LA BELLA, TRAGICA (E VERA) STORIA DI MICHELINA DI CESARE NEL NUOVO LIBRO DI NADIA VERDILE. Fin dalla dedica il nuovo libro di Nadia Verdile (“Michelina Di Cesare”) chiarisce quali sono le sue tesi e le sue idee su una delle più famose brigantesse del Sud post-unitario: “A Macchiagodena, terra delle mie radici”… Si tratta di un libro che unisce documenti e poesia, notizie storiche e racconto e lo fa in maniera coinvolgente. In tanti sappiamo quale sia stato il destino tragico di Michelina ma, leggendo
le pagine di questo
libro, arrivi quasi ad augurarti che il finale possa essere un altro. E
così vengono cancellate tante inesattezze anche di storici (o presunti
tali) del presente e del passato sulla vita di quella ragazza che scelse
di diventare brigantessa “per necessità, per bisogno di libertà, per
sete di giustizia e per solitudine… braccia forti, cervello scaltro,
voglia di riscatto e determinazione”. Altro che “drude/prostitute”: poi
si innamorò “ma quella fu un’altra storia” e fu una storia di
“condivisione e di un progetto comune di vita”. E così entriamo in
quelle povere ma dignitose case della zona di Caspoli, tra le montagne
casertane (“una stanza sola. Umida e disadorna. Da una parte i letti,
quello matrimoniale e quelli per i figli, in un angolo un camino senza
cappa, accanto una cucina in muratura”), leggiamo gli atti di nascita e
di morte dei suoi parenti, del marito e di chi poi diventò il suo uomo,
il capo-brigante Francesco Guerra, riconosciamo, da lontano, Gaeta, il
luogo dell’ultima difesa di Francesco II di Borbone e della moglie Maria
Sofia, la chiesetta dove si sposarono i due “briganti”, quella statua
di San Sebastiano e l’autrice, partendo sempre da un dato vero,
ricostruisce i pensieri della protagonista: “Quella storia l’aveva
colpita. Morire in nome di un’idea, di una fede. Così leggiamo quelle
piccole storie che si incrociano con le grandi storie (“e mentre
combatteva la sua personale battaglia contro il malocchio, il suo Regno
cambiava e lei non sapeva ancora che quel cambiamento avrebbe stravolto
la sua vita. Per sempre”), il dolore profondo per il distacco dal suo
bambino dopo nove mesi nei quali era ritornata ad essere donna, il nuovo
matrimonio con Francesco fino all’atto finale della morte di entrambi
“in una notte di tempesta alla fine di agosto” e dell’umiliazione di
Michelina con quelle foto che in quei momenti colpirono la sua dignità
ma che poi l’avrebbero resa immortale arrivando fino a noi e fino alle
pagine di un libro come questo. Lo sfondo storico è tratteggiato in
maniera chiara e netta con i numeri dei militari impegnati nella famosa
“repressione del brigantaggio” (più di duecentomila: altro che
brigantaggio “endemico” e “da sempre presente in quelle zone”), quelli
della crudeltà, “quei tempi di Attila” tra tante citazioni razziste e
cariche di un odio mai conosciuto prima, i soldati trasferiti a
Fenestrelle per (improbabili) “lezioni di moralità morali” o progetti di
deportazione in Patagonia… E non fu (solo) brigantaggio “sociale” se lo
stesso Guerra era un militare borbonico e i suoi fratelli impiegati
pubblici nel Regno. E non poteva essere un brigantaggio sociale quello
che esplose non a caso proprio nei giorni del (falso) plebiscito del 21
ottobre del 1860. “Banditi e briganti non furono la stessa cosa anche se
tra i briganti non mancarono i banditi”, scrive giustamente la Verdile
sgombrando il campo dalle inconsistenti tesi (anche attuali) di chi
confonde i piani di quella guerra. E uno spazio significativo è dedicato
ad un altro tema trascurato: le lacerazioni di una società fino ad
allora sostanzialmente “integra” (lacerazioni iniziate allora e spesso
ancora attuali) e la cancellazione di valori che caratterizzavano quella
società e si pensi solo ai “tradimenti premiati”: felice ed efficace la
citazione del Delli Franci: “Da un canto soldati, che fedeli alla
religione del giuramento dato al Re ed alla patria, difendevano il trono
minacciato e con esso la costituzione del paese; dall’altro cittadini
armati, aiutati da militari spergiuri e d’avventurieri d’ogni paese”.
Per molto meno la retorica della storiografia ufficiale non solo
italiana ha dipinto come eroi o miti personaggi che non furono né eroi
né miti ed è anche naturale che, dopo oltre un secolo e mezzo, si
possano leggere magari con ammirazione se non con affetto storie come
quella del Guerra con il suo “attaccamento alla divisa che aveva scelto e
difeso” e la sua fedeltà “a quella bandiera”. Tanto più se le notizie
riportate sono (com’è consuetudine nei libri di Nadia Verdile) frutto di
ricerche lunghe e complesse e in gran parte archivistiche (in questo
caso soprattutto presso l’Archivio di Stato di Caserta). “Fu Italia
anche questa” scrive giustamente l’autrice alla fine del suo libro ed è
una semplice e profonda verità che abbiamo semplicemente il diritto e il
dovere di raccontare.
Gennaro De Crescenzo
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