16 OTTOBRE 1793. LA FINE DI MARIA ANTONIETTA: “HISTORIA MAGISTRA VITAE NON EST”. RACCONTO DI UN CRIMINE. La parola racconto in un certo senso ci fa pensare a qualcosa di piacevole, tipica delle fiabe come il c’era una volta. No! Cari e pochi amici lettori la mia è cronaca pura poiché tratta delle ultime ore di vita di una regina, di una madre, di una donna. Lo spunto
per la narrazione l’ho
preso dall’incomparabile Alberto Angela che ha tratteggiato la parabola
di Maria Antonietta d’Asburgo- Lorena regina di Francia. Non dirò
degli splendori di una corte ma degli ultimi giorni che furono
l’evoluzione discendente e ineluttabile di una sovrana. Le nubi sul
cielo di Francia si erano formate da poco più di due anni, la tempesta
ebbe il culmine nel fatidico 1793 con la decapitazione di Luigi XVI
Borbone declassato al rango comune di cittadino Capeto. La superstite
non più regina fu identificata come la vedova di una persona qualunque.
Da quel terribile giorno Maria Antonietta indossò il lutto che
l’accompagnerà fino alla morte. Aveva vissuto dal 1789 le traversie più
dolorose che mai si sarebbe immaginata. Condotta con la famiglia sotto
scorta da Versaille, dove si trovava, a Parigi nel palazzo delle
Touoilleries in libertà vigilata. Il futuro per l’intera famiglia era
incerto, era necessario fuggire dalla prigione dorata. Una carrozza
anonima fu noleggiata diretta verso i Paesi Bassi allora dominio
austriaco, la sfortuna volle che i fuggitivi fossero riconosciuti a
Varennes e tradotti a Parigi fra i lazzi e le imprecazioni di una folla
ostile. Non ritornarono alle Tuilleries ma da detenuti comuni furono
ristretti nella prigione detta del Tempio. La Francia era attraversata
da una forza rivoluzionaria che nella maggioranza auspicava la fine
della monarchia assoluta, qualcuno vaticinava quella costituzionale ma
la maggioranza si augurava l’avvento di una Repubblica. Maria Antonietta
insieme alla famiglia era attenta spettatrice, certamente impaurita
dagli avvenimenti. Lo stato d’ansia e il timore per l’incolumità la
spinsero a richiedere incautamente l’aiuto alla sua patria di origine.
Ne abusarono i suoi nemici e tra i capi d’accusa si ipotizzò l’intesa
col nemico; intanto la nuova Francia processava il Re, fu disperata,
attese l’esito del processo che il nuovo regime intentava al consorte,
visse la morte del marito nel dolore più atroce che una moglie possa
provare. Udì dal carcere il cupo rullo dei tamburi che lo accompagnava
al patibolo, stoicamente sopportava l’insopportabile, la sua persona
si consumava all’interno, un solo segno esteriore faceva comprendere il
terribile dramma che viveva, i sui capelli un tempo biondi e dorati ora
erano grigi e spenti. Si era scoperta combattiva niente poteva
piegarla neppure quando le fu strappato il figlio, non seppe che era
stato affidato a un crudele e analfabeta istitutore il ciabattino
Simon, scelto da un pusillanime deputato l’Hèbert, era additata col
nome dispregiativo, l’austriaca, segno di un odio totale. Quando
divenne l’unica superstite insieme alla figlia Teresa la Convenzione
decise che fosse trasferita in un’altra prigione più sicura la
Conciergerie terribile carcere dove tutti attendevano il processo.
Solo una persona si preoccupò della prigioniera l’amministratore del
carcere che le faceva pervenire qualche libro e provvedeva che le fosse
cambiata la biancheria, i secondini appellavano la non più regina,
signora. All’esterno intanto, si approntavano i capi d’accusa gestiti
dal Procuratore della Comune di concerto con l’Hebert, quest’ultimo
aveva preteso che a Maria Antonietta fosse contestata qualcosa di
inimmaginabile, di infamante come aver costretto il figlio ad avere
una relazione incestuosa. La prova era la firma che il piccolo aveva
apposto su una confessione scritta. La povera vedova Capeto soprattutto
per questa accusa fu paragonata alle più nefaste e spregevole donne che
per turpitudini e oscenità erano passate alla storia. Maria Antonietta
non volle difendersi si trincerò nel silenzio. La pubblica accusa non
si dava per vinta insisteva nel pretendere la risposta fino a quando
la poveretta si erse dallo scranno trovando le parole adatte da
scagliare sul viso ai pruriginosi accusatori. Ella si fermò con lo
sguardo sulle numerose donne che seguivano il processo le quali, fino a
qualche minuto prima avevano mormorato e al momento si erano zittite;
guardavano non la regina ma una donna loro simile. “Se non ho risposto è
perché la natura umana rifiuta la domanda posta a una madre”. Le
donne commentarono benevolmente in silenzio mentre il pubblico maschile
aveva opinioni diverse. L’incorruttibile Robespierre colpito dalla
risposta in seguito dirà :” Quell’imbecille di Hébert è stato capace di
fornire un trionfo a un personaggio che prima aveva identificato come
Messalina e Agrippina”. Maria Antonietta ascoltò in piedi la sentenza
che la condannava al patibolo, il volto non dava segni di sgomento,
erano le 4 e mezzo del mattino del 16 ottobre 1793, seduta stante con
le mani legate dietro la schiena venne ricondotta alla Conciergerie,
alle cinque udì gli squilli dell’adunata, dopo poco le truppe lasciavano
le caserme, udì il cigolio delle ruote delle artiglierie. Le strade
che il corteo funebre attraverserà furono chiuse alla circolazione.
Nella solitudine trovò il tempo di inviare le ultime volontà alla
cognata Elisabetta, fece una leggera colazione, un orologio lontano
suonò le sette e proprio in quel momento il boia Sanson giunse alla sua
presenza. La prigioniera gli domandò “ Ma non è presto, signore, non
potreste attendere? “ No! purtroppo signora, obbedisco agli ordini.”
E’ vorticoso ciò che avverrà. La condannata è pronta ha indossato una
vestaglia bianca su una sottoveste nera ha raccolto i capelli in una
cuffia annodata con un nastrino. Sopraggiunge un prete che domanda:
“Signora vuole confessarsi? La condannata sa che il sacerdote è
costituzionale, rifiuta l’invito. Il prete a tal punto domanda se la
potrà accompagnare, la risposta è breve “ fate come volete”. Uscì il
lugubre corteo dalla Conciergerie Maria Antonietta vede solo una
carretta, fu quasi spinta a salirvi, le mani legate le dolgono, oltre
30000 armati sono dislocati lungo il tragitto gente comune tanta, non
vogliono perdere il violento spettacolo, le persone sono stipate nei
vani dei balconi, delle finestre finanche dagli abbaini... La condannata
ormai non sente, non vede, ha abbandonato la terra che non l’ha
compresa, l’odio altrui non la sfiora è già alla soglia dell’eternità.
Si è giunti quasi a mezzogiorno Maria Antonietta eretta nella sua
persona è sospinta sulle scale del patibolo, inavvertitamente pesta il
piede del boia ha il tempo di scusarsi, viene presa alle spalle, spinta
sulla tavola basculante, le viene immobilizzato il collo e un attimo la
lama cala con la velocità di un baleno, la testa staccata dal busto
cade nel cesto, dal corpo mutilato un fiotto di sangue sgorga, il boia
prende per i capelli quel capo. Oh! Dio ha gli occhi aperti, dopo poco
le palpebre si abbassano. Il sangue da quella testa sgorga attraversa
le fenditure delle tavole, bagna il suolo di una nobile nazione
macchiatasi di un nefando crimine. P S Molti accusatori finiranno sul
patibolo Hébert piangerà e si dispererà. Robespierre morirà similmente
con dignità. Napoli 12/10/2019
Felice Abbondante
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