TRATTATELLO DIVERTENTE SUI PERIODICI, COMICI E INUTILI TENTATIVI DI SMANTELLARE I PRIMATI BORBONICI. Girando sul web mi sono imbattuto in uno strano articolo di una rivista online di cui non conoscevo l’esistenza. Mi hanno colpito solo una rubrica dedicata specificatamente alla massoneria o meglio alle “cose massoniche” e vari
articoli
contro i neoborbonici e contro Pino Aprile forse solo per la caccia ai
clic. Questa volta una non meglio identificata redazione scrive un
articolo con la consulenza di un signore definito “storico” ma che non
ha voluto evidentemente firmare l’articolo. In questo articolo si
vorrebbe negare l’esistenza dei primati borbonici e il filone è quello
che da anni De Crescenzo definisce “antiprimatista” fornendo dei 4 gatti
che ne fanno parte una bella e divertente “scheda” nel libro che ho
letto e recensito qualche mese fa. Per De Crescenzo le motivazioni
potrebbero essere psicologico-politiche e non ha tutti i torti. Nel
libro c’è un divertente passaggio in cui De Crescenzo immagina questi
“antiprimatisti” impegnati di notte al lume delle loro candele nella
accanita ricerca di questo o quel cavillo per dimostrare che questo o
quel primato non è napoletano o meridionale e che magari qualche giorno
prima un anonimo scienziato della Bassa Baviera aveva parlato della
stessa invenzione. Chi fa queste operazioni non ha alternative perché o è
vittima di un consistente complesso di inferiorità se è del Sud e vuole
a tutti i costi dimostrare che il Sud e la sua storia fanno schifo o è
vittima di un consistente complesso di superiorità se è del Nord e vuole
dimostrare a tutti i costi che il Sud fa schifo oppure gli diamo
un’altra chance anche se non vale per questo caso ma per accademici
anche famosi: vuole dimostrare tutto questo perché teme che la
diffusione della storia dei primati e dell’orgoglio possa essere
pericolosa perché magari poi cresceranno nuovi meridionali orgogliosi e
magari non solo dal punto di vista culturale. E del resto questo
potrebbe spiegare perché qualcuno anche nelle accademie si accanisca
così tanto su queste storie se poi scrive sempre che “i neoborbonici
scrivono bugie, non sono storici” ecc. ecc. sapendo bene che ormai
queste storie sono diventate “maggioritarie”, come scrisse tempo fa lo
stesso Galli della Loggia.
L’articolo
già inizia in maniera involontariamente comica perché vorrebbe
distruggere i primati delle Due Sicilie indicati nel libro di De
Crescenzo ma “la redazione” scrive senza pudore che il libro non lo ha
comprato e usa le notizie del vecchio sito dei neoborbonici! E tra
l’altro si tratta di un elenco in gran parte integrato e aggiornato nel
libro e se ci avessero detto che non avevano il budget necessario in
redazione -una cinquantina di euro in tutto- anche noi, pur con la
nostra povertà, una copia gliela avremmo rimediata. Entro nel divertente
dettaglio con la premessa divertente che questi tizi “volevano suonare e
sono stati suonati”… e l’altra premessa che i primati del libro sono
154 e qui si parla solo di 14 primati forse perché sugli altri 140
primati -di cui tantissimi di grandissima importanza e significato- la
redazione non è riuscita a trovare notizie che li negassero.
Divertentissimo,
allora, iniziare con la prima cattedra di economia che il libro di De
Crescenzo attribuisce a Genovesi nel 1754 e che l’anonimo redattore
vorrebbe per forza attribuire alla Germania e per la precisione ad Halle
così come con un errore abbastanza grossolano aveva fatto anche il
solito Barbero citato ovviamente pure in questo articolo. Scrive De
Crescenzo: “Qualcuno (uno dei nemici dei primati, come già detto) in
questi anni ha tentato maldestramente di togliere a Napoli questo
primato per attribuirlo alla Germania. Tenendo da parte le tante e
autorevoli fonti che attestano la napoletanità del primato e tra esse
anche la semplice ma attendibile Enciclopedia Treccani, anche nella sua
pratica e gratuita versione online (“A Genovesi venne infatti affidata
nel 1754 a Napoli la prima cattedra di economia di cui si ha traccia in
Europa”), quella tedesca del 1727 era una cattedra di ‘Ökonomische,
Polizei und Kameralwissenschaft’ alle Università di Halle e di Frankfurt
(‘Economia, Polizia e Cameralismo’, una dottrina che univa ‘esercito ed
economia’)… Chiari e documentati, per chi vuole e sa leggere, i puntuali studi di Pierangelo Schiera (Enciclopedia delle Scienze Sociali, 1991): quello legato a quella cattedra è un "fenomeno tipicamente germanico, strettamente collegato alle specificità storiche: è sintomatico quel che scrive nel 1717, in un'operetta anonima, il cameralista Theodor Ludwig Lau: una 'polizia ben strutturata' è il primo dei quattro 'pilastri fondamentali' dell'edificio finanziario statale. Sarà di dieci anni successiva (1727) l'istituzione delle prime due cattedre di Ökonomische-, Polizei- und Kameralwissenschaft alle Università di Halle e di Frankfurt an der Oder. Il merito è del più grande, forse, dei monarchi Hohenzollern: Federico Guglielmo, il re soldato. Un altro cameralista famoso, Ludewig, commentando in un lavoro apposito la 'professione recentemente istituita', annoterà subito infatti che "esercito ed economia vanno di pari passo'. Noi potremmo aggiungere quello che è poi divenuto proverbiale in Germania, e soprattutto in Prussia, in età guglielmina: che esercito e amministrazione sono i due pilastri dello Stato, ai quali, a un certo punto, ne viene aggiunto un terzo: la scienza".
“Toccò a Genovesi, allora -scrive De Crescenzo- inaugurare
il nuovo corso di economia in una sala gremita la mattina del 5 novembre
del 1754 con una lezione sul commercio in universale. Siamo di fronte
ad una nuova cultura scientifica, economica e tecnologica (la ‘studiosa
gioventù del Regno’) che aveva grandi rapporti con gli intellettuali di
tutto il mondo ma che analizzava la propria realtà cercando strade nuove
per un concreto sviluppo di territori e popoli”. Altro che Halle… (v.
sul tema, oltre che la… Treccani, F. Venturi, 1960; G. Racioppi, 1963;
M. De Luca, 1969).
Nel
libro si attesta, nel 1796, l’esistenza del “primo consolato ancora
attivo degli Stati Uniti d’America in Italia a Napoli con John Mathieu” e
anche lo stesso consolato americano ha più volte attestato che quello
napoletano è “la più antica e attiva rappresentanza degli USA in
Italia”. Nulla da aggiungere a quanto riferito dalle stesse fonti…
diplomatiche.
Nel
libro, nel 1774, la prima istituzione in Italia della “motivazione
delle Sentenze” con Gaetano Filangieri e non c’è testo di diritto che
non attesti che quella del grande Filangieri sia stata il primo grande
intervento sulle motivazioni delle sentenze, una motivazione intesa in
senso ampio e articolato e anche con “l’obbligo e il divieto di
interpretatio” (altro che leggine seicentesche sabaude con le
motivazioni “su richiesta della parte”).
Dell’orto
botanico moderno non c’è traccia nel libro di De Crescenzo anche se gli
esempi cinquecenteschi riportati dal redattore restano divertenti: un
conto orti e giardini magari presenti pure nell’antico Egitto, un altro
dei centri sperimentali di ricerca.
Nel
libro la notizia, nel 1819, del primo edificio costruito per un
Osservatorio Astronomico in Italia, a Capodimonte e se parliamo di
appositi edifici preposti a quella precisa attività in un vero e proprio
polo per la ricerca scientifica la notizia è esattissima e anche a
Napoli, ovviamente, risultavano diverse “specole” più antiche e
collocate in altri edifici. Nel
libro si riporta la notizia della prima normativa per la tutela dei
beni culturali nel 1839. Ovvio che ci fossero diverse leggi precedenti
in materia arrivando magari fino all’antica Roma o alle leggi per la
tutela della colonna traiana nel XII secolo e tra l’altro ne risultano
tante anche a Napoli ma nel 1839 fu emanato un vero e proprio “corpus”
di leggi che intervenivano sulla tutela del patrimonio, sul moderno
concetto di bene culturale come bene pubblico, sulla catalogazione,
sulla conservazione, sul restauro, sulla contestualizzazione, sulla
valorizzazione e sullo stesso “abbellimento” necessario alle città con
appositi Consigli Edilizi (89 i punti delle specifiche “appuntazioni”).
Nel
libro la notizia del primo tribunale del commercio nel 1735 e lo stesso
redattore conferma lui stesso la notizia citando “consolati” e
“consigli” con sezioni giudiziarie e non un “apposito tribunale” (cfr.
G. Caridi, 2011).
Per
De Crescenzo nel 1777 quello napoletano fu il primo stato italiano a
stabilire rapporti diplomatici ufficiali con l’Impero Russo. Il
redattore cita altri consolati italiani ma sapete chi lo smentisce? Il
consolato russo! “Il primo consolato russo fu istituito a Venezia nel
1711 ma tra Venezia e l'impero russo vennero stabiliti rapporti
diplomatici ufficiali soltanto nel maggio 1782. Con il Regno di Napoli
furono stabiliti rapporti diplomatici, più stretti che con gli altri
stati italiani, fra il 1776 e il 1778. I rapporti con il Piemonte
vennero stabiliti nel 1783 e con la Toscana nel 1785”. Fonte: Consolato
Russo https://milan.mid.ru/web/milan-it/home
Per
De Crescenzo fu del 1781 il primo moderno Codice Marittimo
Internazionale di Michele de Jorio e preferiamo riportare il dettagliato
passo del suo libro evidenziando che De Crescenzo cita le notizie che
il redattore cita come un suo scoop: “il primo moderno codice marittimo
internazionale (numerose le polemiche per la successiva versione del
sardo Domenico Alberto Azuni, molto simile a quella napoletana). Quel
codice era il frutto di una grande tradizione locale se solo pensiamo
alle Tavole di Amalfi (il più antico statuto marittimo italiano
utilizzato in tutto il Mediterraneo fino al XVI secolo) o agli Statuti
di Trani (“Ordinamenta et Consuetudo maris”) sempre intorno all’anno
1000. Quel codice era il frutto anche di precedenti studi avviati fin
dal 1741 con Carlo di Borbone e con la IX Prammatica “de nautis et
portibus” finalizzata alla creazione di “uno speciale codice in cui dopo
maturo e diligente esame e consiglio di varie persone dotte
intelligenti e prudenti saranno da noi stabilite e pubblicate tutte le
leggi relative sia alla buona ed utile navigazione come al felice
commercio”. Il Codice Ferdinando “compilato per ordine di S.M.
Ferdinando IV, re delle Due Sicilie” era diviso in quattro tomi per 2411
pagine complessive e fu stampato in soli venticinque esemplari per
essere sottoposto agli organi di governo”. Un’opera mastodontica che non
aveva precedenti per l’articolazione e la complessità e la modernità
delle argomentazioni e vale dal punto di vista scientifico e anche a
prescindere dal fatto che sia andato o no in vigore (e nel libro non si
dice che sia entrato in vigore).
Nel
libro si scrive che nel 1801 ci fu il primo museo mineralogico in
Italia (e non al mondo) per la conservazione e la valorizzazione e lo
studio dei minerali ed era così e se parliamo di semplici collezioni è
normale che se ne trovassero molte anche 2000 o 500 anni fa com’è
scritto nel libro: “un vero e proprio centro di ricerca scientifica
finalizzata alla valorizzazione delle risorse minerarie del Regno di
Napoli (ed era questa la caratteristica che lo distingueva dagli altri
musei simili)”.
Del
primato relativo al primo istituto di “sinologia e scienze orientali”
nel libro non c’è traccia ma il redattore dovrebbe chiedere lumi ai
direttissimi interessati che nella pagina del prestigioso Istituto
Universitario Orientale di Napoli attestano che la “prima istituzione in
Europa a impartire l’insegnamento di lingue e culture dell’Asia, il
Collegio dei Cinesi ha assunto nomi diversi fino a trasformarsi
nell’attuale Università degli Studi di Napoli L’Orientale”
(http://www.unior.it/ateneo/6864/1/presentazione.html).
Stesso
discorso per la cattedra di zoologia che viene riconosciuta come tale
dal sito dell’Università di Napoli per la “celebrazione del duecentesimo
anniversario dell'istituzione della prima cattedra di Zoologia in
Italia, avvenuta a Napoli nel 1806”. Questo il passo del libro di De
Crescenzo: “Sempre a proposito di scienze naturali, fu istituita (nel
1806 e con il soldo di 300 ducati l’anno) la prima cattedra di zoologia a
Napoli: la cattedra era divisa in zoologia dei quadrupedi, dei cetacei e
dei volatili e degli insetti, dei vermi […] e degli animali
microscopici”. Il redattore, allora, dovrebbe sfidare a duello
l’Università di Napoli e la cattedra di zoologia… E gli giriamo le
indicazioni. http://www.unina.it/-/1322939-congresso-uzi-nel-bicentenario-della-nascita-di-zoologia-a-napoli
Nel
libro si riporta la notizia della prima città con illuminazione
pubblica a gas delle strade, il redattore, invece, riporta alcuni
precedenti episodi senza fare caso neanche al fatto che non si trattava
certo di intere strade pubbliche con oltre 400 lampade come a Napoli ma
di un bar (!), di casa-Porro e di una galleria tenendo da parte diverse
fonti che attestano questo primato (tra gli altri quello monumentale di
C. N. Sasso, 1856). Questo l’interessante passaggio del libro: “il
progetto era relativo alla illuminazione della città con oltre 400
fanali (due gli opifici appositamente creati e uno di essi era nella
zona di Chiaia con i tubi e le canalizzazioni principali verso via
Toledo)”.
In quanto al commercio verso la Francia (Napoli primo stato italiano e secondo nel mondo dopo gli Inglesi nel 1859) si riportano qualche volta i dati di un Dizionario francese del Commercio relativi per giunta al 1858 e con differenze minime nel numero di navi (una sessantina in media circa in meno quelle napoletane rispetto a quelle spagnole o turche) e anche al tonnellaggio che per giunta, rispetto al Piemonte, fa prevalere nettamente le Due Sicilie (18.000 le tonnellate piemontesi, 127.000 quelle napoletane). Del resto per chi molto superficialmente ipotizza che i dati non possono essere “così diversi da un anno all’altro” riportiamo i dati dell’incremento della flotta mercantile delle Due Sicilie passata dalle 9382 unità del 1857 alle 10.984 unità nell’anno successivo (cfr. Giornale Officiale di Napoli, 24 giugno 1861). E, per finire, vengono ovviamente ignorate le altre fonti che pure attestano in quegli anni che “nei porti francesi la bandiera delle Due Sicilie occupava il secondo posto, dopo l’Inghilterra”. Cfr. Pino Fortini, famoso storico del mare, in “Rivista di Cultura Marinara”, Ministero della Marina, Roma, 1933; D. Capecelatro Gaudioso, Crollo di Napoli Capitale, 197, pp. 195-198. Cfr. anche gli interessantissimi (e coerenti) dati riportati dal documentatissimo studio di L. Radogna, Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie, 1982, pp. 109-112: “Nel triennio 1845-1847 la bandiera delle Due Sicilie, inoltre, fu in testa tra tutte quelle dei vari stati italiani, ad esempio, nei porti nord-americani con 48 approdi per 14.023 tonnellate” (cfr. anche Archivio di Stato di Napoli, Fondo Ministero Agricoltura Industria e Commercio, fascio n. 512). Significativo (ma ignorato), infine, il dato riportato da A. Massafra (Il Mezzogiorno preunitario): consistenti quantità di olio e di altri prodotti venivano esportate proprio attraverso gli Stati Sardi e su navi sarde e francesi e il porto franco di Genova e di lì a Marsiglia.
Nel
libro si riporta la notizia dei primi studi di Raffaele Piria
sull’acido salicilico e il furbissimo redattore per smentirlo scrive che
quell’acido era conosciuto già nel I millennio a. C. e che due
scienziati stranieri lo avevano studiato prima di Piria. Peccato per il
furbissimo redattore che sia la stessa Università di Bari, con centinaia
di altre fonti, ad attestare che è vero che quella sostanza era
conosciuta fin dalla antichità e che altri scienziati l’avevano studiata
ma è vero anche che fu Piria a “separare da una soluzione di salicina
una sostanza cristallina incolore che aveva proprietà acide e che quindi
chiamò [per la prima volta] acido salicilico riuscendo anche a capire
che questa sostanza era la responsabile dell’azione antipiretica [verso
la futura aspirina]”. “A Raffaele Piria il merito di aver scoperto che
dalla salicina si poteva giungere all'acido salicilico” anche se al
redattore non fa piacere. Tra le tantissime fonti v. gli Atti del
Convegno dell’Ordine dei Medici, Campobasso, 2019 o Atti del
Dipartimento-Reclutamento, Università di Bari, 2015/2016. https://reclutamento.ict.uniba.it/ammissione-cdl-numero-programmato/questionari-soluzioni-cdlnp/anno-accademico-2016-2017/saat.pdf
Un’ultima
osservazione: se per fare una bella figura si deve citare Dante (XVIII, Inferno) almeno citatelo bene: il verso non è QUINCI SIA LE VOSTRE
VISTE SAZIE ma QUINCI SIAN LE NOSTRE VISTE SAZIE e, a parte la licenza
poetica di sostituire il VOSTRE con NOSTRE, quel singolare SIA è un
pugno nello stomaco del sommo poeta toscano. Noi siamo, però, più
plebei e preferiamo citare, senza errori grammaticali, il sommo poeta
napoletano con la sua famosa frase MA MI FACCIA IL PIACERE…
Emilio Caserta
con la consulenza dello storico Alessandro Romano
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