Lettera di Sua Maestà Francesco II di Borbone al diplomatico francese durante l'esilio romano. L'ambasciatore francese a Roma invitò senza mezzi termini l'ex Re delle Due Sicilie a lasciare la città del Papa alla volta di Parigi per infliggere un duro colpo morale ai suoi ex sudditi in lotta. Secondo la moda dei tempi nuovi venne offerta a Francesco una buona contropartita economica ben conoscendo le sue ristrettezze in tal senso, indegne per un sovrano in esilio (caso pressoch? unico nella storia per la sua estrema onestà verso il tesoro del suo derubato regno). In tal modo si diede per certa la restituzione del suo patrimonio personale confiscato con tanta leggerezza dai piemontesi contro le regole del diritto internazionale. Francesco prontamente e fieramente rispose per iscritto: "Parlate in nome dell'imperatore, e nel vostro nome. Credo il consiglio imperiale venire da amore per me, ma seguirlo non posso. Sono principe italiano, e a torto perseguitato, nè mi credo in debito di lasciare la sola terra italiana che m'accoglie. Qui, oltre che re delle due Sicilie, sono duca di Castro e principe romano; v'ho il palazzo degli avi miei, e l'ultimo asilo in tanto naufragio. Qui sur un lembo della mia patria, qui parlo la mia lingua, v'ho i miei interessi, sto vicino al mio paese, e a' sudditi miei. A me, dite, s'appone il sangue che si versa; ma anzi debba apporsi a chi, violando tutti i diritti, mentendo e corrompendo, invase un pacifico stato. Ora s'appellano briganti e banditi chi in lotta disuguale difendono la indipendenza della patria; così ho l'onore d'essere bandito anch'io. La posterità non a me imputerà il sangue che si versa; perchè sono io che lasciai Napoli per non insanguinarla; e dopo Gaeta sciolsi dal giuramento il resto dell'esercito dove potevo spingerlo su' monti. Ora ho doveri da compiere, e li compirò; non abbandonerò il posto che mi dà la Provvidenza. Non incoraggio la sollevazione, perchè non è ancora tempo, ma non rinnegherò chi combatte in mio nome; un giorno mi porrò in testa al mio popolo, per discacciare i nemici della mia patria. Già molti seguii de' consigli dell'imperatore; udii il suo ministro Bremièr, e detti costituzione, amnistia, e alleanza col Piemonte: ora sono in Roma, e il re piemontese ha usurpato il mio trono. Credetti all'ammiraglio de Tinan, e accampai le truppe sul Garigliano; una notte mi furono bombardate dal mare, fu mia ruina. So che la politica spinge i re a comprimere le personali simpatie; non mi lagno ma tutte le convenienze della politica contro di me si sono volte".
Francesco II e Maria Sofia in esilio a Roma |