NEL RICORDO (SENZA SE E SENZA MA) DI PONTELANDOLFO E CASALDUNI (14 AGOSTO 1861). LA VERITÀ SULLE (VERE) MOTIVAZIONI DI UN MASSACRO. Non smetteremo mai di ricordare la nostra storia, fieri della crescita continua dei nostri consensi e nonostante il tentativo a volte tragicomico di qualcuno che vorrebbe opporsi a tutto questo. Dopo il tentativo (fallito) di riabilitare (addirittura) il razzista Lombroso, dopo
il
tentativo di infangare i "briganti" (contraddicendosi pure -4 gatti, 4
libri- tra di loro), dopo il tentativo (fallito) di cancellare la
vergogna di Fenestrelle o i primati borbonici con divertenti ricerche di
primati simili magari di 6 o 7 secoli prima, ci hanno (inutilmente)
provato pure con le tragedie di Pontelandolfo e Casalduni contestando le
fonti che attestavano centinaia di morti e “giocando” sulle fonti archivistiche. Il tutto sorvolando su fatto che gli archivi
conservano solo un centesimo dei documenti prodotti (tanti i casi anche
più recenti fino alla seconda guerra mondiale) e con spunti
obiettivamente surreali quando si arriva a sostenere che il diario del
bersagliere Margolfo (quello che ci racconta il drammatico "banchetto"
dei soldati mentre i cadaveri dei poveri pontelandolfesi "abbrustolivano
nelle loro case") forse era stato scritto dalla moglie (evidentemente
presente a quei fatti travestita da bersagliere). La questione è morale
e politica oltre che storiografica e il problema è di chi dopo oltre un
secolo e mezzo non condanna questa roba o magari vorrebbe celebrare i
soldati che fecero quelle cose (che ci facevano lì? Chi li aveva
chiamati e che diritto avevano di farle?). Del resto con la linea “tutta
colpa del Sud” hanno fatto le loro carriere intere generazioni di
classi dirigenti capaci di creare e non risolvere le questioni
meridionali. E al netto delle tristissime auto-celebrazioni ("il mio libro
risolve la questione di Pontelandolfo, di Fenestrelle o dei briganti o
dei primati") e delle celebrazioni di pochi amici e parenti (sempre 4
gatti, sempre gli stessi), si tratta di testi spesso superficiali e
parziali. "Si meritarono quella fine perché avevano ucciso una
quarantina di soldati sabaudi", allora, oltre ad essere una tesi
raccapricciante, è una tesi lacunosa perché manca dell'antefatto che
abbiamo ritrovato e spesso pubblicato. La Civiltà Cattolica nel 1861
così descrive fatti confermati anche dalla logica e da ulteriori fonti:
“Il saccheggio e la distruzione delle borgate compierono l’opera
italiana. I soldati di Pinelli avevano fieramente manomesse alcune terre
a breve distanza da Pontelandolfo, commettendovi atrocità orribili
contro pacifici abitanti designati loro come reazionarii. Mossero quindi
una quarantina di essi a Pontelandolfo. La voce della loro
scelleratezza ve li avea precorsi e un furore di vendetta sospinse loro
addosso la popolazione che tutti li scerpò, salvandosi un solo sergente
che ne recò notizia a’ Piemontesi. Il Cialdini avviò subito colà il
Colonnello Negri con un battaglione di bersaglieri ed altra milizia con
artiglierie, si trassero bombe e granate, poi si venne all’assalto” (La
Civiltà Cattolica, Anno Duodecimo, Vol. XI della Serie Quarta, Roma,
All’Uffizio della Civiltà Cattolica, 1861, p. 618). È l'Osservatore
Romano (19/8/1861) a confermare la notizia del massacro (da parte dei
sabaudi) di "dieci persone torturate per 15 ore". Se la popolazione,
allora ("vecchi, donne e fanciulli" e non "briganti"), dopo una sorta di
vero e proprio “processo popolare”, decise di fare “scempio” di quegli
uomini non era perché era una popolazione crudele e selvaggia (NON LO
ERA MAI STATA, del resto, nella sua plurisecolare storia). Qualcuno,
allora, vorrebbe a tutti i costi giustificare (13, 100 o 1000 morti
sarebbe anche secondario) una rappresaglia vergognosa. Una rappresaglia e
un massacro (sempre bene ricordarlo) che non erano affatto isolati se
pensiamo alla vicina Casalduni e alle decine di paesi a cui toccò la
stessa sorte in tutto il Sud. E dopo tutti questi anni abbiamo il
diritto e il dovere della verità e del ricordo. Gennaro De Crescenzo
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