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Associazione culturale Neoborbonica
L'orgoglio di essere meridionali

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Ministeri "padani"? A Napoli già i nostri ministeri

Mentre la Lega Nord festeggia i ministeri istituiti in “Padania”, mentre i politici di maggioranza come di opposizione, del Sud come del Nord, continuano a dimenticare le vere, drammatiche e tuttora irrisolte questioni meridionali, è già attivo a Napoli il “Parlamento delle Due Sicilie” con i suoi “deputati”, i suoi “ministeri” e i suoi atti regolarmente depositati in una sede nel centro storico dell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie (www.parlamentoduesicilie.it). Il Sud è sempre meno rappresentato e difeso a livello politico come a livello economico e culturale. In 150 anni di Italia unita, tra la retorica di una storiografia ufficiale sempre meno credibile e la totale incapacità di classi dirigenti meridionali sistematicamente subalterne ad un sistema nord-centrico, i meridionali sono costretti a sopportare le umiliazioni e i danni di un Paese sempre più diviso, come dimostrano tutti gli studi relativi a PIL, occupazione, emigrazione soprattutto giovanile o servizi pubblici. E’ urgente e necessario, allora, al di là di veri o falsi “partiti del Sud”, formare classi dirigenti finalmente fiere,

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In ricordo di Otto D’Asburgo

Non vorrei sbagliare ma la stampa napoletana lascia quanto meno a desiderare: il maggior quotidiano della città non ha ritenuto opportuno notiziare la morte dell’ultimo imperatore d’Austria avvenuta in un piccolo villaggio della  Baviera, terra a noi particolarmente cara, per aver dato i natali alla nostra Regina Sofia che Iddio abbia in eterna gloria. Con Otto d’Asburgo è andata via una pagina della storia dell’Europa. Egli ha ben interpretato nella sua lunga vita una tradizione senza la quale nessuna costruzione politica potrebbe reggersi. I suoi conoscitori nella sua persona hanno potuto osservare l’evolversi degli accadimenti che nel bene e nel male hanno caratterizzato il vecchio continente. Un giornale non napoletano ha delineato la persona del defunto fin da quando bambino di appena quattro anni seguiva il feretro dell’Imperatore Francesco Giuseppe, fra il seguito oltre ad esserci il padre Carlo, che appena pochi anni or sono ha avuto la gloria dell’Altare, vi era la madre Zita ramo Borbone Parma. Dal triste evento che in quel lontano 1917 colpì l’Impero Austro- Ungarico fu possibile immaginare che da li a poco la grande unione di popoli sarebbe andata in frantumi. La famiglia imperiale fu costretta a un lungo esilio e alle diplomazie vincitrici non parve vero il calpestare impunemente la parte perdente. Francia e Inghilterra si distinsero, la prima spinta da odio atavico contro la dinastia asburgica la seconda forte di una diplomazia bugiarda e perversa convinse il deposto imperatore a scegliere la via dell’esilio. In precedenza, visto l’attaccamento della famiglia imperiale al suolo patrio fu effettuato il tentativo di reingresso di tutta la famiglia asburgica in Ungheria ma non fu permessa la residenza quantunque il titolo di re di Ungheria era indipendente dalla qualifica di imperatore d’Austria. Era nel destino che Il suolo portoghese avrebbe accolto la famiglia errante. Disagi, privazioni e quasi al limite della povertà furono le compagne che segnarono la famiglia. Una nave inglese dopo aver effettuato una lunga rotta nel Mediterraneo si portò nel basso atlantico e sbarcò il deposto imperatore e la consorte Zita nell’isola di Madera. Il governo portoghese mise a disposizione degli esuli la villa confortevole di Fuchal ma per ristrettezze economiche nelle quali versava la famiglia essi per esigenza furono costretti a abitare in un’altra modesta abitazione a Villa Quinta del Monte situata in luogo alto e dove non vi era neppure l’energia elettrica, un solo bagno serviva una vasta famiglia. L’umidità della zona, il freddo fecero si che minassero la vita dell’imperatore che colpito da polmonite lasciò serenamente questa terra spirando nel segno della cristianità confortato dalla tenera consorte Zita. Il giovanetto Otto di appena nove anni così ricordava quel tragico evento. Il suo corpo soffriva tanto, ma lo spirito era calmo. I funerali dell’imperatore furono improntati alla semplicità estrema. La bara poggiata su un carretto a due ruote fu portata al cimitero trainata da gente del luogo. Tutto sembrava precipitare, quando la giovane vedova Zita decise di li a poco che il primogenito dovesse avere una educazione consona al ruolo che in un domani avrebbe potuto ricoprire, secondo il suo pensiero l’Austria aveva gran bisogno di una guida asburgica. Di li a poco tutto l’enturage familiare si rivolse a Otto con l’appellativo di maestà. Mercè l’interessamento del re di Spagna la famiglia si trasferì in quella nazione e Zita fece in modo che il giovane Otto potesse ricevere la formazione studentesca da primari intellettuali fatti venire apposta dall’Austria e Ungheria. Otto ebbe così modo di conoscere e amare il suo popolo tedesco e ungherese unitamente agli altri che si affacciavano sulle rive del Danubio. Gli anni trascorrevano, avvenimenti nella vecchia Europa non erano rari, in Italia il fascismo aveva preso il potere, anni dopo la Germania aveva cominciato a conoscere il nazismo, la piccola Austria era lacerata da sentimenti filo germanici che lasciavano intravedere l’unione dei popoli di idioma tedesco, spinte contrarie erano anche
rilevanti. Si era giunti al 1928 quando il sedicenne Otto stava per completare il liceo, la famiglia viveva fra il Lussenburgo e il Belgio dove a Lovanio Otto avrebbe terminato gli studi. Un evento da ricordare fu il compimento dei 18 anni che fu festeggiato alla maniera austriaca e per il solenne avvenimento giunsero delegazioni dall’Austria e dall’Ungheria che resero omaggio al giovane maggiorenne. Nella sua amata Austria intanto si alternavano vari governi che avevano tutti una effimera durata. Fino a quando fu nominato cancelliere Dolfuss che ebbe l’appoggio particolare dell’Italia che temendo l’ingrandirsi della Germania ne appoggiò l’ascesa. Dolfuss fu assassinato poco dopo e il cancelliere che lo sostituì chinò il capo alla potenza germanica. L’Austria perse l’indipendenza divenendo di fatto parte del Reich col nome di Marca Orientale. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la famiglia imperiale trovò asilo negli Stati Uniti. Otto ebbe modo di essere apprezzato conferenziere difendendo in ogni occasione la sua patria. Quello che venne in seguito appartiene all’odierno c’è da aggiungere che Otto e la famiglia rinunciarono a pretese sul trono d’Austria, e rientrarono nella loro terra. Dal 1974 fu membro del Parlamento Europeo eletto nella CDU tedesca e si è sempre battuto per i popoli che fecero parte del vecchio impero. Oggi le sue spoglie riposano a Vienna nella Cripta dei Cappuccini mentre il suo cuore è tornato in Ungheria come sempre ha voluto la prassi.E’ con dolore che noi neoborbonici inchiniamo la nostra bandiera. N.B. Alcune notizie sono tratte dal libro di Tamara Griesser Pecar – Zita l’ultima imperatrice d’Austria Ungheria- Ed Libreria editrice goriziana 2009
Felice Abbondante        
PER COMMENTI, OSSERVAZIONI, RIFLESSIONI:  neoborbonici@neoborbonici.it

Divario Sud/Nord:hanno ragione i neoborbonici

E’ stato appena pubblicato un volume a cura dello SVIMEZ:  “150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011”. Secondo la recensione del Sole 24 Ore conterrebbe “grafici e statistiche che annichiliscono le discussioni, spesso venate di ideologia, fra neoborbonici e nordisti con tendenze anti-unitarie”. In realtà conferma, al contrario, che i “neoborbonici” avevano e hanno ragione quando rivendicano la necessità di ricostruire la storia dell’unificazione italiana in maniera seria ed obiettiva e lontana dalla retorica e (questa volta sì) dalle “ideologie” o patriottico-risorgimentalistiche o nordiste. Il primo dato è quello diffuso già nei recenti studi a cura del CNR e dell’Università di Catanzaro: all’atto dell’unificazione non esistevano differenze nel PIL e nella capacità di creare ricchezza negli stati preunitari (con buona pace di intere generazioni di intellettuali ufficiali che hanno sempre sostenuto la tesi della “arretratezza del Regno delle Due Sicilie”). Solo dopo l’unificazione il PIL diventa diverso “fino a stabilizzarsi in una forchetta compresa fra il 50% e il 60% rispetto al Centro-Nord” (con buona pace degli stessi intellettuali che hanno esaltato tutti gli innumerevoli vantaggi derivati dall’unificazione presso i popoli meridionali). Secondo dato: nel 1861 gli addetti impegnati nell’industria meridionale sono 1,25 milioni: la percentuale della popolazione attiva che si dedica alla manifattura [nell’ “arretratissimo Regno dei Borbone”] è  addirittura superiore con il 22,8%, contro il 15,5 per cento del Centro-Nord”. Altro dato significativo e drammatico: “in centocinquanta anni, l’industria al Sud non supera gli 1,7 milioni di occupati mentre nel resto dell'Italia si arriva in maniera graduale a 5,8 milioni. Al Sud, quasi che il tempo si sia fermato, continua oggi a lavorare nella manifattura una persona su cinque. Come centocinquanta anni fa”. Soprende poco, allora, che le banche si riducano progressivamente nel Sud per aumentare al Nord (fino al recente smantellamento del Banco di Napoli). E sorprende poco anche che la differenza tra le linee ferroviarie si assesti oggi, dopo 150 anni, “a 46,6 chilometri al Sud rispetto ai 61 chilometri ogni mille chilometri quadrati del Centro-Nord” (e c’è ancora chi fa risalire ai Borbone il “gap ferroviario” dimenticando che si preferirono già a quel tempo “le vie del mare” con lungimiranza e per ovvie necessità territoriali).  Si chiude con delle considerazioni quanto mai attuali e legate ad uno dei temi ricorrenti nei cosiddetti “ambienti neoborbonici”: il Sud diventò il mercato del Nord, come confermano lo stesso Sole e lo SVIMEZ: “senza i consumatori del Sud, le merci del Nord sarebbero potute andare soltanto al di là delle Alpi” o, in maniera ancora più chiara e definitiva: “non sarà un caso se, oggi, il 40% di quanto si produce al Nord finisca al Sud e se il 63% di ciò che si spende al Sud vada al Nord”. E decisamente non  possiamo che concordare sulla scarsa casualità di certi dati che andrebbero riferiti a chi punta il dito contro il “Sud che spreca i soldi del Nord”. Il Sole 24 Ore, infine, si pone una domanda (senza rispondersi) che lascia alquanto sconcertati: “per quale ragione il divario fra il Sud e il resto del Paese cresce?”. Forse per le scelte scellerate dei governi nord-centrici con la complicità colpevole e interessata (e forse senza alternative) delle classi dirigenti meridionali? Forse vorrà dire qualcosa che da allora ad oggi “l’industrializzazione del Sud è segnata dalla prevalenza della politica sull’economia e dalla presa dei partiti sui grandi gruppi pubblici”?Risarcimenti, secessionismi, nostalgismi, antiunitarismi o terronismi? Tutto secondario: si tratta solo di raccontare la verità storica a quanti continuano a non rappresentare il Sud in maniera dignitosa e concreta nel nome dell’Italia unita o delle fantasiose teorie del “Sud palla al piede” o “saccheggiatore del Nord” (come sostenuto dai Ricolfi, dai leghisti della prima e dell’ultima ora ma anche da molti opinionisti e politici di destra e di sinistra, del Nord o, addirittura, del Sud...). Se non partiamo da questi dati non possiamo progettare quella reale “par condicio” Nord-Sud auspicata da chi davvero ama la nostra terra e non formeremo mai quelle classi dirigenti adeguate che aspettiamo da un secolo e mezzo.

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