APPUNTI DIVERTENTI E FONTI INOPPUGNABILI CONTRO I SOLITARI E TRISTI "ANTI-PRIMATISTI". Una divertente nota-risposta di alcuni storici e giornalisti ad alcuni (inutili e maldestri) tentativi di cancellare i primati delle Due Sicilie. Work in progress... Buona lettura con buona pace degli
"anti-primatisti".
TRATTATELLO
DIVERTENTE SUI PERIODICI, COMICI E INUTILI TENTATIVI DI SMANTELLARE I
PRIMATI BORBONICI. Girando sul web mi sono imbattuto in uno strano
articolo di una rivista online di cui non conoscevo l’esistenza. Mi
hanno colpito solo una rubrica dedicata specificatamente alla massoneria
o meglio alle “cose massoniche” e vari articoli contro i
neoborbonici e contro Pino Aprile forse solo per la caccia ai clic.
Questa volta una non meglio identificata redazione scrive un articolo
con la consulenza di un signore definito “storico” ma che non ha voluto
evidentemente firmare l’articolo. In questo articolo si vorrebbe negare
l’esistenza dei primati borbonici e il filone è quello che da anni De
Crescenzo definisce “antiprimatista” fornendo dei 4 gatti che ne fanno
parte una bella e divertente “scheda” nel libro che ho letto e recensito
qualche mese fa. Per De Crescenzo le motivazioni potrebbero essere
psicologico-politiche e non ha tutti i torti. Nel libro c’è un
divertente passaggio in cui De Crescenzo immagina questi
“antiprimatisti” impegnati di notte al lume delle loro candele nella
accanita ricerca di questo o quel cavillo per dimostrare che questo o
quel primato non è napoletano o meridionale e che magari qualche giorno
prima un anonimo scienziato della Bassa Baviera aveva parlato della
stessa invenzione. Chi fa queste operazioni non ha alternative perché o è
vittima di un consistente complesso di inferiorità se è del Sud e vuole
a tutti i costi dimostrare che il Sud e la sua storia fanno schifo o è
vittima di un consistente complesso di superiorità se è del Nord e vuole
dimostrare a tutti i costi che il Sud fa schifo oppure gli diamo
un’altra chance anche se non vale per questo caso ma per accademici
anche famosi: vuole dimostrare tutto questo perché teme che la
diffusione della storia dei primati e dell’orgoglio possa essere
pericolosa perché magari poi cresceranno nuovi meridionali orgogliosi e
magari non solo dal punto di vista culturale. E del resto questo
potrebbe spiegare perché qualcuno anche nelle accademie si accanisca
così tanto su queste storie se poi scrive sempre che “i neoborbonici
scrivono bugie, non sono storici” ecc. ecc. sapendo bene che ormai
queste storie sono diventate “maggioritarie”, come scrisse tempo fa lo
stesso Galli della Loggia.
L’articolo già inizia in maniera
involontariamente comica perché vorrebbe distruggere i primati delle Due
Sicilie indicati nel libro di De Crescenzo ma “la redazione” scrive
senza pudore che il libro non lo ha comprato e usa le notizie del
vecchio sito dei neoborbonici! E tra l’altro si tratta di un elenco in
gran parte integrato e aggiornato nel libro e se ci avessero detto che
non avevano il budget necessario in redazione -una cinquantina di euro
in tutto- anche noi, pur con la nostra povertà, una copia gliela avremmo
rimediata. Entro nel divertente dettaglio con la premessa divertente
che questi tizi “volevano suonare e sono stati suonati”… e l’altra
premessa che i primati del libro sono 154 e qui si parla solo di 14
primati forse perché sugli altri 140 primati -di cui tantissimi di
grandissima importanza e significato- la redazione non è riuscita a
trovare notizie che li negassero.
Divertentissimo, allora,
iniziare con la prima cattedra di economia che il libro di De Crescenzo
attribuisce a Genovesi nel 1754 e che l’anonimo redattore vorrebbe per
forza attribuire alla Germania e per la precisione ad Halle così come
con un errore abbastanza grossolano aveva fatto anche il solito Barbero
citato ovviamente pure in questo articolo. Scrive De Crescenzo:
“Qualcuno (uno dei nemici dei primati, come già detto) in questi anni ha
tentato maldestramente di togliere a Napoli questo primato per
attribuirlo alla Germania. Tenendo da parte le tante e autorevoli fonti
che attestano la napoletanità del primato e tra esse anche la semplice
ma attendibile Enciclopedia Treccani, anche nella sua pratica e gratuita
versione online (“A Genovesi venne infatti affidata nel 1754 a Napoli
la prima cattedra di economia di cui si ha traccia in Europa”), quella
tedesca del 1727 era una cattedra di ‘Ökonomische, Polizei und
Kameralwissenschaft’ alle Università di Halle e di Frankfurt (‘Economia,
Polizia e Cameralismo’, una dottrina che univa ‘esercito ed economia’)…
Chiari e documentati, per chi vuole e sa leggere, i puntuali studi di
Pierangelo Schiera (Enciclopedia delle Scienze Sociali, 1991): quello
legato a quella cattedra è un "fenomeno tipicamente germanico,
strettamente collegato alle specificità storiche: è sintomatico quel che
scrive nel 1717, in un'operetta anonima, il cameralista Theodor Ludwig
Lau: una 'polizia ben strutturata' è il primo dei quattro 'pilastri
fondamentali' dell'edificio finanziario statale. Sarà di dieci anni
successiva (1727) l'istituzione delle prime due cattedre di
Ökonomische-, Polizei- und Kameralwissenschaft alle Università di Halle e
di Frankfurt an der Oder. Il merito è del più grande, forse, dei
monarchi Hohenzollern: Federico Guglielmo, il re soldato. Un altro
cameralista famoso, Ludewig, commentando in un lavoro apposito la
'professione recentemente istituita', annoterà subito infatti che
"esercito ed economia vanno di pari passo'. Noi potremmo aggiungere
quello che è poi divenuto proverbiale in Germania, e soprattutto in
Prussia, in età guglielmina: che esercito e amministrazione sono i due
pilastri dello Stato, ai quali, a un certo punto, ne viene aggiunto un
terzo: la scienza". “Toccò a Genovesi, allora -scrive De Crescenzo-
inaugurare il nuovo corso di economia in una sala gremita la mattina del
5 novembre del 1754 con una lezione sul commercio in universale. Siamo
di fronte ad una nuova cultura scientifica, economica e tecnologica (la
‘studiosa gioventù del Regno’) che aveva grandi rapporti con gli
intellettuali di tutto il mondo ma che analizzava la propria realtà
cercando strade nuove per un concreto sviluppo di territori e popoli”.
Altro che Halle… (v. sul tema, oltre che la… Treccani, F. Venturi, 1960;
G. Racioppi, 1963; M. De Luca, 1969).
Nel libro si attesta, nel
1796, l’esistenza del “primo consolato ancora attivo degli Stati Uniti
d’America in Italia a Napoli con John Mathieu” e anche lo stesso
consolato americano ha più volte attestato che quello napoletano è “la
più antica e attiva rappresentanza degli USA in Italia”. Nulla da
aggiungere a quanto riferito dalle stesse fonti… diplomatiche.
Nel
libro, nel 1774, la prima istituzione in Italia della “motivazione
delle Sentenze” con Gaetano Filangieri e non c’è testo di diritto che
non attesti che quella del grande Filangieri sia stata il primo grande
intervento sulle motivazioni delle sentenze, una motivazione intesa in
senso ampio e articolato e anche con “l’obbligo e il divieto di
interpretatio” (altro che leggine seicentesche sabaude con le
motivazioni “su richiesta della parte”).
Dell’orto botanico
moderno non c’è traccia nel libro di De Crescenzo anche se gli esempi
cinquecenteschi riportati dal redattore restano divertenti: un conto
orti e giardini magari presenti pure nell’antico Egitto, un altro dei
centri sperimentali di ricerca.
Nel libro la notizia, nel 1819,
del primo edificio costruito per un Osservatorio Astronomico in Italia, a
Capodimonte e se parliamo di appositi edifici preposti a quella precisa
attività in un vero e proprio polo per la ricerca scientifica la
notizia è esattissima e anche a Napoli, ovviamente, risultavano diverse
“specole” più antiche e collocate in altri edifici. Nel libro si
riporta la notizia della prima normativa per la tutela dei beni
culturali nel 1839. Ovvio che ci fossero diverse leggi precedenti in
materia arrivando magari fino all’antica Roma o alle leggi per la tutela
della colonna traiana nel XII secolo e tra l’altro ne risultano tante
anche a Napoli ma nel 1839 fu emanato un vero e proprio “corpus” di
leggi che intervenivano sulla tutela del patrimonio, sul moderno
concetto di bene culturale come bene pubblico, sulla catalogazione,
sulla conservazione, sul restauro, sulla contestualizzazione, sulla
valorizzazione e sullo stesso “abbellimento” necessario alle città con
appositi Consigli Edilizi (89 i punti delle specifiche “appuntazioni”).
Nel
libro la notizia del primo tribunale del commercio nel 1735 e lo stesso
redattore conferma lui stesso la notizia citando “consolati” e
“consigli” con sezioni giudiziarie e non un “apposito tribunale” (cfr.
G. Caridi, 2011).
Per De Crescenzo nel 1777 quello napoletano fu
il primo stato italiano a stabilire rapporti diplomatici ufficiali con
l’Impero Russo. Il redattore cita altri consolati italiani ma sapete chi
lo smentisce? Il consolato russo! “Il primo consolato russo fu
istituito a Venezia nel 1711 ma tra Venezia e l'impero russo vennero
stabiliti rapporti diplomatici ufficiali soltanto nel maggio 1782. Con
il Regno di Napoli furono stabiliti rapporti diplomatici, più stretti
che con gli altri stati italiani, fra il 1776 e il 1778. I rapporti con
il Piemonte vennero stabiliti nel 1783 e con la Toscana nel 1785”.
Fonte: Consolato Russo https://milan.mid.ru/web/milan-it/home
Per
De Crescenzo fu del 1781 il primo moderno Codice Marittimo
Internazionale di Michele de Jorio e preferiamo riportare il dettagliato
passo del suo libro evidenziando che De Crescenzo cita le notizie che
il redattore cita come un suo scoop: “il primo moderno codice marittimo
internazionale (numerose le polemiche per la successiva versione del
sardo Domenico Alberto Azuni, molto simile a quella napoletana). Quel
codice era il frutto di una grande tradizione locale se solo pensiamo
alle Tavole di Amalfi (il più antico statuto marittimo italiano
utilizzato in tutto il Mediterraneo fino al XVI secolo) o agli Statuti
di Trani (“Ordinamenta et Consuetudo maris”) sempre intorno all’anno
1000. Quel codice era il frutto anche di precedenti studi avviati fin
dal 1741 con Carlo di Borbone e con la IX Prammatica “de nautis et
portibus” finalizzata alla creazione di “uno speciale codice in cui dopo
maturo e diligente esame e consiglio di varie persone dotte
intelligenti e prudenti saranno da noi stabilite e pubblicate tutte le
leggi relative sia alla buona ed utile navigazione come al felice
commercio”. Il Codice Ferdinando “compilato per ordine di S.M.
Ferdinando IV, re delle Due Sicilie” era diviso in quattro tomi per 2411
pagine complessive e fu stampato in soli venticinque esemplari per
essere sottoposto agli organi di governo”. Un’opera mastodontica che non
aveva precedenti per l’articolazione e la complessità e la modernità
delle argomentazioni e vale dal punto di vista scientifico e anche a
prescindere dal fatto che sia andato o no in vigore (e nel libro non si
dice che sia entrato in vigore).
Nel libro si scrive che nel 1801
ci fu il primo museo mineralogico in Italia (e non al mondo) per la
conservazione e la valorizzazione e lo studio dei minerali ed era così e
se parliamo di semplici collezioni è normale che se ne trovassero molte
anche 2000 o 500 anni fa com’è scritto nel libro: “un vero e proprio
centro di ricerca scientifica finalizzata alla valorizzazione delle
risorse minerarie del Regno di Napoli (ed era questa la caratteristica
che lo distingueva dagli altri musei simili)”.
Del primato
relativo al primo istituto di “sinologia e scienze orientali” nel libro
non c’è traccia ma il redattore dovrebbe chiedere lumi ai direttissimi
interessati che nella pagina del prestigioso Istituto Universitario
Orientale di Napoli attestano che la “prima istituzione in Europa a
impartire l’insegnamento di lingue e culture dell’Asia, il Collegio dei
Cinesi ha assunto nomi diversi fino a trasformarsi nell’attuale
Università degli Studi di Napoli L’Orientale”
(http://www.unior.it/ateneo/6864/1/presentazione.html).
Stesso
discorso per la cattedra di zoologia che viene riconosciuta come tale
dal sito dell’Università di Napoli per la “celebrazione del duecentesimo
anniversario dell'istituzione della prima cattedra di Zoologia in
Italia, avvenuta a Napoli nel 1806”. Questo il passo del libro di De
Crescenzo: “Sempre a proposito di scienze naturali, fu istituita (nel
1806 e con il soldo di 300 ducati l’anno) la prima cattedra di zoologia a
Napoli: la cattedra era divisa in zoologia dei quadrupedi, dei cetacei e
dei volatili e degli insetti, dei vermi […] e degli animali
microscopici”. Il redattore, allora, dovrebbe sfidare a duello
l’Università di Napoli e la cattedra di zoologia… E gli giriamo le
indicazioni. http://www.unina.it/-/1322939-congresso-uzi-nel-bicentenario-della-nascita-di-zoologia-a-napoli
Nel
libro si riporta la notizia della prima città con illuminazione
pubblica a gas delle strade, il redattore, invece, riporta alcuni
precedenti episodi senza fare caso neanche al fatto che non si trattava
certo di intere strade pubbliche con oltre 400 lampade come a Napoli ma
di un bar (!), di casa-Porro e di una galleria tenendo da parte diverse
fonti che attestano questo primato (tra gli altri quello monumentale di
C. N. Sasso, 1856). Questo l’interessante passaggio del libro: “il
progetto era relativo alla illuminazione della città con oltre 400
fanali (due gli opifici appositamente creati e uno di essi era nella
zona di Chiaia con i tubi e le canalizzazioni principali verso via
Toledo)”.
In quanto al commercio verso la Francia (Napoli primo
stato italiano e secondo nel mondo dopo gli Inglesi nel 1859) si
riportano qualche volta i dati di un Dizionario francese del Commercio
relativi per giunta al 1858 e con differenze minime nel numero di navi
(una sessantina in media circa in meno quelle napoletane rispetto a
quelle spagnole o turche) e anche al tonnellaggio che per giunta,
rispetto al Piemonte, fa prevalere nettamente le Due Sicilie (18.000 le
tonnellate piemontesi, 127.000 quelle napoletane). Del resto per chi
molto superficialmente ipotizza che i dati non possono essere “così
diversi da un anno all’altro” riportiamo i dati dell’incremento della
flotta mercantile delle Due Sicilie passata dalle 9382 unità del 1857
alle 10.984 unità nell’anno successivo (cfr. Giornale Officiale di
Napoli, 24 giugno 1861). E, per finire, vengono ovviamente ignorate le
altre fonti che pure attestano in quegli anni che “nei porti francesi la
bandiera delle Due Sicilie occupava il secondo posto, dopo
l’Inghilterra”. Cfr. Pino Fortini, famoso storico del mare, in “Rivista
di Cultura Marinara”, Ministero della Marina, Roma, 1933; D. Capecelatro
Gaudioso, Crollo di Napoli Capitale, 197, pp. 195-198. Cfr. anche gli
interessantissimi (e coerenti) dati riportati dal documentatissimo
studio di L. Radogna, Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie,
1982, pp. 109-112: “Nel triennio 1845-1847 la bandiera delle Due
Sicilie, inoltre, fu in testa tra tutte quelle dei vari stati italiani,
ad esempio, nei porti nord-americani con 48 approdi per 14.023
tonnellate” (cfr. anche Archivio di Stato di Napoli, Fondo Ministero
Agricoltura Industria e Commercio, fascio n. 512). Significativo (ma
ignorato), infine, il dato riportato da A. Massafra (Il Mezzogiorno
preunitario): consistenti quantità di olio e di altri prodotti venivano
esportate proprio attraverso gli Stati Sardi e su navi sarde e francesi e
il porto franco di Genova e di lì a Marsiglia.
Nel libro si
riporta la notizia dei primi studi di Raffaele Piria sull’acido
salicilico e il furbissimo redattore per smentirlo scrive che
quell’acido era conosciuto già nel I millennio a. C. e che due
scienziati stranieri lo avevano studiato prima di Piria. Peccato per il
furbissimo redattore che sia la stessa Università di Bari, con centinaia
di altre fonti, ad attestare che è vero che quella sostanza era
conosciuta fin dalla antichità e che altri scienziati l’avevano studiata
ma è vero anche che fu Piria a “separare da una soluzione di salicina
una sostanza cristallina incolore che aveva proprietà acide e che quindi
chiamò [per la prima volta] acido salicilico riuscendo anche a capire
che questa sostanza era la responsabile dell’azione antipiretica [verso
la futura aspirina]”. “A Raffaele Piria il merito di aver scoperto che
dalla salicina si poteva giungere all'acido salicilico” anche se al
redattore non fa piacere. Tra le tantissime fonti v. gli Atti del
Convegno dell’Ordine dei Medici, Campobasso, 2019 o Atti del
Dipartimento-Reclutamento, Università di Bari, 2015/2016. https://reclutamento.ict.uniba.it/ammissione-cdl-numero-programmato/questionari-soluzioni-cdlnp/anno-accademico-2016-2017/saat.pdf
Un’ultima
osservazione: se per fare una bella figura si deve citare Dante (XVIII,
Inferno) almeno citatelo bene: il verso non è QUINCI SIA LE VOSTRE
VISTE SAZIE ma QUINCI SIAN LE NOSTRE VISTE SAZIE e, a parte la licenza
poetica di sostituire il VOSTRE con NOSTRE, quel singolare SIA è un
pugno nello stomaco del sommo poeta toscano. Noi siamo, però, più plebei
e preferiamo citare, senza errori grammaticali, il sommo poeta
napoletano con la sua famosa frase MA MI FACCIA IL PIACERE… Emilio Caserta con la consulenza dello storico Alessandro Romano
IL
PRIMATO INCONTESTABILE DELLA PASTA NAPOLETANA. INTERESSANTE ARTICOLO DI
VESUVIOLIVE E DIVERTENTE POLEMICA CON QUALCHE SOLITARIO
“ANTI-PRIMATISTA”. Interessante articolo sulla seguitissima rivista
online Vesuviolive con diversi spunti sulla storia dei nostri maccheroni
famosi nel mondo, dalle origini greco-romane agli “uomini di bronzo”,
dalle fabbriche alle esportazioni con qualche notizia divertente in
merito alle (false) notizie riportate dai soliti solitari
“anti-primatisti” con loro annessi e grossolani errori dovuti alla
mancata lettura delle “fonti” da loro stessi riportate… Le parole del
“legato napoletano a Parigi” per la mostra universale del 1856, del
resto, erano chiare: “trovandosi una cassetta con collezione delle paste
napoletane per uso mio, pensai dovesse figurare in mezzo alle paste
d’Italia e di Francia. Lungi dall’augurarmi queste eccellenti produzioni
sono state con plauso ammirate ed alle altre preferite, di modo che si è
dato la medaglia di bronzo à la ville de Naples pour une collection de
pâtes”. In conclusione: giù le mani dai primati delle Due Sicilie e
dalla nostra pasta…
La pasta è da sempre un primato napoletano,
di cui l’Italia come al solito si vanta nel mondo. Fin dall’antichità,
le “laganae” (lasagne o fettuccine di pasta) erano già conosciute e di
esse era golosissimo lo stesso Mecenate, secondo quanto ci riferisce il
poeta Orazio. Da lì ai primi maestri amalfitani in contatto con i
mercanti orientali e poi a Gragnano, a Torre Annunziata, a Portici, a
Napoli e alle leggende dei maghi-pastai raccontate dalla Serao fino alle
potenti corporazioni dei Maccaronari nel Seicento e nel Settecento, con
pastifici che iniziarono ad esportare i loro prodotti anche grazie alle
prime meccanizzazioni. Fu così che il piatto nazionale della “minestra
maritata” (felice matrimonio tra carni e verdure) fu sostituito e
diventammo “mangia-maccaroni” (ci definiva così anche l’infelice
Leopardi). E così da “dolce” (“semmenate de zuccaro e cannella”, come
dicevano i poeti seicenteschi) spaghetti, vermicelli, candele, rigatoni,
penne, pennoni e paccheri diventarono la base della celeberrima e
salutare “dieta mediterranea”. Fu Ferdinando IV di Borbone a volere una
“maccaroneria” nelle sue residenze e l’ultimo re di Napoli, Francesco
II, di certo non a caso era chiamato affettuosamente “lasa”. Nell’ambito
della politica per l’industrializzazione borbonica, lo sviluppo di
tante fabbriche anche grazie alla nuova “macchina per togliere l’uso
abominevole di impastare coi piedi”: nacque così “l’uomo di bronzo”,
una nuova impastatrice con lamine di bronzo destinata ad avere un grande
successo fino ad oggi, con la produzione di una pasta ruvida e capace
di trattenere meglio i condimenti. Circa un centinaio, complessivamente,
gli stabilimenti e in molti si erano diffusi ormai gli impianti
azionati a vapore. New York, Rio, Odessa, Algeri, Atene, Malta,
Pietroburgo o Amburgo le principali destinazioni delle esportazioni
dalle Due Sicilie. A quel periodo si lega anche uno dei primati più
famosi: il premio ottenuto nella mostra di Parigi del 1856. A questo si
legano alcuni recenti interventi di una categoria interessante sul piano
culturale-antropologico e che Gennaro De Crescenzo, nel suo libro “I
primati del Regno delle due Sicilie” dedicato proprio ai primati
borbonici, definisce “anti-primatisti”: personaggi in cerca di
visibilità e che vedono con astio e rancore la diffusione ormai
inarrestabile della verità storica e dell’orgoglio meridionale, cercando
in ogni modo e inutilmente di negare sia la storia che l’orgoglio.
Secondo qualcuno, infatti, quel premio non sarebbe vero. In questo caso
l’anti-primatista si è accanito nella lettura solitaria di un vecchio
libro sempre di De Crescenzo sulle industrie del Regno (2012)
evidenziando che nell’elenco dei primati si faceva riferimento ad una
medaglia di bronzo per la pasta alimentare napoletana in una “mostra
industriale di Parigi del 1856”, che le Due Sicilie non avevano
partecipato alla mostra industriale (del 1855) e che se la medaglia era
di bronzo, evidentemente altri ne avevano avute d’oro e argento e quello
non era un primato. Chi scrive non è uno storico ma è un appassionato
di storia che si limita a leggere davvero i libri di cui parla. Peccato,
allora, che nel testo di De Crescenzo si spieghi chiaramente la
faccenda (a volte basterebbe leggere i libri di cui si parla). Nel
testo, infatti, si cita la “mostra internazionale di Parigi” (p. 22) e
“l’Esposizione Universale di Parigi” (p. 36) e in entrambi i casi si
parla del 1856, anno della “Exposition Universelle Agricole” allestita
pochi mesi dopo quella “industriale” alla quale, tra l’altro, nei
padiglioni delle Belle Arti, le Due Sicilie pure avevano partecipato,
come dimostrano i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di
Napoli (fondo Ministero Agricoltura Industria e Commercio, fascio 246) e
avevano pure ottenuto diversi premi per “corde e per stamperia
galvanoplastica applicata” con un bottino complessivo significativo di
“dodici grandi medaglie di oro, settantotto pure di oro ma di ordinaria
dimensione, 105 d’argento, 215 di bronzo, 95 menzioni onorevoli”. In
quanto alla pasta, l’anti-primatista di turno commette un errore
grossolano: per dimostrare che il premio non era importante (era “solo”
una medaglia di bronzo) cita una pubblicazione francese insinuando il
dubbio che altri concorrenti potessero aver superato i napoletani.
Peccato che anche in questo caso non abbia letto il libro perché nelle
87 pagine non risultano altri “premiati” per le paste alimentari (con
l’eccezione di una medaglia sempre di bronzo ad un pastaio algerino) su
centinaia di medaglie assegnate per vini (compreso quello di Florio per
il “vino di Marsala”), salse, formaggi o olio. Le parole del “legato
napoletano a Parigi”, del resto, riportate anche da De Crescenzo e da
tanti grandi studiosi del tema (Capecelatro Gaudioso, Petrocchi, Mangone
o Selvaggi, tra gli altri), erano chiare: “trovandosi una cassetta con
collezione delle paste napoletane per uso mio, pensai dovesse figurare
in mezzo alle paste d’Italia e di Francia. Lungi dall’augurarmi queste
eccellenti produzioni sono state con plauso ammirate ed alle altre
preferite, di modo che si è dato la medaglia di bronzo à la ville de
Naples pour une collection de pâtes“. In conclusione: giù le mani dai
primati delle Due Sicilie e dalla nostra pasta… Emilio Caserta ARTICOLO COMPLETO A QUESTO LINK https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/grande-sud/346085-pasta-napoli-premio-parigi-1856/
LE DUE SICILIE PRIME NEI PORTI FRANCESI (E NON SOLO)… UN ALTRO GRANDE E IMPORTANTE PRIMATO. Nel libro sui primati scritto recentemente da De Crescenzo risulta un primato interessante e significativo riferito alle Due Sicilie: “prima Bandiera italiana e seconda nel mondo (dopo quella inglese) per presenze nei Porti francesi”. Qualche anti-primatista (sempre gli stessi, due o tre personaggi in tutto, in verità) non concorda e riporta alcune sue ricerche probabilmente effettuate sempre sul web. Ancora una volta, però, si evidenzia la storia famosa e divertente dei pifferai di montagna che andarono per suonare e rimasero suonati… In realtà sono molte le fonti che confermano questo primato. Ne scegliamo una a caso per la sua grande attendibilità: si tratta di uno studio molto documentato e frutto di diversi confronti con i dati del tempo e con diverse sorprese positive per le Due Sicilie, sorprese che (ci dispiace per gli anti-primatisti) potrebbero portare anche all’integrazione di altri primati nei famosi elenchi dei primati borbonici! Gli autori sono Biagio Salvemini, docente di storia moderna presso l’Università di Bari e Maria Antonietta Visceglia, docente di storia italiana presso l’Università di Provenza, attualmente docente di storia moderna a La Sapienza. Dalle tabelle allegate risulta, infatti, che nel porto di Marsiglia (il porto francese privilegiato per i traffici commerciali tra Due Sicilie e Francia) le navi napoletane erano effettivamente prime per tonnellaggio e relativi approdi: il tonnellaggio medio delle “navi cariche” tra il 1845/1847 dall’estero verso tutti i porti francesi era pari a 125 tonnellate, 162 le tonnellate, invece, dalle Due Sicilie in tutti i porti francesi con un trend in crescita costante per gli anni successivi, come risulta dagli stessi grafici (97 a 155 a favore delle Due Sicilie nel 1825). Tra i prodotti più esportati quantità rilevanti (altro che commercio “scarso”) di olio, zolfo, grano, cotone e seta. Nessuno ha mai scritto che le Due Sicilie fossero un paradiso ma è ormai un dato oggettivo (tranne che per pochi e solitari anti-primatisti) che nel 1860 fu interrotto un processo di sviluppo che è chiaro e visibile in trend di crescita interrotti proprio nel 1860. E questo vale anche per il commercio se solo diamo un occhio alle statistiche obiettive e imparziali: negli ultimi 15 anni di Regno l’indice del commercio con la Gran Bretagna passò da 157 a 213, da 145 a 177 verso la Francia, il tutto prima del 1860 e prima di diventare una colonia commerciale. NOTA Cfr. Biagio Salvemini Biagio e Maria Antonietta Visceglia, Marsiglia e il Mezzogiorno d'Italia (1710-1846). Flussi commerciali e complementarietà economiche in “Mélanges de l'école française de Rome”, Année 1991. Le ricerche si basano su fonti diverse, compresi i Tableaux a stampa relativi alle importazioni e alle esportazioni in Archives Nationales, Paris ed in particolare sul confronto dei dati con le Declaration de santé in Archives Departementales des Bouches-du-Rhone (Encicolopedie Departementale, voll. 8, 9, Marselle, 1926).
P.S. Per quanto riguarda la "prima flotta italiana", terza in Europa, si rinvia alle ottime tabelle statistiche riportate da Kolb G. F. 1861, Handbuch der vergleichenden statistik der volkerzustands und staatenkunde, Leipzig citato in Zitara N. 2010, L’invenzione del Mezzogiorno. Una storia finanziaria, Milano
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