ANCORA CON I BORBONE “CATTIVISSIMI”, ANCORA SUL “MATTINO”. GIÙ LE MANI DA FERDINANDO II (“UN MILIONE” E ALTRE STORIE). Ricordate quel signore anziano che nel famoso film di Luciano De Crescenzo si sveglia dal suo sonno permanente appena qualcuno pronuncia l’espressione “un milione”? Ecco,
cambiate le cose
da cambiare e se ci fate passare la battuta, è quello che capita con un
giornalista del Mattino appena può parlare (male) dei Borbone. Una
sorta di super-eroe anti-borbonico che di fronte al primo spunto o al
primo libro o al primo anniversario in cui può esprimere i suoi giudizi
(negativi)… lo fa! E così Cundari questa volta, sul Mattino del 24/4/21,
approfitta di un libro scritto da una storica siciliana e dedicato alla
Beata Maria Cristina, regina delle Due Sicilie per sfoderare tutto il
suo repertorio di “armi” contro i Borbone quasi come se avvertisse
l’imminente pericolo di un loro ritorno, fra qualche ora, con tanto di
trionfale ingresso magari a Porta Capuana… E così Ferdinando II era “un
avvoltoio rozzo e mefistofelico”, era pronto a “strumentalizzare”
finanche la morte della moglie e (addirittura) “arrivò ad odiarla” e a
“brigare per diffondere notizie sulla sua santità” mentre “non riusciva a
metterla incinta”, espressione quest’ultima davvero poco felice anche
per la stessa regina santa e più adatta, forse, ad un giornale di gossip
che ad un articolo dedicato ad un libro (titolo incluso, con
quell’improbabile paragone tra la regina e Lady Diana). Peccato solo per
le omissioni relative alle chiarissime e accertatissime colpe di re
Ferdinando nella diffusione della peste del 1647, della pandemia 2021 e
forse anche del terremoto del 1980 (studi in corso ma siamo fiduciosi).
Per l’articolista, allora (e forse per l’autrice) la santità della
regina resta “presunta” senza alcun rispetto della Chiesa e dei circa
170 anni di processi ecclesiastici che hanno nominato prima “venerabile”
e poi “beata” Maria Cristina. Per l’articolista (e forse per l’autrice)
non si trattava di un popolo che soffriva davvero per la sua morte ma
di una “massa di gente che ostentava dolore”. Qualche dubbio resta per
la verità anche sul lessico e sulla grammatica usata dall’articolista o
dall’autrice (in che senso si parla di “testimonianze di prodigi e
guarigioni perpetrati”? Concordanze a parte, è implicita una colpa in
quel “perpetrati” per chi è artefice di “prodigi e guarigioni”?). E
qualche dubbio resta anche sul perno delle tesi “negative” e relative
alla infelicità coniugale e cioè la solita e ultrasecolare storiella
della sedia che Ferdinando avrebbe tolto facendo cadere la moglie:
scherzo ironico o fake news che sia, anche gli scrittori liberali più
incalliti avevano da tempo minimizzato l’episodio in virtù di numerosi e
oggettivi documenti che l’articolista e l’autrice sembrano ignorare.
Nessun riferimento, allora, alle lettere di Maria Cristina, lettere
“cariche di affetto” per il marito e che confermano quanto sostenuto
addirittura dalla prof.ssa De Lorenzo (non esattamente una
“filo-borbonica”) in un suo saggio nel 2010 a proposito di quel
“rapporto alla fine felice” e in cui i coniugi “si condizionavano e si
modellavano reciprocamente in un amore basato sulla stessa fede
religiosa”. E così, dando meno spazio magari ai preconcetti e dando un
occhio a quei documenti emerge che (altro che invenzioni di Ferdinando o
della Chiesa) quei presagi relativi alla sua morte sono veri e
attestati (all’avvicinarsi del parto, scrisse alla sorella, duchessa di
Lucca: “Questa vecchia va a Napoli per partorire e morire”). Altro che
“odio” o distacco da parte del re e del popolo: “un dolore sincero seguì
la sua morte in tutto il Regno” per quella “donna felice nella corte
napoletana” (come ammise lo stesso Croce). E, sempre a proposito di
documenti ignorati, la tesi secondo la quale Ferdinando II avrebbe
compiuto atti di magnanimità verso i più deboli e verso gli oppositori
politici solo per merito della moglie e per pura propaganda non ha alcun
supporto: dal 1848 (12 anni dopo la morte della regina) solo una
condanna a morte nel Regno di Napoli (per un grave “tentato regicidio”):
un primato se raffrontato al numero dei condannati a morte del resto
dell’Europa e dell’Italia se pensiamo che solo dal 1851 al 1855 le
esecuzioni nel “liberale, costituzionale e civilissimo” regno sabaudo le
condanne a morte erano state 113, come risulta dagli atti parlamentari
torinesi. Negli stessi anni a Napoli si registrano 2713 grazie per i
condannati per reati politici e 7181 condannati per reati comuni. Al di
là dei numerosi primati economici, culturali e sociali degli anni
ferdinandei, infine, solo tra 1850 al 1854 furono reintegrati nei demani
comunali più di 108.950 moggia di terreni usurpati e divisi in sorte
agli agricoltori più bisognosi. “Si ha, oltre i luoghi pii ecc. ecc.,
pei domini continentali un totale di 761 di stabilimenti diversi di
beneficenza, oltre 1131 monti frumentarii, ed oltre de’ monti pecuniari,
delle casse agrarie e di prestanza e degli asili infantili” (Almanacco
reale del Regno delle Due Sicilie, 1854). Frequentatissime le scuole
primarie, per “ciechi e sordomuti” e per “arti e mestieri” all’interno,
ad esempio, del grandioso Albergo dei Poveri. In sintesi: prima di
parlare di storia e (soprattutto) prima di esprimere giudizi così
negativi non sarebbe male informarsi in maniera adeguata, soprattutto se
si ha la possibilità di scrivere su un giornale napoletano e
meridionale. Gennaro De Crescenzo |