LO SCRITTORE PASCALE E IL RACCONTO (INESATTO O PARZIALE) DELLE VERITA’ SULLA STORIA DEL REGNO DELLE DUE SICILIE. Antonio Pascale, giornalista e autore di vari romanzi, su diverse pagine del Foglio del 13 aprile scrive, scrive notizie non del tutto esatte in merito
alla storia del Sud
pre-unitario ed in tempi di lotta alla fake news forse è opportuno
qualche chiarimento. “Falsa partenza”, forse, se per delineare il quadro
della miseria dell’Italia di metà Ottocento e per “delinearne il quadro
socio-economico” si analizza (tanto per cambiare) il Sud senza
analizzare, nel contempo, quadri altrettanto degradati in tutta l’Italia
e anche in tutta l’Europa del tempo. La tesi della prima ferrovia
italiana (Napoli-Portici), poi, costruita “per i ricchi” e per
consentire alla “famiglia reale di raggiungere il mare” è quasi
surreale: per Pascale i Borbone avrebbero investito milioni e milioni di
euro attuali per giocare su un trenino andando avanti e indietro tra i
paesi vesuviani? Difficile credere, pure sforzandoci, al fatto che in
meno di 20 anni si registrassero oltre 15 milioni di passeggeri (dati
del “Journal des Chemins de Fer” di quegli anni) e che presso la corte
ci fossero 15 milioni di persone... Nessun cenno, da parte di Pascale,
ovviamente, ai progetti di espansione delle ferrovie borboniche
interrotti nel 1860 e neanche ai dati relativi alla costruzione di
ferrovie dopo l’unificazione (1400 milioni di lire spesi al Centro-Nord,
750 al Sud e nelle isole tra il 1863 e il 1898) fino alle differenza
gravi tra il Nord e il Sud addirittura di oggi con intere zone a binari
unici e Matera ancora senza treni... Così per Pascale l’esclusione della
donna dal lavoro dei campi dimostrerebbe non una forma magari rozza ma
efficace di tutela delle donne da un lavoro massacrante ma di
“subordinazione all’uomo”. Così Pascale cita i famosi dati
sull’analfabetismo senza tenere conto di nuovi studi che dimostrano come
“tale immagine negativa non trova piena conferma nei risultati della
ricerca sul campo” (M. Lupo, 2012) o come gli iscritti all’università
merdionali fossero il doppio di quelli di tutti gli stati italiani messi
insieme o come le scuole fossero al Sud non meno di 6000 con
percentuali in media italiana (Archivio di Stato di Napoli, fondo
Ministero Istruzione) e come quei dati del censimento furono forse
manipolati e strumentalizzati o come le scuole al Sud furono di fatto in
gran parte chiuse dal 1861 per circa 10 anni con l’applicazione della
legge sabauda Casati che affidava ai Comuni (disastrati) la gestione e
la costruzione delle scuole o di come, infine (F. S. Nitti, Camera dei
Deputati, 1907) dopo 50 dall’unità le differenze Nord/Sud non fossero
rimaste tutte invariate. In quanto a quella metà della popolazione che
sarebbe vissuta “sotto la soglia di povertà”, Pascale cita Emanuele
Felice dimenticando, però, di citare due tra le fonti principali (V.
Daniele e P. Malanima) che definirono il libro di Felice “degno degli
scaffali della pubblicistica” e non degli studi economici e dimentica
anche di riferire altri dati che smantellano la strana tesi secondo la
quale c’era “una minoranza molto agiata che innalzava il pil medio su
livelli più alti di quelli che cisi potrebbe aspettare dagli indicatori
sociali”. Siamo di fronte ad un tipico caso di quello che il prof. L. De
Matteo (2016) definisce “tesismo”: ci si innamora di una tesi e la si
porta avanti anche a prescindere dai dati. Che il Pil medio e anche i
redditi medi erano pari o superiori a quelli del resto dell’Italia in
molte regioni meridionali lo dimostrano anche altri parametri semplici
ma importanti: la mancanza totale di emigrazione nel Sud preunitario (a
differenza di altre aree italiane ed europee), gli indici di crescita
enormi della popolazione (quasi raddoppiata tra il 1750 e il 1850) anche
grazie ad una buona crescita dei livelli di industrializzazione con un
numero di operai quasi doppio rispetto a quelli del Nord (altro che
“borghesia non molto viva sul piano imprenditoriale”) e cali sensibili
solo a partire dal 1870 (v. Fenoaltea e Ciccarelli, 2011), non a caso,
dopo la devastante guerra del “brigantaggio” (con annessi massacri e
deportazioni), inizio della tragedia dell’emigrazione meridionale,
tragedia iniziata allora e mai finita se diamo un occhio a quel Sud
presto “desertificato” preannunciato da Istat e Svimez. In conclusione
prendiamo spunto dal titolo di un libro di Pascale (“Scienza e
sentimento”) per evidenziare che la scienza e la storia devono essere
scritte senza sentimento ma con fonti e possibilmente numerose e
diverse. Tanto più se si tratta di scrittori napoletani che,
consapevolmente o meno, continuano il racconto di un Sud
bruttosporcoecattivo da sempre irredimibile, lo stesso racconto che è
stato l’alibi per creare e per non risolvere le questioni meridionali da
oltre un secolo e mezzo per le classi dirigenti (locali e nazionali) di
turno. Prof. Gennaro De Crescenzo |