una Monarchia, di un Regno e del suo Popolo tramandataci (“tramandataci”? Costruita non le sembra più appropriato!?) da una storiografia che definire strabica è poco.

È da concludere, dunque, che di ammuina autentica, anche paludata, ne sia stata fatta molta, troppa …  non dai marinai borbonici, però!

Non crede, quindi, che sia giunto il momento di cominciare a dirci qualche verità?

 

Ora mi accomiato da lei, ma mi piace farlo con le parole che Nitti, qualche anno dopo la “raggiunta unità”, riservò al Popolo che fu delle Due Sicilie: <<Povera gente, così forte e così infelice, così buona e così calunniata>>.

 

Ecco: non ci si metta pure lei...Grazie.

 

Un cordiale saluto

Dr. Fiorentino Bevilacqua

 

 



[1] << Questo personaggioGaribaldi  non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie>>. Vittorio Emanuele II in una lettera a Cavour scritta dopo l’incontro di Teano.

[2] Maxim du Camp, a proposito della spedizione dei Mille, parlò di … “Passeggiata militare, stancante  è vero, ma senza rischio alcuno”.

[3] -- <<Con la fine del regno di Napoli, con l’annessione dell’Italia meridionale al resto d’Italia, ha termine la sua storia…senza l’Italia meridionale, quella del settentrione si sarebbe ristretta a una vita angusta e piccina; che nel Mezzogiorno, l’industria del settentrione ha trovato il suo mercato, mentre esso, con l’unità, ha visto sparire quanto possedeva d’industrie locali>>     (Benedetto Croce)

-- <<…l’unificazione del debito pubblico ha fatto gravare anche sul Mezzogiorno il peso di una consistente passività che apparteneva in gran parte all’ex regno di Sardegna … Il corollario di questa analisi è che la stessa industria centro settentrionale, sorta su queste basi parassitarie e malsane, non aveva capacità di espansione ed  aveva come condizione permanente di vita l’inferiorità del Mezzogiorno …>>  (Rosario Villari, L’interdipendenza tra Nord e Sud, 1977).

-- <<L’Unità d’Italia … è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali>>  (Giustino Fortunato, lettera n° 89 del 2 settembre 1899 indirizzata a Pasquale Villari)

-- <<Il tesoro del regno delle Due Sicilie rinsanguò le finanze del nuovo Stato, mentre l’unificazione del debito pubblico aggravò sensibilmente la situazione meridionale, dato che il Piemonte e la Toscana erano indebitai fino ai capelli e il regno sardo era in pieno fallimento. L’ex regno delle Due Sicilie, quindi, sanò il passivo di centinaia e centinaia di milioni di lire del debito pubblico della nuova Italia. >> (Francesco Saverio Nitti)

ecc ecc

…Com’era quella storia del Grido di dolore che si sarebbe levato (anche) dal Sud borbonico prima dell’Unità!?!?

 

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