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La poltica economica ed il Meridione PDF Stampa E-mail
Da: Il Sole 24 Ore del 25 Gennaio 2006 ? pag. 10

?Nessun altro economista come John Maynard Keynes ha esercitato per lungo
tempo, nel corso del 900, un?influenza cos? pervasiva sulla cultura politica
e l?opinione pubblica.
E ci? in virt? di un?opera destinata a far scuola come la Teoria generale
dell?occupazione, dell?interesse e della moneta, comparsa giusto
settant?anni fa, nel gennaio 1936, nel mezzo della Grande crisi, innescata
dal crollo nel 1929 di Wall Street, che sembrava dovesse mettere fine al
sistema capitalistico.
La terapia proposta da Keynes era estremamente semplice ma rivoluzionaria
alla luce dei canoni dell?economia classica. Dato che, avendo individuato
nel sistema un?insufficienza strutturale di investimenti come causa
fondamentale della recessione , egli proponeva di affrontarla mediante una
politica di deficit spending (seppure in termini tali da non generare una
spirale inflazionistica) che accrescendo la domanda globale a un livello al
quale le risorse fossero pienamente utilizzate, ricostituisse le condizioni
per un incremento della produzione e dell?occupazione.
A suo giudizio, non ci si poteva aspettare che gli automatismi del mercato
fossero in grado da soli di superare la depressione. Quanto alla copertura
degli investimenti di cui lo Stato avrebbe dovuto farsi carico per
compensare la contrazione di quelli privati, egli riteneva che i conti
pubblici sarebbero tornati in sesto grazie alle maggiori entrate
conseguibili con la ripresa economica.
Quel che Keynes proponeva non era perci? la sostituzione del mercato con il
piano, bens? un intervento dello Stato che (privilegiando comunque gli
investimenti a redditivit? differita e quelle funzioni estranee per lo pi?
al campo d?azione degli operatori privati) contribuisse a garantire il
rilancio del sistema economico e dell?occupazione, nonch? una ripartizione
pi? equa dei redditi.

Fatto sta che quella sorta di et? aurea dell?economia occidentale che si
prolung? per quasi un trentennio dalla fine dell?ultima guerra, rec?
sostanzialmente l?impronta del keynesismo, in quanto caratterizzata da
politiche governative volte ad assecondare, tramite la leva fiscale e la
spesa pubblica, l?espansione degli investimenti, la crescita della domanda
aggregata (fra beni strumentali, di consumo e servizi) e il raggiungimento
del pieno impiego.

Poich? essi si tradussero in un?azione dei poteri pubblici che, sostenendo o
stimolando i livelli della domanda e dell?attivit?, in sintonia con una
crescita della produttivit?, valse a creare condizioni tali da rendere
possibili sia il principio del diritto al lavoro che una maggiore equit?
distributiva e l?istituzione di nuove forme di protezione sociale.

Senonch? quel che avvenne dalla prima met? degli anni 70 segn? il tramonto
delle politiche d?ispirazione keynesiana, in quanto sopraffatte da una
catena di profonde scosse sussultorie, dovute sia alle vistose fluttuazioni
monetarie provocate dalla svalutazione del dollaro, e all?impennata del dei
costo del petrolio e di altre materie prime; sia a una continua rincorsa fra
salari e prezzi e alla pressione sulle risorse disponibili dei gruppi
sociali pi? forti e organizzati; sia ancora a un?esplosione di aspettative e
di domande verso beni di consumo opulenti; ma anche a un?eccessiva
dilatazione della spesa pubblica, alla fine non pi? sostenibile, e alla
perpetuazione di politiche espansionistiche pur nel corso di periodi
prolungati di quasi piena occupazione.
S?era venuta cos? a determinare una situazione inedita, contraddistinta al
tempo stesso da pi? recessione e da pi? inflazione.
Di fronte al circolo vizioso della stagflazione, fin? in pratica col
prevalere, rispetto a un?efficace politica dei redditi (anche per via delle
remore opposte dalle organizzazioni sindacali e dai maggiori gruppi
d?interesse), un orientamento tendente a neutralizzare in via prioritaria
(attraverso politiche monetarie restrittive) la spirale inflativa e a
perseguire la stabilit? dei prezzi, con inevitabili effetti collaterali di
segno negativo sui livelli della produzione e dell?occupazione.

Ma se da allora, in uno scenario segnato oltretutto dalla globalizzazione e
dall?affievolimento delle prerogative dei singoli Stati nazionali,
l?indirizzo di matrice keynesiana non ha tenuto pi? banco, rimane tuttavia
valido il leit-motiv che ispirava il magistero di un grande liberale come
Keynes. Ovvero che si dovesse trovare il modo, cercando e sperimentando
all?occorrenza nuove soluzioni, di assicurare crescita economica e benessere
collettivo, iniziativa individuale e uguaglianza sociale.?

Ritengo queste note molto attuali vista la situazione economica in cui versa
l?Italia ed, in particolar modo, il Meridione.

I punti fermi di questa teoria sono:

1) non si pu? aspettare che gli automatismi del mercato siano in grado da
soli di superare la depressione socioeconomica
2) andrebbe attuata una politica di deficit spending che, accrescendo la
domanda globale a un livello al quale le risorse siano pienamente
utilizzate, ricostituisca le condizioni per un incremento della produzione e
dell?occupazione
3) l?utilizzo della summenzionata politica deve essere attuato in termini
tali da non generare una spirale inflazionistica, ovvero bisogna utilizzare
la leva fiscale e la spesa pubblica al fine di favorire l?espansione degli
investimenti, la crescita della domanda e il raggiungimento del pieno
impiego, ma tenendo sotto stretto controllo la spesa stessa; non bisogna
cio? utilizzare la medesima per fini elettorali o per avvantaggiare la casta
di appartenenza.


Il Meridione, a mio parere, ha bisogno, a questo punto, di trovare nuove
soluzioni di politica economica; diversamente con le attuali guide nazionali
e locali, di qualunque colore esse siano, non si va, ahim?, troppo lontano.

Cordiali saluti

Luca Longo
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