ALLA SCOPERTA DELLA GRANDE STORIA DI KALABRIA E LOUKANIA CON IL NUOVO LIBRO DI ANTONIO BOCCIA. Già con l’uso di lingue e parole il nuovo saggio di Antonio Vito Boccia (“La difesa del synoro tra Kalabria e Loukania”) illustra il suo progetto culturale: ricominciare, anzi “cominciare”, un percorso di ricerche (molti anni di ricerche) su una parte
specifica del
Mezzogiorno d’Italia, di una determinata epoca e sulla base di nuove
fonti. In tutti e tre gli aspetti prevale l’originalità e, nel contempo,
la necessità di queste ricerche e di questo libro. Nella storiografia
sono davvero pochi i precedenti riferibili all’area tra Basilicata e
Calabria, nel periodo altomedioevale e con fonti nuove (esigue se non
assenti quelle documentarie, quasi tutte inedite quelle linguistiche).
Questi i meriti principali dell’autore che in questi anni aveva
realizzato ricerche e pubblicazioni sia nell’ambito del suo settore (il
diritto) che in altri ambiti e sull’Ottocento (in particolare sulla
questione meridionale e su Lauria con l’analisi della storia
dell’invasione francese). La base di questi studi, del resto, è
significativa e affascinante: la ricchezza, la complessità e la bellezza
della storia della nostra terra mentre magari in tanti sono pronti a
fare viaggi e ricerche in giro per il mondo quando il “tesoro” è davanti
a noi o sotto i nostri piedi… Si tratta, allora, della
ricostruzione di una “storia nobile” collegata a quella “alma
Costantinopoli, la superpotenza dell’Alto Medioevo” di tutta l’area
“intimamente greca dell’attuale Basilicata meridionale”, in un percorso
che abbraccia diversi secoli e si chiude con la distruzione dei numerosi
monasteri greci nel XV secolo, una distruzione finalizzata a favorire
la fede latina contro quella ortodossa ed in particolare fino alla
sentenza di morte, nel 1562, del vescovo Macario, ultimo metropolita
d’Italia, “monacho greco” e ultimo testimone del rito greco-ortodosso
nel Sud Italia. Due gli aspetti-corollari delle tesi esposte: da un lato
la riscoperta di quel periodo tardoantico e altomedioevale considerato
troppo spesso poco “degno di considerazione”, dall’altro un filone di
ricerca sorprendente e affascinante nelle tracce della continuità tra le
radici della Magna Grecia e quelle appunto medioevali. E così il libro
di Boccia ci aiuta a comprendere l’importanza della posizione
dell’Italia meridionale (una nuova Magna Grecia) in una visione
orizzontale e non più (e non solo) verticale dell’Italia. E così il
libro, allora, diventa un viaggio tra i dialetti delle longobarde
Lagonegro (lak neir-dirupo in basso) o Caggiano (da gaggio-bosco sacro) e
il dialetto bizantino di Lauria, tra le lapidi delle chiese, tra
battaglie quasi sconosciute (come quella che in Calabria, a Capo
Colonna, coinvolse decine di migliaia di soldati sassoni e
arabi-siciliani-bizantini) e la “renovatio” bizantina tra IX e X secolo
grazie alla “mirabile flotta” che consentì a Costantinopoli di
riconquistare molti territori perduti nell’area, tra la creazione di un
“thema” (regione amministrativa) lucano e quei monaci “formidabile
supporto alla macchina amministrativa e militare bizantina”, tra i
soldati e i funzionari arrivati da Costantinopoli e le abbazie, i
castelli e i monasteri (circa 100 nel territorio lucano), tra storie dei
santi, antiche cronache e quei toponimi che da greci diventano latini e
poi italiani come in Moraitika-Maratea o Lavreotikion-Lauria. E
così, con buona pace di chi invoca in questi giorni “l’oblio” proprio
sulla questione meridionale, facciamo nostra la citazione di Faulkner
che apre il libro: “Il passato non è morto e non è nemmeno passato”.
Tesi quanto mai opportuna anche in questo caso perché molte delle tesi
relative all’arretratezza del Sud e alla base della stessa questione
meridionale (“tutta colpa del Sud” la motivazione abusata in questi 160
anni) partono anche dalle storie precedenti a quelle del periodo
borbonico. Nei libri di scuola, ad esempio, sono numerosi gli spunti che
ridimensionano o ignorano del tutto la storia medioevale del
Mezzogiorno dando ampio e positivo spazio, invece, a quella del resto
dell’Italia (si pensi solo ai Comuni mentre da Gaeta a Trapani già
esisteva uno stato compatto con i suoi limiti ma anche con la sua forza
politica, culturale ed economica). Così, allora, le origini
altomedioevali di quell’ampia parte del territorio italiano tra Campania
e Calabria sono state spesso trascurate quando non ignorate pure
presentando, come dimostra Boccia nel suo testo, spunti di storia
importanti, significativi e rilevanti per le relazioni con il resto
dell’Italia e dell’Europa del tempo. Così nel libro si parte dalle
origini preistoriche per analizzare il periodo imperiale, tra le tracce
della cultura monastica dell’area del fiume Sinni, antico Synoro e poi
Siris, spartiacque ma anche fattore di osmosi politica e culturale fino
all’analisi della società del tempo con prospettive di ulteriori
ricerche e approfondimenti. Il cuore delle ricerche di Boccia è,
ovviamente, nel Synoro, cerniera e frontiera, un istmo che mette in
connessione le sponde tirrenico-ioniche con i suoi insediamenti
progressivi nel tempo. E l’unicità di quel territorio viene evidenziata
partendo dai toponimi di un’area che i popoli germanici non riuscirono
mai a conquistare e che fu, invece, segnata dalla presenza dei monaci
basiliani e della cultura bizantina. È sempre vero, del resto, che le
aree linguistiche (e culturali) seguono corsi totalmente differenti da
quelli “politici” e questo libro/percorso ci aiuta a ricostruire questo
“camminamento” (parola più che mai appropriata e significativa) tra
Tirreno e Ionio senza i condizionamenti legati alle recenti (e spesso
arbitrarie) definizioni delle regioni. Così, mentre i Longobardi
conquistavano le terre intorno fino alle zone interne dell’attuale
Campania, emerge la necessità di difendere in ogni modo la Kalavria da
parte dei Bizantini per i loro traffici con la parte meridionale del
Mediterraneo. Non mancano le micro-storie con i riferimenti a tutta
l’area “lauriota”, caposaldo bizantino con l’Abbazia di San Filippo fino
al culto, ad esempio, della Madonna del Piano ad Episcopio, culto
legato ad una Madonna orientale ritrovata nascosta nell’incavo di una
quercia da alcuni contadini. E l’attenta ricostruzione porta il lettore a
immaginare torri, porti, campanili e celle monastiche che spesso hanno
lasciato pochissime tracce o nessuna traccia della loro esistenza o a
volte qualche pietra, come nella zona sempre di Lauria, uno dei perni
dell’intera area con il suo “kastellion” e una lunga serie di “kastra”
minori lungo il fiume a formare una struttura difensiva in grado di
favorire lo sviluppo di un tessuto sociale, culturale ed economico che
diede vita (anche prima di quanto sarebbe accaduto nel resto
dell’Italia) alla nascita di veri e propri “municipi” con l’uso
collettivo delle terre e tradizioni comuni almeno fino all’avvento dei
Normanni intorno all’anno 1000. E tra le storie da approfondire
collegandoci alla storia che Boccia ci racconta in questo testo,
possiamo immaginare che rientri quella del Ducato napoletano, sempre tra
il 500 e il 1000, una storia altrettanto sconosciuta con qualche rara
eccezione (ad esempio i testi del grande storico Bartolommeo Capasso non
a caso spesso dimenticato e accusato dalla storiografia ufficiale di un
eccessivo interesse per le “storie locali”). E invece, è proprio da qui
e da testi come quello di Boccia che si può ripartire per una
ricostruzione sempre più necessaria della nostra identità storica e
culturale, base essenziale per il riscatto dei giovani meridionali e per
quelle classi dirigenti consapevoli e adeguate che aspettiamo da tempo.
Gennaro De Crescenzo
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