“IL MALE DEL NORD”: IL NUOVO E IMPORTANTE LIBRO DI PINO APRILE TRA EMERGENZA E FUTURO. Che cosa sarebbe successo se l’epidemia fosse partita da Sud e non da Nord? Come si sentirebbero, lì al Nord, se avessero subito quello che il Sud subisce da oltre 150 anni e anche in questi giorni? Provate a passare dal “noi, mentre loro”, al “noi, al posto loro”… Che cosa
deve succedere per cambiare idee e politiche italiane e per cancellare
(immotivati) complessi di superiorità “padani” e (immotivati) complessi
di inferiorità “terroni”? Sono alcune delle domande alle quali Pino
Aprile cerca di rispondere nel suo nuovo libro chiaro, come capita
spesso con i libri di Aprile, fin dal titolo più che mai efficace: “Il
male del Nord. Perché o si fa l’Italia da Sud o si muore”. “E tu
dov’eri?” è il giusto incipit per uno dei libri più riusciti dello
scrittore-riferimento di tutto il mondo neo-meridionalista, un mondo che
registra una grande, storica e significativa crescita anche in questi
giorni. E proprio nell’anno del decennale della pubblicazione del
best-seller “Terroni”, spartiacque nella storia meridionale e
meridionalista, potrebbe essere interessante leggere “in sequenza” i
libri di Aprile, come una lunga storia con un inizio, una sua
evoluzione, una serie di riflessioni a voce alta, una serie di idee, di
progetti, di sogni, alcuni realizzabili, altri, forse, irrealizzabili,
ma tutti uniti da un solo segno: l’amore per questa terra e per questa
gente. Dal racconto delle brutali modalità per l’annessione (proprio tra
“Terroni” e “Carnefici”), allora, all’analisi delle eccellenze di “Giù
al Sud”, della continuità di certe politiche e di una discriminazione
sistematica, tra “Il Sud puzza” e questo libro che evidenzia le stesse
linee adottate dall’Italia anche durante questa emergenza. Un instant
book ma con la documentazione e lo spessore di un libro che resterà
attuale anche fra qualche tempo (felice la scelta di usare il passato
remoto per fatti che stiamo vivendo in queste ore). “L’Italia che non è
mai stata fatta potrebbe essere unita dallo choc di un disastro
planetario che ci rammenta i vantaggi e il valore di una comunità grande
e compatta e la miseria degli egoismi”. Numeri e fatti alla mano,
qualcuno (onesto) potrebbe veramente dare torto a Pino Aprile? “Il
coronavirus fu uno specchio e ci mostrò come siamo. Divisi: costruimmo
lo Stato unitario nel sangue di un genocidio nascosto, ma senza far
nascere un Paese… chi parla di questi temi è immediatamente accusato di
‘voler dividere’, come se il fatto non esistesse finché lo si tace”. Il
virus, allora, come occasione di riflessione e, come spesso capita nei
libri di Aprile, di prospettive per il futuro, di fronte al crollo del
mito del Nord e alla nascita di un nuovo senso di appartenenza al Sud,
spesso travestito da ri-sentimento, più che giustificato se si pensa
agli attacchi subiti anche addirittura in questi giorni e dei quali
Aprile fa un ottimo resoconto includendo anche i successi di tante e
massicce reazioni con le rettifiche/scuse che ad esse spesso sono
seguite. Le prove del fallimento del mito del Nord? Tante e autorevoli,
come sempre nei libri di Aprile (se solo qualcuno li leggesse prima di
contestarli): il Los Angeles Times, El Pais, gli studi e gli articoli di
Viesti, Marco Esposito, Sales (“L’Italia ha retto perché la popolazione
meridionale è stata di una compostezza e autodisciplina esemplari con
un potenziale civile e comportamentale importantissimo”), quelli di
Giannola sui progressivi fallimenti della costosissima economia del Nord
ormai quasi tutta in mani straniere, quelli recentissimi di Vittorio
Daniele che smantellano tanti miti negativi legati al Mezzogiorno
preunitario, dalle industrie ai salari, dall’alimentazione alle scuole
(“il numero medio di scuole per comune non era dissimile da quello del
Nord”), quelli di Cristante e Cremonesini con quella “Parte cattiva
dell’Italia” che da decenni e senza pause viene fuori dal racconto dei
media, i dati ufficiali relativi ai mancati finanziamenti nella Sanità e
nel resto dei settori più importanti nel passato e nel presente, fino
agli oltre 840 miliardi di euro sottratti al Sud in questi ultimi 17
anni passando dai regionalismi ai “furti che non fanno scandalo” della
spesa storica, dalle politiche leghiste a quelle del Pun (“partito unico
del Nord”) trasversale e attivissimo anche mentre scriviamo. Aprile
non è “secessionista”, non è “borbonico” e neanche “neoborbonico” anche
se è amico di tanti neoborbonici (ma non ditelo in giro) e quando
scrive che senza la necessaria equità tra le due parti del Paese questo
Paese potrebbe dividersi anche politicamente lo fa perché prende atto di
una situazione che dura da troppo tempo e della quale non si accorge
solo chi ha scarse facoltà mentali o magari utilizza questa situazione
per interessi personali magari nelle solite cattedre di “tutta colpa del
Sud” che ben conosciamo. E questo libro che si può leggere davvero
tutto di un fiato in un paio di notti, può essere un libro utile. È un
libro per il Nord che non ha mai saputo e per il Sud che ancora non sa:
“il tentativo di far comprendere, agli onesti del Nord, cosa significa
essere meridionali (terroni) in Italia”. Così, nella “fantacronaca di un
disastro” si analizza che cosa sarebbe successo se la Campania (e non
la Lombardia) avesse registrato quel numero di vittime, se si fossero
verificati ad Acerra e non a Bergamo tutti quegli errori, dalle zone
rosse non istituite ai ritardi nell’assistenza, dalle aperture e alle
chiusure “unificate” fino alle migliaia di aziende che hanno continuato
tranquillamente a lavorare e ai contagi che continuano a preoccupare
l’Italia e non solo. E così i servizi televisivi con i cronisti di turno
a caccia di strade affollate (“ora non ci sono ma vi giuriamo che poco
fa c’erano”) diventano il paradigma per capire come funziona il
sistema-Italia da troppi anni. In tanti, forse troppo abituati al
razzismo, hanno accusato i meridionali di essere razzisti contro i
settentrionali confondendo i cordoni sanitari con l’odio razziale. “Senza
la Lombardia l’Italia sarebbe nona nel mondo per vittime e il Sud
sarebbe fuori classifica” è stata giudicata come una tesi offensiva da
gente che da 150 anni grida che “senza il Sud il Nord sarebbe primo in
Europa”… E così, pur di continuare a vivere nel mito della grandezza
lombarda e di non ammettere errori e forse colpe contrapposte agli
oggettivi meriti dei meridionali, è iniziata la caccia agli alibi anche
da parte dei non lombardi e si è più volte parlato di aria, di clima,
del mare o del dna. Ed è lo schema usato per giustificare la questione
meridionale, a caccia di qualsiasi motivo pur di non ammettere errori e
colpe italiane e non possiamo che concordare con questa analogia ben
sintetizzata nel libro. Il futuro, invece, potrebbe passare per le
stradine molisane di Castellino del Biferno, nel racconto di quella
vecchietta citato da Aprile, in quei borghi dimenticati del nostro Sud,
in quelle “terre di mezzo” fatte “di saperi, storie, riti, tradizioni,
gastronomia, castelli e cattedrali”. Secondo il governatore della
Lombardia Fontana, nelle antiche famiglie contadine se c’era una sola
bistecca la si dava all’uomo che doveva lavorare ed è questa la
filosofia che ispira da tanto tempo il “prima il Nord” di matrice non
solo leghista e il mito della “locomotiva” italiana che anche pochi
minuti fa è stato rispolverato da giornalisti non leghisti (De Bortoli,
tra gli altri). Per Pino (e per noi) non è così: nella nostra civiltà
mediterranea (e cristiana) quella bistecca la dividevamo tra tutti i
familiari e l’uomo di casa spesso si inventava “un blocco allo stomaco” e
regalava agli altri la sua parte. Aprile non poteva scegliere un
racconto migliore per spiegare la “missione” del suo libro: far capire
che esiste, che deve esistere, anche in presenza, forse, di civiltà
diverse, un’altra strada per il futuro della nostra gente, magari nella
conoscenza e nel rispetto reciproco. È questo il “paese sognato” di Pino
Aprile e noi condividiamo da tempo il suo sogno. Gennaro De Crescenzo
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