PINO APRILE SUL "LIBRO DEI PRIMATI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE" DI GENNARO DE CRESCENZO: UNA PREZIOSA STRENNA CHE DEMOLISCE LA FIABA NERA DEL SUD ARRETRATO E PIÙ POVERO DEL NORD. "Eh sì, è proprio una strenna (da farci un regalo quando viene Natale, tenere vicino alla scrivania, per consultarla e confutare disinformati o denigratori per dovere accademico o di narrazione “antica e accettata”); un libro che non puoi
portarti in metropolitana, sul bus, ma leggi magari in compagnia (“Ma hai visto qui? Altro che…”)...
Può
sembrare un errore editoriale: un libro grande prima di tutto per
dimensioni, peso, ambizione e, qualcuno potrebbe obiettare, prezzo. Ma
“Il libro dei primati del Regno delle Due Sicilie dal 1734 al 1860”, di
Gennaro De Crescenzo, proprio per questo, trasmette un segnale
importante, che rischia di sfuggire: un tal genere di testi è passato
dalla categoria delle opere di nicchia, per pochi curiosi o consapevoli,
da far aumentare in ogni modo (quindi, prezzi bassi, carta andante,
edizione spartana) alla categoria delle strenne, per le quali si sa di
avere ormai un mercato ampio e sicuro, per cui, se pure solo una piccola
percentuale investe nell’acquisto, l’impresa è commercialmente sana. E
il volume merita il prezzo, per la qualità dei materiali: la prima cosa
che faccio, con i libri, è sentirli al tatto; alcuni, e non scherzo,
hanno un che di sensuale; la seconda è annusarli: l’odore della carta,
della copertina, dell’inchiostro dicono molto della qualità e se un
editore investe in quella, è facile che anche il contenuto sia dello
stesso livello. Questa strenna di Grimaldi & C. (con cui De
Crescenzo ha pubblicato anche altre opere, ricordo in particolare la
ricerca, poi copiata da tanti, sulle industrie delle Due Sicilie, prima
dell’unità) ha un buon odore e al polpastrello sa di seta. Eh
sì, è proprio una strenna (da farci un regalo quando viene Natale,
tenere vicino alla scrivania, per consultarla e confutare disinformati o
denigratori per dovere accademico o di narrazione “antica e
accettata”); un libro che non puoi portarti in metropolitana, sul bus,
ma leggi magari in compagnia (“Ma hai visto qui? Altro che…”), stando
comodo, scritto a caratteri non piccolissimi, lo leggi pure senza
occhiali; devi soffermarti sulle tante immagini, ognuna frutto di
accurate ricerche, ognuna un documento storico, una prova: non sono cose
che si possano saltare. Non voglio sminuire (ci mancherebbe!) il
minuzioso, ammirevole lavoro di Gennaro De Crescenzo, ma un conto è
leggere, nella sintesi necessaria di quelle perle d’archivio e di
biblioteca, un conto è seguire, nelle pagine ingiallite rubate al tempo e
riprodotte, tabelle, numeri, dati che fanno a pezzi la favola nera del
Sud arretrato e più povero del Nord (peccato che dalle regioni del Nord
si emigrava a milioni e dal Regno delle Due Sicilie no, e non riescano a
darci una spiegazione passabile i sostenitori di questa tesi,
confezionata a posteriori per assolvere l’aggressore e trasformarlo in
benefattore, come si fa per le colonie: “Gli abbiamo fatto pure le
strade, in Africa!”. Lastricate di cadaveri). Vien da dire: ma è tutto
lì, a portata di mano, documentato, bastava volerlo trovare; e chiedersi
come mai, qualche chiusura mentale, ottundimento da pregiudizio o
cattiva fede portino a negare persino l’evidenza, dopo che altri hanno
portato alla luce le prove che mostrano la falsità di quanto raccontano i
libri di storia.
DOCUMENTI INEDITI RIPRODOTTI E
non potendo negare il vero certificato, ricorrono a tecniche di
denigrazione per nullificarne il valore: aria di sufficienza, il
fastidio di doversi occupare della cosa, il rifiuto di prenderne atto
per quel che è, per quel che e vale (“Ancora questa storia dei
primati!?”: cosa che in genere disturba chi arriva secondo), la
riduzione a fatto episodico, inconsistente, introdotta da un “Sì, ma…”,
“Sì, però…”, oppure con benaltristica mossa del cavallo, “Va bene, ma i
poveri…?”. Una
fuga miserabile dal fatto, per non doverlo ammettere, che viene
rafforzata dallo spostamento della critica dall’argomento
all’argomentatore: la prima ferrovia d’Italia, Napoli-Portici, la fecero
i Borbone? “Sì, ma…”, lo dicono sempre i neoborbonici, signora mia!
Facendo così intendere che la ferrovia tutto sommato, non è fosse tutta
sta meraviglia (in libri di storici pur togatissimi, leggerete che “era
un giocattolo, serviva al re per andare al mare”. De Crescenzo mostra
che a usarla furono 60mila passeggeri già il primo mese, una quindicina
di milioni, dal 1839 al ’57: tutti bagnini?). E comunque sia, era la
prova che a Napoli i treni sapevano farli, e gli altri, in Italia, no,
impararono dopo (i piemontesi andarono nel Regno delle Due Sicilie a
comprar le locomotive, quando fecero le loro ferrovie). E che siano i
neoborbonici o chiunque altro a dirlo, scandalizzando i veterosabaudi,
cambia qualcosa? Poniamo che essere neoborbonico sia una forma di
degenerazione umana (persino più dei veterosabaudi, persino), cambia
qualcosa? Si scoprisse che Archimede rubava le biglie con cui si faceva
il pallottoliere o marchiava a fuoco le tabelline sulla schiena degli
schiavi, per ricordarsele, il suo teorema diviene meno vero? A
Napoli costruirono il primo teatro d’opera del mondo (il San Carlo,
ancora in attività), e non solo lo seppero progettare così bene che gli
altri hanno copiato da quello o si sono ispirati a quello (vedi La Scala
di Milano), ma lo fecero in appena nove mesi. “Va bene, ma i poveri…?”. Per
loro, il re Borbone fece erigere l’Albergo che ancor oggi è il più
grande edificio pubblico del continente europeo. “Sì, ma…” li tenevano
come in carcere, uomini e donne separati. Ma sfamati, vestiti e educati a
un mestiere che potessero poi esercitare. In Gran Bretagna i poveri li
mettevano in galera, come nel Regno di Sardegna, per “vagabondaggio”
(reato difficilmente contestabile da parte di chi non aveva un tetto. E
le carceri sabaude erano tali che una condanna a più di due mesi
equivaleva alla pena di morte). E
si potrebbe continuare: il primo ponte sospeso in ferro, la prima
Accademia navale, le prime case “popolari”, la più grande opera
idraulica del Settecento, la prima nave da guerra a vapore e la prima a
vapore per le Americhe, il primo bacino di carenaggio in muratura, la
prima flotta militare e la prima mercantile d’Italia, per tonnellaggio…
LE TECNICHE DI DENIGRAZIONE: “SÌ MA…”, “SÌ PERÒ…”. “Sì,
però…” erano analfabeti all’87 per cento: e pensa se non lo fossero
stati! Comunque è un dato falso che deriva dal modo in cui fu fatto il
primo censimento unitario e che mal si concilia con primati quali: la
prima cattedra di Astronomia e Nautica, la prima Accademia di
Archeologia, la prima di Zoologia, il primo quotidiano economico, la
prima cattedra di Economia in Europa (e continuate da soli, c’è un libro
apposta!), con il doppio degli studenti universitari del resto d’Italia
messo insieme. “Sì,
ma…” nelle campagne, i poveri contadini! Se la passavano male come in
tutto il mondo e nell’Europa della feroce rivoluzione industriale (basti
leggere Dickens, Hugo), ma nel Regno delle Due Sicilie campavano più a
lungo e mangiavano meglio e più spesso, se non avevano la diffusione di
rachitismo e cretinismo da record mondiale della val Padana. In più, nel
Regno delle Due Sicilie si poteva studiare gratis, se bravi ma poveri
(borse di studio soppresse appena unificata l’Italia), c’era una
promettente industrializzazione, con più addetti che nel resto d’Italia
messo insieme (la più grande officina meccanica, i più grandi cantieri
navali, il più grande stabilimento siderurgico, la più grande fabbrica
di ceramica…). “Sì, però…”, non al livello della Francia, della Gran
Bretagna. Vero, ma con l’annessione al Regno di Sardegna i macchinari
furono portati via, le fabbriche private delle commesse, gli altoforni
distrutti (e oggi il Sud, con il doppio della popolazione di allora, ha
meno addetti all’industria di allora), tanto che è napoletano anche un
primato di cui si sarebbe volentieri fatto a meno: la prima strage, a
opera di soldati sabaudi, di operai che si opponevano alla fine della
propria fabbrica, per volontà “italiana unitaria” e trasferire la
produzione al Nord. E
poi la musica, l’arte, le leggi ora adottate da tutti i Paesi civili
(per esempio, l’obbligo per i giudici di motivare le sentenze), le
innovazioni sociali, dalle pensioni al cimitero per i poveri (primo in
Italia), ai primi casi di assistenza sanitaria gratuita e assegno di
disoccupazione. “Sì,
ma…” poco. Altrove, invece, proprio niente! Quindi il Regno delle Due
Sicilie era un paradiso? No, ma non era l’inferno che vogliono farci
credere, a carte false, da un secolo e mezzo, per celare ai nostri occhi
che se la vita dei “meridionali” (solo dal 1860-61) divenne un inferno o
vi somigliò, fu solo dopo l’unità a mano armata: stragi, saccheggi,
stupri, emigrazione, dottrine per “dimostrare scientificamente”
l’inferiorità dei terroni, addirittura riaprendo, nel 2011, il museo
degli orrori di Cesare Lombroso. A Torino, ovviamente.
LA VERITÀ È SOVVERSIVA PER I DETENTORI DI CATTEDRE IN “TUTTA COLPA DEL SUD” Sono
135 i primati di ogni genere che troverete, con inoppugnabile
documentazione, un racconto gradevole, fluente, pacato. Ma il lavoro di
Gennaro De Crescenzo è inutile e pure pericoloso, per gli spacciatori di
miserie terroniche, titolari di cattedre in “tutta colpa del Sud”
(disciplina che assicura poltrone importanti e lauti guadagni a docenti,
autori, signori nessuno innalzati a dirigenti culturali della più
grande azienda statale per il controllo delle coscienze e la
conservazione del Sud in stato di colonia: la Rai), perché per i custodi
del pregiudizio, se il fatto smentisce il pregiudizio eretto su dati
falsi e deliberatamente falsificati, il fatto è sbagliato. Anzi:
sovversivo, “antiunitario”. Il guaio è che i fatti sono ostinati e quei signori sempre meno credibili e riconoscibili come tali. PINO APRILE
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