Articolo di De Crescenzo pubblicato sul Corriere della Sera (speciale “L’Economia” con Il Corriere del Mezzogiorno in edizione nazionale). A CHE SERVE LA STORIA? A CAPIRE CHE DA 160 ANNI L’ITALIA È DIVISA IN DUE (SUD: UNA QUESTIONE ETERNA). A che serve la storia? La storia dovrebbe sempre essere “maestra di vita” e dal passato
dovremmo trarre
insegnamenti per evitare gli errori già commessi. A che serve la storia
della questione meridionale? Potrebbe e dovrebbe servire ancora oggi a
capire cosa e perché non ha funzionato al punto che ancora oggi non è
stata risolta e diventa sempre più drammatica. E così magari un occhio a
livelli di redditi, Pil, industrializzazione, crescita demografica o
longevità prima e dopo l’unità d’Italia ci farebbe scoprire che spesso
il Sud vantava condizioni migliori di quelle del Nord e che dal 1861
quelle condizioni sono peggiorate fino ad arrivare ai divari attuali
senza soluzione di continuità. Se scriviamo questo vuol dire che siamo
nostalgici e che vogliamo tornare indietro nel tempo? Nulla di tutto
questo (a meno di casi clinici o di notizie relative a macchine del
tempo efficienti e sicure). Scopriremo altre verità, poi, se diamo un
occhio al Piano Marshall nel dopoguerra (87% dei finanziamenti al
Centro-Nord) o alla stessa Cassa del Mezzogiorno con investimenti che
procurarono qualche miglioramento ma ne procurarono di più sempre al
Nord (“Come ti finanzio il Nord” era il titolo di un accurato saggio
pubblicato anni fa dalla rivista “Nord e Sud”) anche attraverso il
giochino dei fondi straordinari al Sud e ordinari al Nord. Se scriviamo
anche questo, vuol dire che siamo neoborbonici e che vogliamo dividere
l’Italia? Premesso che i neoborbonici amano solo la storia e non
prevedono rientri di Borbone a cavallo da Porta Capuana, in realtà ci
sarebbe anche poco da dividere in una nazione, quella italiana, nella
quale una parte (quella meridionale) ha la metà dei diritti, dei servizi
e del lavoro che ha il resto dell’Italia. Se poi colleghiamo il passato
al presente e leggiamo che solo negli ultimi 17 anni (dati-Eurispes,
febbraio 2020) al Sud sono stati sottratti oltre 840 miliardi di euro,
per qualcuno diventiamo sicuramente i “leghisti del Sud”. Ecco, allora, a
cosa serve la storia: a capire che da 160 anni (esattamente da 160 anni
il 17 marzo, feste in corso) esistono due Italie con colpe diffuse tra
classi dirigenti nazionali e classi dirigenti locali che,
consapevolmente o di fatto, diventano complici di un sistema che non
cambia e che ogni giorno che passa offende anche i principi basilari
della nostra bellissima Costituzione. Soluzioni? Altro che
“auto-assoluzioni”: servono classi dirigenti finalmente e veramente
consapevoli e radicate e che vogliano e sappiano rappresentare e
difendere il loro territorio senza quei compromessi utilizzati spesso
per tutelare ruoli e privilegi (personali). Un nuovo patto, il patto
della consapevolezza e dell’orgoglio tra meridionali e tra Nord e Sud.
Del resto l’esempio “contrario” è facile se guardiamo a quel blocco di
potere consolidato, trasversale e settentrionale che ha saputo
condizionare e condiziona la politica nel nome di complessi di
superiorità o inferiorità immotivati ma diffusi da troppo tempo e che,
anche se non ce ne rendiamo conto, diventano qualcosa che somiglia molto
ad una sorta di “razzismo” non dichiarato (“i meridionali sono mafiosi,
sono illegali, rubano, sprecano, non sanno spendere, non possiamo
aiutarli”). Ecco: cultura e storia e ritorniamo da dove siamo partiti (e
altro che “oblio”). Forse ci serve ancora la consapevolezza di un
passato che ci può ancora raccontare qualcosa se ancora amiamo questo
Paese e ancora crediamo nella sua salvezza.
Corriere della Sera, 22 marzo 2021 Gennaro De Crescenzo
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