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L'orgoglio di essere meridionali

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Da Meridionale a Duosiciliano PDF Stampa E-mail

Da Meridionale a Duosiciliano.

 

Un amico, sentendomi parlare, mi ha chiesto quale differenza c’è tra Meridionale e Duosiciliano.

Gli ho risposto dicendogli quello che io, pur non volendo dare patenti a nessuno, penso in proposito.

 

Meridionale, secondo me, è colui che, cittadino del Sud (che sia emigrato o meno altrove poco, si fa per dire, importa) guarda al Sud di oggi, ai suoi mali, alla sua condizione e, messesi le mani nei capelli, si vergogna di esserne figlio e/o cittadino tanto da desiderare di andarsene via al più presto o da negare, persino, di avervi avuto i natali.

Questa sua vergogna, in fondo, questo suo desiderio di scappare via è una dichiarazione di impotenza, una dichiarazione di resa di fronte ad una realtà considerata immodificabile, non migliorabile. Da questo ne discende, logicamente, una sorta di prova, di testimonianza che dà credito alla teoria di quanti pensano che ci sia qualcosa di connaturato alla nostra Gente, al nostro clima, alla Terra in  cui viviamo che rende impossibile fare qui qualcosa di buono anche  utilizzando  modelli e strategie già ampiamente sperimentati ed applicati altrove con successo.

Insomma:  sarebbe, secondo questa lettura, come voler piantare, con le migliori tecniche dell’agricoltura moderna, fagioli nel Sahara e lupini in Antardide sperando di averne un copioso raccolto. Noi del Sud, secondo questo infondato, strumentale razzismo, saremmo il Sahara o l’Antartide delle più proficue tecniche economico – sociali (non so come meglio definirle) che qui non possono dar frutti per colpa, ovviamente, nostra..

Così non c’è speranza. Così possiamo solo piangerci addosso e augurarci, per il bene dell’Umanità,  la nostra distruzione. Chissà che come atto di catarsi estrema non serva a riscattarci… (ma neanche questo, credo, ci sarebbe concesso perché pregherebbero per noi, per la nostra sopravvivenza, quelli che di noi, così come ci vogliono e siamo dal 1860, hanno bisogno).

Questo, secondo me, è il meridionale più negativo. Non me ne voglia nessuno, ma non lo considererei neanche più tale[1]: egli, infatti, è l’inconsapevole frutto (e strumento!) della politica che tale ci ha voluti e ci vuole tuttora.

D’altra parte c’è chi, invece, spera proprio nell’applicazione risolutiva (a suo dire) di modelli altrove funzionanti. Secondo me si tratta di persone che, volendo ignorare dinamiche economico – sociali la cui vera origine storica è ormai alla portata di tutti, finiscono per creare ulteriori disillusioni, altra disperazione e sconforto sociale che confermano e ingrossano le fila del meridionalismo di cui al punto precedente.

Come se ne esce?

Cominciando con l’identificazione vera e piena delle cause che a tanto hanno portato.

Questo, da solo, non basta: ci sono cose ormai radicate alcune delle quali causate  da sdoganamenti (di terze colonne,  Sangiovannare  ecc.) che mai avrebbero dovuto avvenire. Ma già riconoscerne le strumentali origini storiche, risorgimentali, è un  grande passo avanti e un punto di partenza.

Proporre questo punto di vista è difficile: bisogna procedere per gradi. Non è facile impattare una persona e dirgli d’acchito che  il risorgimento è stato questo, i savoia quell’altro ecc. Lo choc dell’impatto potrebbe avere effetto contrario a quello desiderato. E, poi, non bastano una o poche affermazioni sporadiche in un bailamme di ufficialità di tenore filo-risorgimentale…

Scoprire certe verità, ho detto a questo amico, può dare fiducia in se stesso, alla sua terra e alla sua gente a chi, meridionale senza speranza, fiducia non ne ha più. Così facendo egli (il meridionale cioè) scoprirebbe di cosa è capace (l’idiozia del clima e del DNA aspetto ancora che qualcuno la dimostri) se ben amministrato, se trattato come parte viva di uno stato sovrano e non come cittadino di una colonia sia pure interna.

 

Questa amministrazione positiva la avemmo fino al 1860, quando qui regnavano i Borbone[2].

Non era il Paradiso in Terra, ovvio, ma se questo non era il Paradiso, il Regno di Sardegna con la sua pellagra, con la sua altissima mortalità infantile, i debiti spaventosi nel confronti di banchieri inglesi ecc ecc. ecc. ecc., era molto più simile ad un Purgatorio tendente all’Inferno.

Insomma: se amministrati non da rapina, ben guidati (come lo fummo l’ultima volta ai tempi dei Borbone) e liberi (ma proprio liberi da tutto, anche da politici … strabici!) di dare sfogo alle proprie  potenzialità (senza orpelli di qualsivoglia natura, Gomorra docet), anche noi siamo in grado di essere, come già siamo stati, dignitosi e ricchi (e noi stessi modello) al cospetto delle altre Nazioni del mondo.

Un meridionale che ragiona così, che sente così,  che ha riconosciuto le cause storiche della situazione attuale e le forze che oggi ancora operano per mantenerla così, un meridionale che, trasformandosi, ha riconosciuto i meriti della Casa che allora regnava su queste Terre e prova amore e sofferenza per esse è, secondo me, un Duosiciliano…e chi diventa Duosiciliano non cesserà più di esserlo: lo sarà fino alla fine dei suoi giorni, comunque viva questa sua Duosicilianità riconquistata.

L’inevitabile punto di arrivo (e di partenza!) di questo percorso, la sintesi di questo processo è, se vogliamo,  la consapevolezza che la questione meridionale è il frutto di ciò che ci hanno spacciato per risorgimento. Questa consapevolezza è il punto di partenza per il vero rinascimento del Sud, rinascimento reso necessario proprio da ciò che, grazie ad una dose massiccia e continua di sfacciataggine strumentale, viene definito  risorgimento.

Un po’ gli costa, al meridionale che si trasforma, è ovvio, perché tutto ha un costo. Ma accettare di pagare questo prezzo lo eleva e gli dà vere speranze di un futuro migliore.

Qual è il costo? La sofferenza che gli nasce dentro per una cosa che ha imparato ad amare pur con tutte le sue storture attuali, una cosa dalla quale non vuole più fuggire e su alcuni aspetti della quale  ha deciso di non chiudere più gli occhi anche se questo significa mettere in discussione certezze quasi imprintate (lorentzianamente parlando) dall’educazione scolastica e mediatica, messa in discussione che può generare, almeno inizialmente, inevitabili conflitti interiori fonte di ulteriore turbamento (altra cosa sarebbe il giovanetto che, educato alla Verità storica sin da piccolo, diviene Duosiciliano senza passare per la fase di meridionalità: ovviamente non vivrebbe mai di questi conflitti e guarderebbe al meridione di oggi come ad una naturale fase di transizione verso l’inevitabile Duosicilianità che sarà … che risarà).

Avere di questi conflitti[3] per un meridionale adulto di oggi, è, eventualmente, un altro  prezzo da pagare per essere libero, per diventare Duosiciliano … ma è pur sempre, e solo, il primo passo.

Meridionale deve tornare ad essere, almeno per noi, nient’altro che una connotazione di tipo geografico relativa (meridionale = che sta a sud di qualcos’altro) e non più una connotazione socio-economica e di popolo, per giunta NEGATIVA. Ai tempi dei Borbone eravamo meridionali … geograficamente parlando (ma anche settentrionali, orientali, occidentali sempre geograficamente parlando) ma non avevamo affatto connotazioni socio economiche negative.

Ma che cos’è questa …cosa? Qualcosa che, grazie alla scoperta del passato, va prendendo man mano nuova forma, nuove positive caratteristiche e dolorose connotazioni. È sempre la stessa Terra, ma grazie a questa scoperta non è più colpevole di averci dato un clima che gli idioti (perdonatemi) ritengono ci condanni a tanto squallore.

Se gli idioti avessero ragione avremmo dovuto essere squallidi anche prima del 1860, il che non è.  E’ sempre fatta, questa cosa, della stessa gente meridionale da cui, però, non è più necessario  “sparentare” perché si teme di averne lo stesso DNA colpevole di portare qualche cattivo gene responsabile di tanto cattivo esistere, gente da cui non è più necessario fuggire via per timore di un contagio dagli effetti comportamentali  socialmente malefici. Se gli idioti avessero ragione, e poiché i geni non si perdono come i capelli e non si acquistano come i foruncoli (trasmissioni orizzontali a parte), se questi geni li avessimo oggi e sin da subito dopo il 1860, li avremmo avuti anche prima di quell’anno e saremmo stati squallidi anche allora … il che non è.

Un anno, il 1860 nel nostro caso, non può fare acquistare geni cattivi ad una popolazione di circa dieci milioni di individui, ma una pessima amministrazione da rapina sì[4], per quella un anno basta e avanza se si sostituisce l’esistente col …nuovo malintenzionato.

E allora, se non siamo squallidi per via del clima o del DNA (come anche tra noi del Sud alcuni credono) e abbiamo scoperto che prima dell’unità eravamo in linea (e ai primi posti) con le altre Nazioni, questo ci inorgoglisce, ci dà fiducia nelle nostre forze … ma la consapevolezza di come e perché siamo diventati ciò che siamo ci procura, inevitabilmente, un po’ di risentimento, e il confronto dell’oggi con quello che siamo stati ieri ci dà sofferenza, altra sofferenza.

Anche questo è un prezzo da pagare, un prezzo da  aggiungere agli altri.

Sentire uno che ti magnifica le acciaierie di quel posto lì, al centro nord o al nord, e sapere che hanno aperto dopo la chiusura di quelle del Sud, Sud che ora senti dolorosamente tuo, ti fa soffrire. Ti fa soffrire perché ora sai che la tua miseria, che non esisteva prima dei fatti che ti hanno spacciato (aggiungendo danno al danno)  per fraterno aiuto, è servita a creare l’opulenza e l’orgoglio altezzoso dell’altro che non ne ha colpa, è vero, perché è un fratello di terza, quarta generazione e non ha scelto lui certe politiche … ma che almeno le conoscesse e se ne sentisse  un po’ meno fiero. Questo è il prezzo che anche lui, fratello del Nord, deve pagare … per tentare, se possibile, la via di una riconciliazione almeno morale. La vera catarsi, tocca a loro farla, altro che commemorazioni garibaldine e visite dei savoia: queste ultime le accetterei (speranza neanche coltivata: non sono tanto ingenuo!) solo se accompagnate da atti espiatori di costrizione!

Per i fatti, poi, di natura economica, politica, gestionale del futuro, fatti concreti da attuare necessariamente per cambiare veramente e in meglio le cose qui da noi, per noi, il discorso è tutt’altro e non basta una eventuale riconciliazione fatta di pacche sulle spalle e dolorosi, eventuali  mea culpa. Non mi ci addentro, ma credo sia qualcosa ancora più difficile da raggiungere rispetto alla riconciliazione morale. Troppe grandi le forze in gioco (che, fosse per loro, eviterebbero anche la riconciliazione morale: grimaldello per aprire, anche dalla loro parte, la porta di una vera, rispettosa[5], accettabile fratellanza)… alle quali possiamo rispondere, però,  con una grande, diffusa, potenziale energia: una grande coscienza di Popolo. 

Basterà, perché da essa nascerà quanto serve.

 

Viva il Sud Duosiciliano.

 

Futuro

 



[1] Da questo sì, forse sparenterei se non avesse la possibilità di riscattarsi con una presa di coscienza storica e civile.

[2] <<…Bisognava leggere le istruzioni agli intendenti delle province, ai commissari demaniali, agli agenti del fisco per sentire che la monarchia sta parlando dei Borbone, non dei Savoia - cercava basarsi sull’amore delle classi popolari. Il re stesso scriveva agl’intendenti di ascoltare chiunque del popolo; li ammoniva di non fidarsi delle persone più potenti; li incitava a soddisfare con ogni amore i bisogni delle popolazioni>> Francesco Saverio Nitti … e se lo dice lui…

[3] Questi conflitti, però, hanno vita breve: la caduta dei miti risorgimentali, lo svelarsi della loro falsità, avviene ad opera della riscoperta di qualcosa, le Duesicilie borboniche, che genera  un forte senso di dignità, di orgoglio individuale e di Popolo che, operando una immediata, istantanea sostituzione del mito infranto, annulla i conflitti… che possono riaffacciarsi, è vero, in particolari occasioni, a proposito di qualcosa che da quei fatti risorgimentali nacque … ma anche questo ha vita breve.

[4] “…La falsità non diventa verità perché viene asserita da uno statista o da un re e il furto non cessa di essere disonesto e disonorevole quando il bottino è un intero regno  così si esprimeva, a proposito delle vicende risorgimentali che coinvolsero il Regno delle Due Sicilie e l’Italia intera, Patrick K. O' Clery (1849-1913), storico, volontario nelle fila pontificie, deputato alla Camera dei Comuni.

[5] “…La Rivoluzione italiana, non ha portato al Bel paese, di cui si è impossessata, la prosperità ed il progresso che gli uomini del 1859 e del 1860 avevano promesso, ma al contrario una miseria e decadenza costanti e generali. ..c’è una differenza tra le riforme operate da veri statisti e l’unità costruita per mezzo della cancellazione delle libertà e delle istituzioni locali, la riduzione di tutto lo Stato ad un sistema burocratico centralizzato, è un’unità che porta con se i germi della propria distruzione. Non si saprà mai quanto l’Italia avrebbe guadagnato se, invece di essere trascinata con violenza all’unità voluta da Cavour, fosse stata unificata da un sistema federale, tale da non soffocare le autonomie locali del Sud, del Centro e del NordPatrick Keyes O’ Clery

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