CON PINO APRILE IL 24 AGOSTO CON IL SUD E PER IL SUD. Sabato 24 agosto 2019 dalle ore 9.30 con Pino Aprile al raduno “neomeridionalista” organizzato presso il Parco della Grancia (uscita Brindisi di Montagna, Potenza, sulla Basentana) nella terra dei “briganti” del passato per iniziare un nuovo progetto anche politico che possa (finalmente) rappresentare e difendere la nostra terra e la nostra
gente.
Ecco l’appello di Pino pubblicato qualche giorno fa… CONTRO I DIRITTI
DIFFERENZIATI E PER L’EQUITÀ. PER TUTTI. Il 24 agosto ci si trova,
quanti vorranno, alla Grancia (Potenza), per far nascere una iniziativa
politica di emergenza democratica. Chi c’è c’è (astenersi razzisti), per
formare una alternativa per le prossime elezioni, sbarrare la strada a
Salvini e capovolgere il sistema che ha retto finora questo Paese:
sottrarre a una parte, accusandola pure di essere mantenuta, per
mantenere e arricchire l’altra. Salvini e la Lega sono solo l’ultima e
peggiore manifestazione della bulimia di risorse pubbliche che dota il
Nord e il Centro di infrastrutture decenti o persino all’avanguardia,
treni ad alta velocità, autostrade, anche inutili e dannose, come la
Brebemi o le pedemontane lombardo-venete, istituti di ricerca pagati da
tutti ma rigorosamente padani, eccetera; mentre in circa metà del Paese è
quasi o del tutto impossibile raggiungere un posto in treno o con una
strada che non sia dissestata, piena di buche, mezzo franata. E se il
tempo è un costo fra i maggiori, questo uccide l’economia del Sud. LA
QUESTIONE MERIDIONALE È FRUTTO DI SCELTE POLITICHE RAZZISTE E IMPOSTA
CON LE ARMI UN SECOLO E MEZZO FA. Tale Paese doppio, uno europeo e uno
men che nordafricano, è il risultato di scelte politiche nazionali da un
secolo e mezzo, con l’appoggio di ben remunerate classi dirigenti
locali (è così nelle colonie: sono favoriti e sostenuti i complici e
avversati quanti vi si oppongono, a volte pure a danno della loro vita;
la selezione non esclude nessun mezzo per fermare sindacalisti,
amministratori, magistrati e politici non collusi). In questo, non c’è
quasi mai stata vera distinzione partitica: quando si tratta di
monopolizzare risorse pubbliche, il Nord ha agito e agisce in blocco. La
vicenda dell’Autonomia differenziata per togliere altri soldi al Sud ne
è la prova più recente: dalla Lega al Pd, incluso M5S del Nord, Forza
Italia e Fratelli d’Italia del Nord, insieme per disegnare un Paese a
diritti calanti per latitudine, geograficamente, e pretendere risorse
crescenti con la ricchezza dei territori. In tal modo, si innesca un
meccanismo che si auto-alimenta, leva sempre più ai poveri e dà sempre
più ai ricchi (tali, in gran parte, per aver preso di più dalla cassa
comune, a spese di altri: basti guardare la differenza di infrastrutture
oubbliche, che vuol dire pagate da tutti e godute da pochi). Non è,
come pure potrebbe sembrare, una rivendicazione meridionalista: un Paese
che non riconosce a tutti i suoi cittadini uguali diritti non è un
Paese, ma un sistema malato. In tal senso, l’Italia non è mai stata
unita, ma divisa. Un Paese così fatto genera disaffezione, distacco,
risentimenti e persino odio (la Lega si nutre di quello ed è nata
sfruttando il razzismo contro i meridionali). Sino all’apparente
assurdità (ma psicologia e psico-sociologia spiegano il fenomeno) di
tanti meridionali che votano Lega e Salvini, che per decenni li hanno
insultati e ancora li privano (complici i “paramount chief” colonizzati)
di diritti elementari: alla salute, all’istruzione, alla mobilità;
persino al rispetto. Un Paese così era, esasperando le differenze, il
Sud Africa, prima di abolire l’Apartheid che di fatto c’è sempre stata
in Italia, e ora si vuole blindare per legge. Questa situazione è
entrata nelle coscienze e persino chi ne è vittima la giustifica
incolpandosene (sempre quei meccanismi psicologici: la donna violentata
spesso si sente sporca e si vergogna, diviene succube del violento e la
stessa società cerca le colpe della vittima: “Lo ha provocato…”). E non
ci si accorge nemmeno più di quanto sia oppressiva e mortifichi la
dignità di un terzo degli italiani la Questione meridionale sorta con
un’invasione armata, salvo retrodatarla per assolvere chi la impose e
addossarla a chi la subisce. NON DEVONO ESSERCI CITTADINI DI SERIE B. O
NON HA SENSO UN PAESE COMUNE. Ma l’azione politica che si vuol far
nascere per correggere queste storture non è, ripeto, una pura
rivendicazione meridionale: i valori sono universali, o non sono tali.
Se a una città viene negato il treno, poco importa che sia Matera o
Sondrio: ci sono degli italiani ritenuti di serie B e il cui diritto ad
avere il necessario viene dopo il superfluo da aggiungere a chi già ha
(cioè, mai). Ovunque ci sia un nostro simile la cui qualità umana viene
ridotta, la nostra qualità umana è in pericolo (da uno si comincia, poi
tocca agli altri…). Quindi, un’azione politica risanatrice non può avere
come valore un territorio o i suoi abitanti (questo lo fanno i
razzisti), ma il principio che cittadini di uno stesso Stato debbano
avere diritti, possibilità e trattamenti uguali o quello Stato non
merita di esistere. Per quanto possa suonare male: l’equità è il valore,
non il Sud o altro riferimento geografico, etnico. La denuncia diviene
(appare) meridionale, perché il Mezzogiorno e i suoi abitanti sono stati
discriminati e deprivati. Ora la misura è stracolma. Mai, nei quasi 160
anni di finta unità a mano armata, il divario fra Nord e Sud è stato
così ampio; ed è voluto, costruito. Il Mezzogiorno è in calo
demografico, come avvenuto soltanto per le stragi risorgimentali dei
piemontesi e per la più assassina epidemia della storia dell’umanità: la
“spagnola”, dopo la prima guerra mondiale. E il futuro del Sud se ne va
con i giovani, costretti a cercarne uno in giro per il mondo. Le nostre
regioni, che mai, in millenni, erano state terra di emigrazione, si
stanno riducendo a un gerontocomio in fase di svuotamento. Non c’è altro
tempo per reagire. I segni di un Sud che vuol farlo, e da protagonista
(nonostante le succubi, ma instabili orde salvinian-terroniche), sono
ormai colti da tutti. Si annuncia (vero? Falso?) un partito “sudista”
con a capo Giuseppe Conte. E già le parole usate mostrano quanta
improvvisazione vi sia in questo “fiondarsi a Mezzogiorno”: “sudista” è
un termine dispregiativo coniato e usato dai nemici del
neo-meridionalismo, di solito accoppiato ad altri quali “nostalgici”,
“revanscisti”, neoborbonici… (a ogni cosa della storia dei vinti non
iscritta in quella dei vincitori sono date connotazioni negative). Fa
niente, verrebbe da commentare: se vuol dire che cominciano a capire, va
bene lo stesso! E il presidente campano Vincenzo De Luca si propone a
guida di un soggetto politico meridionale, a difesa dei diritti finora
calpestati. Benvenuto! Il dissidente di Forza Italia, Giovanni Toti,
cerca di sfilare il partito a Berlusconi e, forse sulle orme di Salvini
che ha fatto vendemmia a Sud, partirà con il suo progetto da Matera, il 2
settembre. Furbo. LA POLITICA DI LORSIGNOSI SI È ACCORTA CHE IL SUD
REAGISCE E VUOLE GUIDARLO, A SUO VANTAGGIO (COME AL SOLITO). Tardi ma ci
arrivano… E lo fanno a loro modo, cercando di intestarsi qualcosa cui
sono estranei, ma conta; ed essendo informe e senza guida, mirano a
usarlo a proprio vantaggio. Ora sanno che il Mezzogiorno non è più un
corpo morto e, sia pur confusamente, qualcosa fa e riesce determinante;
ripeto, è un dato di fatto, ormai: vince chi vince al Sud. Nel 2015,
alle regionali, il Pd fece il pieno e prese il governo di tutte le
regioni meridionali. Letta, Renzi e Gentiloni provvidero a far pentire
chi li aveva votati a Sud. Alle politiche 2018, quei voti migrarono in
blocco sui cinquestelle, che divennero, grazie a ciò, il primo partito
italiano. Per allearsi con la Lega e veder svanire in pochi mesi il
capitale di consensi; ereditato in parte proprio dal partito sorto dal
razzismo contro i terroni. Senza rifare tutto l’elenco, questo mostra un
Mezzogiorno forse un po’ ballerino, ma che non è più patrimonio inerte
di nessuno: si muove da soggetto politico unitario e detta l’agenda ai
partiti, non avendone uno proprio. La vicenda dell’Autonomia
differenziata è stata uno choc, per l’Italia di lorsignori: era cosa
fatta; si erano messi d’accordo, con l’ammucchiata di Lega, Pd, FI e FdI
del Nord, a scopo di rapina contro i meridionali. La campagna di
informazione condotta da un gruppo di cittadini, docenti, scrittori,
meridionalisti, ha reso pubblico quello che si teneva nascosto (il furto
del secolo), ha raccolto in pochissimi giorni 60mila adesioni, indotto
il M5S (va riconosciuto) a far le pulci all’alleato e a frenare lo
scempio programmato. Quel mondo abituato a fare a suo piacimento, nel
silenzio complice della classe dirigente del Sud (e chi non tace è
segato), ha scoperto di non avere più le mani libere, che il Mezzogiorno
può fare la differenza. E la fa. La sorpresa li ha disorientati. E
quando è arrivata una cosettina (ma proprio una cosarella, giusto per
far capire quale direzione prende il risveglio del Sud), il boicottaggio
del prosecco veneto, da parte di bar e ristoranti meridionali, si è
sparso il panico in campo subalpino. Sì, la feritina al portafogli bene
non fa, ma quello che fa sbarellare è l’idea che il tressette del potere
nazionale non sia più con il morto, rivelatosi un giocatore che sa di
avere carte, come gli altri, e intende giocarle come dice lui, non
limitarsi a tenerle in mano per calare quelle che gli dicono. È finito
un tempo. SE SI SBAGLIA ADESSO, NON CI SARÀ UN’ALTRA OCCASIONE. E
questo è il momento più delicato, in cui tutto si può perdere e quanto
costruito sinora finire, per impreparazione, indecisione, nelle mani di
qualche Jack Lo Svelto che, privo di remore e carico solo di interessi
di parte e magari luridi, si improvvisa paladino del Sud, pronto a
mettersi al timone, per venderlo al miglior offerente (lo abbiamo appena
visto, nel campo della comunicazione e della politica locale). Quindi
(mentre Forza Italia si professa presidio del Sud, nel centrodestra, e
avvisa la Lega; Salvini e il Pd di Zingaretti vorrebbero elezioni
subito, per spartirsi le spoglie del M5S che resteranno sul campo; il
M5S cerca di recuperare il tesoro dilapidato), ora ci tocca. E tocca a
tutti: ci sono movimenti e partiti, comitati che in tutto il Mezzogiorno
hanno fatto cose egregie, ma sono piccoli e scollegati (talvolta,
reciprocamente ostili, ma non è la norma); ci sono parlamentari, pochi
ma preziosi, in ogni partito, che hanno operato con coerenza, in difesa
del diritto del Mezzogiorno all’equità e qualcuno ne ha dovuto pagare il
prezzo (ma può guardarsi allo specchio senza vergogna) e ce ne sono
pronti a uscire dai loro gruppi politici, per poter sostenere, senza più
freni di parte, la battaglia per il Sud: non dobbiamo perderli; ci sono
docenti universitari, scrittori, giornalisti che hanno combattuto una
dura, entusiasmante battaglia di civiltà contro i razzisti
dell’Autonomia e non possiamo permetterci di rinunciare al loro valore
(il mondo accademico è terribile e per esporsi, ci vogliono le palle. È
stato bello vedere tanti docenti mettere la competenza e la faccia in
una impresa difficile ma doverosa); ci sono associazioni meritorie che
da decenni lavorano, perdendoci tempo, soldi, salute e pezzi di fegato,
al recupero della verità storica che ci è stata negata e da cui trae
alimento la ricostruzione della nostra identità; ci sono giornalisti che
hanno fatto e fanno un lavoro faticosissimo, per scoprire come e quanto
il potere Nord-centrico toglie a Sud, con mille trucchi, colpi di mano
(e non è una attività che ti fa far carriera nei giornali…); ci sono
persone che si uniscono per combattere (e si rischia forte) contro gli
avvelenatori della propria terra e della propria gente, da Taranto alla
Terra dei Fuochi, da Augusta, Gela, Priolo alla morte petrolifera di
Basilicata, pur taciuta da tante “voci potenti per il vaffanculo”, della
politica, della cultura, della società civile, mute perché non si parla
a bocca piena; ci sono esperienze meravigliose di economia dal basso,
con forze minime, idee grandi e risultati sorprendenti; ci sono
imprenditori che stanno dicendosi di non poter limitare il loro compito
nella società al darle qualche decimale di pil in più; ci sono sindaci
che non accettano più acriticamente, o per sudditanza partitica, o per
ignoranza (le cose le fanno di nascosto e non sempre sai come ti stanno
fottendo), di vedere i propri Comuni derubati dallo Stato e fanno causa,
a decine, dimostrando che il loro primo dovere è pretendere diritti e
rispetto per i concittadini discriminati; ci sono amministratori, gruppi
parrocchiali, centri sociali che inventano e praticano forme di
accoglienza inclusiva che distruggono la paura, generano civiltà, ci
fanno “restare umani” (un reato, da quando il ministro dell’odio usa la
polizia per rimuovere striscioni evangelici); ci sono… Ci sono, ma quasi
sempre non sanno che ci sono anche gli altri. Lo ripeto: «Siamo tanti,
ma non lo sappiamo», diceva don Paolo Capobianco, figlio dell’ultimo
nato duosiciliano, mentre Gaeta si arrendeva alle bombe dei fratelli
carnefici d’Italia. TUTTI ALLA GRANCIA PER COSTRUIRE UN PAESE PIÙ
GIUSTO. E vorrei poter dire, alla Grancia, il 24 agosto (ci si vede
alle 9,30): “Ci siamo!”. Decideremo lì, insieme, il nome e la forma di
quel che nascerà. Sarà una creatura che avrà anime solitamente
incompatibili e dovrà accordarsi su un programma minimo e condiviso
(razzisti esclusi). Dovremo tener conto solo di quello che unisce, visto
che da troppo tempo riusciamo a dividerci sul dettaglio, pur avendo
tanto in comune. Molte barriere sono state superate e la lotta alla
Secessione dei ricchi ne è prova. Ora possiamo fare quello che forse
prima sarebbe stato prematuro; e dobbiamo farlo, perché è l’ultimo
momento utile. Non limitiamoci a esserci, ma coinvolgiamo quanti possano
essere utili: se non sarà una cosa di popolo, sarà meno di quel che
deve essere. Potremo candidare persone di valore, che sono sempre
rimaste ai margini, per incompatibilità di opinioni e, diciamolo…, per
prudenza. Ma ora in molti son disposti a turarsi il naso, se necessario,
e fare muro, perché quando i barbari tentano l’ultimo assalto, ogni
contesa interna viene accantonata, per affrontare il pericolo maggiore e
comune. Non possiamo permetterci di sprecare niente. Non ci sono patti
preconfezionati, soluzioni già in tasca. C’è qualche idea e altre ne
arriveranno. Ci vediamo alla Grancia, il 24 agosto, alle 9,30. Il Sud
riparte da sé, avendo qualcosa da dire e tanto da fare, non contro, ma
per tutti. L’equità non può essere parziale: o tutela tutti allo stesso
modo o non è. Punto primo: il tempo della discriminazione, del
meridionale “meno” (diritti, infrastrutture…) comincia a scadere il 24
agosto prossimo. È durato troppo. Ma ora ce ne siamo accorti. PINO
APRILE
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