La cattura e la fucilazione nei racconti "ufficiali" Intorno alla sua cattura, abbiamo ragguagli completi in un rapporto dell' officiale che l'operò, il maggior Franchini. Ecco il documento indirizzato al generale La Marmora: N. 450. Tagliacozzo, 9 dicembre 1861. Alle ore 11 e 30 della sera dei 7, una lettera del signor sotto-prefetto del circondano m'avvisò che Borgès con 22 suoi compagni a cavallo era passato da Paterno dirigendosi sopra Scurcula; ed altra, alle ore 3 del mattino degli 8, del signor comandante i reali carabinieri, da Cappelle mi faceva sapere che alle 8 di sera dei 7, avevano i medesimi traversato detto paese, e che tutto faceva credere avessero presa la strada per Scurcula e Santa Maria al Tufo. Dietro tali notizie io spediva tosto una forte pattuglia comandata da un sergente verso la Scurcula colla speranza d'incontrarli, ed altra a Santa Maria comandata da un caporale per avere indizii se mai i briganti fossero colà arrivati; ma costoro prima degli avvisi ricevuti avevan di già oltrepassato Tagliacozzo e traversato chetamente Santa Maria, dirigendosi sopra la Lupa, grossa cascina del signor Mastroddi. Certo del passaggio dei briganti, io prendeva con me una trentina di bersaglieri, i primi che mi venivano alla prima, ed il signor luogotenente Staderini che era di picchetto; ed alle due prima di giorno, mi metteva ad inseguire i malfattori. Giunto a Santa Maria trovava la pattuglia colà spedita, e questa e dai contadini aveva indirizzi certi del passaggio dei briganti, ed aiutato dalla neve, dopo breve riposo, celermente prendeva le loro tracce, per alla Lupa. Erano, circa le 10 antimeridiane allorchè io giunsi alla cascina Mastroddi, ma nulla mi dava indizi che essa fosse occupata dai briganti, quando una cinquantina di metri circa da quel luogo vedo alla parte opposta fuggire un uomo armato. Mi metto alla carriera, lo raggiungo e gli chiudo la strada, i miei bersaglieri si slanciano alla corsa dietro di me; ma il malfattore, Vistosi impedita la fuga, mi mette la bocca della sua carabina sul petto e scatta; manca il fuoco; lo miro alla mia volta colla pistola ed ho la medesima sorte; ma non falli' un colpo sulla testa che lo stese a terra. I bersaglieri si aggruppano intorno a' me ed a colpi di baionetta uccidono quanti trovano fuori (cinque): altri circondano la cascina; ma i briganti, avvisati, fanno fuoco dalle finestre e mi feriscono due bersaglieri. S'impegna un vivo combattimento, ed i briganti si difendono accanitamente. Infine, dopo mezz'ora di fuoco, intimo loro la resa, minacciando di incendiare la casa: ostinatamente rifiutano, ed io volendo risparmiare quanto più poteva la vita ai miei bravi bersaglieri, già faceva appiccare il fuoco alla cascina, quando i briganti si arrendevano a discrezione. Ventitrè carabine, 3 sciabole, 17 cavalli, moltissime carte interessanti cadevano in mio potere, 3 bandiere tricolori colla croce di Savoia, forse per servire d'inganno, non che lo stesso generale Borgès e gli altri suoi compagni descritti nell'unito stato, che tutti traducevo meco a Tagliacozzo, assieme ai 5 morti, e che faceva fucilare alle ore 4 pomeridiane, ad esempio dei tristi che avversano il Governo del Re ed il risorgimento della nostra patria. Alcune guardie nazionali di Santa Maria col loro capitano che mi avevano seguito, si portarono lodevolmente, per i quali mi riserbo a far delle proposte per ricompense al signor prefetto della provincia. Il luogotenente signor Staderini si condusse lodevolmente, e mi secondava con intelligenza, sangue freddo e molto coraggio. Il maggior comandante il battaglione FRANCHINI Ecco ora alcuni ragguagli intorno alla morte di Borgès. Quando fu preso alla cascina Mastroddi, non volle rendere la sua spada che a Franchini; e quando lo vide, gli disse: "Bene! giovane maggiore". - I prigionieri furono legati due a due e condotti a Tagliacozzo. Durante il tragitto Borgès parlò poco e fumò delle spagnolette. Disse a varie riprese: "Bella truppa i bersaglieri!". Poi al luogotenente Staderini: "Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno che miserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un sacripante e Langlois un bruto". Manifestò anche il suo dispiacere di essere stato preso tanto vicino agli Stati romani. Franchini fece quanto potè per ottenere delle rivelazioni. Gli Spagnuoli furono muti e conservarono un fiero contegno. "Tutte le torture non mi strapperanno una parola" disse Borgès, al quale non si pensava di infligger veruna tortura; e aggiunse: "Ringraziate Dio che io sia partito questa settimana, un'ora troppo tardi; avrei raggiunto gli Stati romani e sarei venuto con nuove bande a smembrare il regno di Vittorio Emanuele". Garantisco queste parole: resultano da un secondo rapporto inedito del maggior Franchini. A Tagliacozzo Borgès e i suoi compagni vennero condotti in un corpo di guardia, ove dettero i loro nomi. Uno spagnuolo, Pietro Martinez, chiese inchiostro e carta, ove non scrisse che queste parole: "Noi siamo tutti rassegnati a esser fucilati: ci ritroveremo nella valle di Giosafat, pregate per noi". Tutti si confessarono in una cappella e dopo furono condotti sul luogo dell'esecuzione. - "L'ultima nostra ora è giunta, sclamò Borgès: muoriamo da forti". Abbracciò i suoi compatrioti, pregò i bersaglieri a mirar diritto, poi si mise in ginocchio co' suoi compagni e intuonò una litania in spagnuolo. Gli altri in coro gli rispondevano. Il cantico fu rotto dalle palle: dieci Spagnuoli caddero; dopo di che venne la volta dei Napoletani, fra i quali eravi un ultimo straniero, il quale prima che fosse fatto fuoco, gridò ad alta voce: "Chiedo perdono a tutti!" (Marc Monnier: Op. cit.). Fu anche schiaffeggiato prima di essere fucilato
Perduto metà de' suoi Spagnuoli, pure seguito da pochi generosi regnicoli, con in tutto ventidue uomini traversa Basilicata, Avellino, Matese, Abruzzo, inseguito, atteso, circondato da cinquanta battaglioni e da sette generali; sempre senza ricetto, combattendo, marciando con istratagemmi, patendo fame, sete, freddo, pioggia e neve. Passato il piano di Cinquemiglia e Avezzano, arriva la sera del 7 dicembre a Scurcola: al chi vive della sentinella, risponde carabinieri, e passa. Ferma a reficiarsi a un'osteria, trova per guida un paesano di S. Maria; traversa Tagliacozzo, delude le sentinelle che credonli castagnai, e passa pure S. Maria. Erano avanti alla frontiera, tutto aveano superato; ma assiderati, strutti, co' cavalli stanchissimi, hanno suprema necessità di riposo; e fermano a una casina Mastroddi, detta Luppa, a quattro miglia dal confine. La guida, dicendo avere una lettera per Aquila, chiese licenza; ed eglino il fecero andare; il quale sebbene pagato in oro, tornò a S. Maria, e li denunzò al Colella capo nazionale, che tristo montò la sua guardia, e chiamò da Tagliacozzo il maggiore sardo Franchini. Costui gi? per telegrafo avea saputo la passata per Scurcola, ma non sapea dove andare; per?òalla chiamata corse con bersaglieri; e uniti al Colella il mattino dell'8 circondò la Luppa.
La sentinella spagnuola tira al maggiore e non fa foco; questi risponde, nè pure va il colpo; ma un Nazionale col fucile al petto fredda lo Spagnuolo. Gli altri destati si difendono; cinque escono e vanno a pezzi; gli assalitori pi? che cento, tra' quali un prete fratello del Colella, mettono foco alla - casa, perlocchè il Borjès alza bandiera bianca. Il Franchini, considerato avere due soldati feriti, dopo un'ora di fuoco annu? al patto di salve le vite. Il Borgès dignitosamente gli die' la spada, e anzi gli lod? la sua gente. Egli da villano ligatili tutti e diciotto, trasseli a S. Maria; dove li spogli? pure de' panni. Loro ne pose di luridi, e sino imbratt? i volti, per mostrarli briganteschi ceffi. Anche uno schiaffo al Borgès fù dato. Si' miseramente menatili a Tagliacozzo, il demone dell'avarizia piglia quei liberali; il Franchini, il Colella, e gli altri caporioni, consigliantisi a ristretto, divisosi l'oro tolto a' prigionieri, per elevare di mezzo le reclamazioni e le testimonianze, decisero fucilarli subito. Indarno i miseri allegarono i patti, indarno essere militari; confessati in fretta, strascinaronli sulle porte del paese. Prima i dieci Spagnuoli in ischiera, poi che il Borg?s disse tirassero al petto, risparmiassero il volto, tutti inneggiando a Dio, caddero; tosto gli altri otto regnicoli furono abbattuti, ch'erano le ore quattro vespertine. Poco di ora appresso arrivava ordine di non uccidere i catturati, e a ragione, che ne speravano rivelazioni d'importanza. Fu voce costante li assassinassero in tanta fretta, senza nessuna maniera di giudizio, per pigliarsi impunemente il denaro, in più migliaia di lire; e si notò lo spendere e spandere di quel Franchini e suoi uffiziali e i Colella, già mezzo falliti. Il governo non potea guardare pel sottile, e stampò il fatto à uso del pubblico. E pregio di storia ricordare i nomi de' diciotto Stranieri: esso Borgès, Gaetano Cambrì di Valenza, Giuseppe Desurientier di Bilbao, Nicolao Moschy e Francesco Jorus di Catalogna, Michele Chieraldi di Valenza, Pasquale Morginet di Catalogna, Francesco Donsy di Valenza, Laureano Casenas di Castiglia, Pietro Martinez d'Aragona. De' nostrani: Francesco Pacaso di Avegliano (d'Italia), Leonardo Bieco e Mario Gallecchia di Basilicata, Luigi Molino di Trivigno, Michele Tomè di Molise, Michele Pezzetti di Barile, Pasquale Salines di Siracusa, Michele Capuano di Calabria. Così per la legittimità però quel tipo di Spagnuolo, uomo d'onore, e bravo, ch'ebbe tutto, fuorchè fortuna. A' 17 del mese il napolitano principe di Scilla, e 'l parigino visconte di San Priest ottennero per intramessa di Francia dal Lamarmora l'esumazione del corpo di lui; e 'l menarono a Roma, ov'ebbe dagli esuli napolitani i solenni funerali. (Giacinto De Sivo: "Storia delle due Sicilie dal 1847al 1861" - Trieste, 1868) |