MACROREGIONE E SUD: INTERVENTO DI DE CRESCENZO SUL CORRIERE (p. 1 e 2). "Una macroregione ma delle DUE SICILIE: prima cultura e identità e poi un progetto"... Il dibattito sulla
eventualità di una
macroregione meridionale aperto sulle pagine del Corriere del
Mezzogiorno è interessante e utile. Claudio Signorile ha giustamente
parlato del Sud come di un “soggetto omogeneo di quasi 20 milioni di
abitanti”: significativo il fatto che oggi quella omogeneità sia
assicurata da molti problemi comuni
sintetizzati nella questione meridionale e che per circa tremila anni,
invece, quella omogeneità sia stata assicurata da storie, radici e
tradizioni complessivamente comuni. Sembra quasi, però, che si faccia
fatica a usare certe parole e a richiamarsi a quelle storie e a quelle
radici e forse il passo successivo è proprio questo. Sia chiaro e ci
sembra quasi assurdo dover fare questa premessa: qui nessuno vuole
tornare indietro nel tempo (qualcuno ci informi se, intanto, sarà
brevettata qualche apposita macchina), qui nessuno vuole riportare su un
trono qualche re e nessuno pensa a nostalgie o a eventuali risarcimenti
o “vendette” Oggi quasi nessuno mette in dubbio che quell’unificazione
doveva avvenire ma non nelle forme di una conquista e di una
colonizzazione sistematica di una parte dell’Italia con la creazione (e
qui credo che nessuno possa essere in disaccordo) di due Italie, una con
la metà dei diritti dell’altra. Le motivazioni si sono sprecate: o è
stata sempre e comunque “tutta colpa del Sud” (la tesi prevalente a
livello accademico) o si è pensato ad un’atavica inferiorità dei
meridionali (e credo che i lombrosiani non possano essere molti o
farebbero fatica a riconoscere di esserlo) o tutto si lega a politiche
sbagliate sia delle classi dirigenti nazionali che di quelle locali
troppo spesso silenziose o complici di quelle scelte magari per tutelare
i propri interessi personali (incarichi, nomine, appalti ecc. ecc.) per
oltre un secolo e mezzo con quel patto scellerato che il buon Salvemini
definiva “ascarismo” al servizio dei governi di turno. Premesso tutto
questo, ci si potrebbe muovere in tre direzioni: la prima potrebbe
essere la ricostruzione e la valorizzazione di quella identità che per
sintesi si dovrebbe associare inevitabilmente alle Due Sicilie. La
storia recente delle regioni italiane, del resto, ci insegna che
qualsiasi progetto senza senso di appartenenza e senza identità diventa
un progetto vuoto e solo burocratico. La seconda direzione non può
essere che quella del cambiamento del racconto del Sud. Per Signorile
“occorre arrestare il processo di demolizione sistematica della società
meridionale considerata come buco nero, centro di malaffare e malavita”
(stessa linea di Di Donato che parla altrettanto giustamente di “un
cliché alimentato da fiction e media, difficile ma non impossibile da
rovesciare”). Da anni cerchiamo di contrastare questo racconto parziale
(da Sud e da Nord) dei meridionali “brutti sporchi e cattivi” con il
crescente coinvolgimento di decine di migliaia di persone e spesso
ottimi risultati con rettifiche e scuse annesse e non c’è dubbio che
servirebbe il supporto se non altro dei media locali in assenza di media
nazionali. Il Sud “negativo” esiste ma non può e non può essere l’unico
a essere raccontato con conseguenze anche politiche: parliamo di quei
complessi di superiorità padani e quelli di inferiorità terroni alla
base delle questioni meridionali irrisolte (“sono irredimibili”, rubano,
fanno le truffe, non sanno spendere i soldi pubblici” e quindi è
inutile aiutarli). Per la terza direzione ci sembra ancora giusta
l’analisi di Signorile quando scrive che “serve una classe dirigente
meridionale che sappia ribaltare le scelte culturali e di governo che
hanno penalizzato il Sud negli ultimi 30 anni” anche se noi estenderemmo
quelle penalizzazioni ad un secolo e mezzo circa, se diamo un occhio ai
dati oggettivi e alla loro sconcertante continuità esattamente dal 1860
ad oggi (il motivo per il quale spesso partiamo da quella data per le
nostre analisi). Senza classi dirigenti finalmente e veramente radicate,
consapevoli e fiere chi gestirebbe una macroregione? Gli stessi che non
hanno saputo gestire neanche le loro regioni o magari i loro comuni in
questi anni? Gli stessi che in questi ultimi 17 anni non si sono neanche
accorti dello “scippo” di 840 miliardi di euro al Sud (dati Eurispes
2020)? Gli stessi governatori di destra e di sinistra ancora vittime
delle ideologie e tutt’altro che legati all’idea di un nuovo
meridionalismo al contrario di quanto capita altrove con quel compatto,
trasversale e attivissimo “partito unico del Nord”? Infrastrutture,
scuola, formazione, innovazione tecnologica, eccellenze agricole,
artigianali, industriali, vocazione mediterranea, valorizzazione di un
immenso patrimonio naturalistico e storico-artistico e quel 70% dei
fondi europei che (secondo i parametri europei e non secondo noi)
spettano al Sud: non possono che essere questi i punti di un programma
autenticamente neo-meridionalista o neo-sudista (le etichette non
servono) e non c’è dubbio che un Sud unito possa essere un interlocutore
più forte per proporre e rivendicare sui tavoli italiani ed europei
tutto questo. Si tratta, allora, di una battaglia prima culturale e poi
politica e quella “costituente” macroregionale, allora, può essere un
progetto fondamentale per il Sud ma anche per l’Italia e per la stessa
Europa. Gennaro De Crescenzo - Movimento Neoborbonico, Movimento per il Nuovo Sud
ARTICOLO COMPLETO SUL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 19/9/20 pagine 1 e 2.
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