MENNEA, LOMBROSO, IL "RAZZISMO" E GIANNI BRERA |
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MENNEA, LOMBROSO, IL "RAZZISMO" E GIANNI BRERA, "il più grande giornalista italiano sportivo di sempre". Questo il titolo di uno speciale appena dedicato da Sky (schema simile in Rai) a Gianni Brera, il giornalista lombardo nato 100 anni fa. Puntualmente dimenticati, ovviamente, i suoi tanti spunti "razzisti", così come capita da 150 anni quando parliamo di quel "razzismo" antimeridionale che sembra o una leggerezza quasi
divertente o un motivo
di apprezzamento (capitò pure, ad esempio, con Giorgio Bocca,
apprezzato anche da molti meridionali). In questi giorni il prof.
Giuseppe Gangemi (Università di Padova) ha pubblicato un grande e
documentatissimo libro (ve ne parlerò meglio in questi giorni). Il libro
("Stato Carnefice o uomo delinquente: la falsa scienza di Cesare
Lombroso") analizza e spiega in maniera chiara e definitiva il razzismo
di Cesare Lombroso, lo scienziato veneto/sabaudo che analizzava i crani
dei meridionali per dimostrare la loro inferiorità. Il grande Pietro
Mennea raccontava che per certi giornalisti "uno del Sud non poteva fare
i risultati che ho fatto io". Un giorno, nel 1972, Brera lo raggiunse
durante l'allenamento, gli chiese di potergli "toccare il cranio" e
sentenziò che i "suoi avi dovevano essere della Mesopotamia": "mi
volevano attribuire sempre una genetica particolare e invece noi veniamo
dalla terra della fatica dove per avere una cosa devi sudare più degli
altri". Grande Mennea, piccolo Brera, ma in Italia da 150 anni funziona
così e non ci stancheremo mai di ripeterlo: è così che nascono e non si
risolvono le questioni meridionali tra (immotivati) complessi di
inferiorità meridionali e (immotivati) complessi di superiorità padani. Gennaro De Crescenzo
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