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LOMBROSO E IL "BRIGANTE" VILLELLA: UNA VITTORIA IMPORTANTE (GRAZIE ALLE SENTENZE ITALIANE) PDF Stampa E-mail

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LOMBROSO E IL "BRIGANTE" VILLELLA: UNA VITTORIA IMPORTANTE (GRAZIE ALLE SENTENZE ITALIANE). Qualche giorno fa la Cassazione ha deciso che i resti del "brigante" Villella devono restare in una teca del Museo Lombroso a Torino per le "ragioni della scienza" e non possono essere sepolti nella sua città in Calabria, a Motta Santa Lucia, come da anni chiedeva il sindaco Amedeo Colacino con il
Comitato No-Lombroso (in testa Francesco A. Cefalì e Domenico Iannantuoni) che in questi anni ha raccolto l'adesione di migliaia di persone e di centinaia di città in tutta Italia. Era il 2009 quando con una lunga telefonata contattai Colacino preannunciandogli la (costosa) riapertura di quel museo e i punti iniziali di quella che doveva diventare una lunga battaglia... vinta dopo la sentenza di qualche giorno fa! Sì: vinta e non persa perché la battaglia legale è diversa da quella culturale e morale. Perché se quei giudici o i responsabili di quel museo torinese avessero accettato la semplice e sacrosanta richiesta di Motta Santa Lucia (la sepoltura, una messa e magari anche un convegno con la loro partecipazione) collocando in quella teca un calco in resina e un foglio con la sintesi di quello che era successo, avrebbero vinto loro e avremmo perso noi. Nella serata della consegna del mio premio Villella qualche sera fa, la prof.ssa Mariateresa Milicia, una protagonista della "battaglia" contro quella restituzione, mi ha avvicinato con una copia del mio libro "Noi, i neoborbonici" e mi ha fatto, da "avversaria" (e con correttezza), i complimenti per il successo delle nostre iniziative: "Con Villella siete stati capaci di creare un simbolo". La sua tesi è apprezzabile ma manca un tassello: per 150 anni Giuseppe Villella è stato il simbolo della inferiorità dei calabresi/meridionali con le folli (e razziste) teorie di Lombroso ("brigante" o meno che fosse e forse se non lo era la questione è ancora più vergognosa). Dopo 150 anni un gruppo di accademici piemontesi si è aggrappato a questo stesso simbolo rinunciando a consegnarne i resti e a chiudere una vicenda che sarebbe stata dimenticata dopo qualche mese e ci avrebbe "costretto" anche a ringraziarli. Se non lo hanno fatto evidentemente è perché una certa cultura "ufficiale" e (in questo caso) anche e ancora piemontese ritiene necessari quel museo e quel cranio e le tesi che essi rappresentano pur dichiarandolo false. È da 150 anni, del resto, che la tesi della inferiorità dei meridionali è il perno di una questione meridionale ancora irrisolta e sempre più drammatica soprattutto per i nostri giovani. Ecco perché la Cassazione ha decretato la nostra vittoria: al di là delle ulteriori iniziative legali (europee) e delle prossime iniziative (premi letterari, convegni, monumenti e progetti), il povero Giuseppe Villella continuerà a gridare la sua verità dopo 150 anni, continuerà a denunciare l'esistenza di due Italie, una (quella meridionale) con la metà del lavoro, dei servizi, delle occasioni e delle speranze dell'altra e senza neanche il diritto di dare una sepoltura ad un contadino deportato e morto a 1085 chilometri da casa sua. Grazie, allora, a chi in questi anni ha combattuto questa battaglia e continuerà a farlo insieme ai tanti che, ormai, sono sempre più consapevoli di come è stata unita questa Italia e di come continua a non essere unita.
P.S. Nella foto le piccole case di Motta Santa Lucia, il "paese del brigante Villella".
Gennaro De Crescenzo

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