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REPLICA ALLA PROF.SSA RENATA DE LORENZO (ANCORA) SU CIALDINI (PUBBLICATA SU REPUBBLICA DEL 26/2/19) PDF Stampa E-mail

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LETTERA APERTA ALLA PROF.SSA RENATA DE LORENZO (ANCORA) SU CIALDINI E IL BUSTO DA RIMUOVERE (REPUBBLICA 23/2/19). Cara prof.ssa De Lorenzo, dopo oltre due anni stiamo ancora parlando di Cialdini e della rimozione del suo busto deliberata dalla Camera di Commercio dopo la revoca della cittadinanza onoraria del Comune di Napoli. Dopo oltre due
anni lei e diverse “società di storici”, in una pagina intera di Repubblica, “urlate” che quella rimozione “stravolge la storia”, ancora invocate “dibattiti e confronti”, ancora chiedete una “riflessione” che coinvolga “storici, decisori e opinione pubblica” e vi appellate “alle leggi dello Stato” per impedire quello che, di fatto, come hanno più volte ribadito sia Fiola che Luongo della Camera di Commercio, è un semplice e simbolico trasferimento dal salone principale ad un altro salone per fare spazio ad un monumento che possa ricordare una delle (tante) vittime di Cialdini e dell’unificazione italiana. Per lei, invece, quelli di Cialdini sarebbero ancora “presunti eccidi”. Per lei poco conta che Cialdini “non ordina, ma desidera che quei due paesi [Pontelandolfo e Casalduni] debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati" (il generale Piola-Caselli al maggiore Melegari). Per lei poco conta che il progetto-Cialdini prevedesse che da quelle parti “non rimanesse pietra su pietra”, per lei poco conta che a Pontelandolfo ci sia stato effettivamente un eccidio: furono centinaia ma 13, 130 o 1300 vittime è secondario e sono –giustamente- definiti “eccidi” diverse decine di crimini nazifascisti anche con meno di 13 vittime (dia un occhio all'atlante della commissione di studio italo-tedesca). Per lei non conta nulla che “quei poveracci di Pontelandolfo rimasero abbrustoliti nelle loro case”, come ci rivela nel suo diario il bersagliere Carlo Margolfo. Poco conta anche che a Gaeta lo stesso Cialdini bombardasse ospedali e civili pure durante le tregue (“le mie bombe non hanno occhi”). Per lei conta, invece, che Cialdini stesso diede i soldi per la Borsa e per la sua statua (!). Per lei poco conta che, rispetto a quei tempi, ora sappiamo chi fu e cosa fece Cialdini: la storia non è immobile o (con una impostazione para-massonica) sacra. La storia è "viva" ed è giusto che sia oggetto di continue revisioni altrimenti ci potremmo aspettare da lei e dalle società di storici prossime proposte per il ripristino di toponimi e statue del periodo fascista (quanti gerarchi si finanziarono monumenti? Erano o no anche le loro "scelte condivise" al pari di quelle cialdiniane? Non avrebbero magari diritto allo stesso “portato simbolico” che lei invoca per Cialdini?) o di strade e statue borboniche ingiustamente rimosse dai Savoia... Per lei, in fondo, però, quei “briganti” se la cercarono, visto che i Cialdini “erano formati ad hoc per combatterli”, visto che “ci furono manifestazioni crudeli da entrambe le parti” e addirittura episodi di “cannibalismo” dalla parte dei briganti: peccato che le stesse popolazioni, in oltre tremila anni di storia, non furono mai “cannibali”… peccato, invece, che i documenti dell’Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano attestino (fondo Brigantaggio, busta 60) decapitazioni operate dai piemontesi per “comodità di trasporto” e peccato anche (il peccato dei peccati) che in qualsiasi posto o epoca del mondo chi attacca non può essere messo sullo stesso piano di chi si difende (soprattutto se si tratta di un esercito contro popolazioni civili). Per lei contano sempre e ancora Bosco e i Borbone "pronti ad uccidere i loro sudditi” senza valutare, però, che (come le scrissi ampiamente in un mio libro al quale non ha mai replicato) a Bosco furono in tutto 8 le condanne a morte e che il paese fu distrutto dopo aver fatto evacuare gli abitanti e che si trattasse di ordinarie (seppur tragiche come tragiche erano quelle operazioni in tutto il mondo, Piemonte compreso) operazioni di ordine pubblico interno e che quelli di Bosco erano davvero “sudditi dei Borbone” (a differenza degli abitanti delle Due Sicilie che sudditi dei Savoia non lo erano e non volevano esserlo). Peccato anche che, per quanti (rispettabili) sforzi possiate fare, ormai certe storie le conoscono in tanti e non basta difendere Cialdini e il suo busto o ridimensionare il numero delle vittime di Pontelandolfo perché in quegli anni gli stessi massacri furono compiuti anche dai Pallavicini, dai Fumel, dai Milon, dai Pinelli o dai Govone e anche a Scurcola Marsicana, Fagnano Castello, Auletta, Castellammare del Golfo o ad Ariano Irpino, a Montemiletto, a Villabate, a Licata, a Gioia del Colle, a Ruvo del Monte... "Lo avevate sempre detto"? Dove? Quando? Io con lei, quand'era assistente del prof. Scirocco (Storia del Risorgimento), ho fatto due esami (due 30 e lode) e lei non mi ha mai neanche citato i 100 paesi distrutti dai piemontesi e non ho mai letto sui suoi libri delle decine di migliaia di vittime meridionali uccise, incarcerato o deportate ed è solo grazie alle mie ricerche personali o a quelle di tanti storici "senza patente" se queste storie le ho conosciute. La "Borbonia Felix" (mai detto, mai scritto) non è mai esistita: esisteva una nazione con un suo sviluppo interrotto traumaticamente nel 1860. Tutto qui. E avevamo e abbiamo il diritto di sapere com'è stato unito questo Paese e perché dopo 150 e da 150 anni i nostri giovani hanno la metà dei diritti, del lavoro, dei servizi e delle speranze del resto dell'Italia e dell'Europa. Mi pare che si chiami democrazia e mi pare che valga se si vuole scrivere o leggere un libro di storia o si vuole votare (anche all'unanimità!) per la rimozione di un busto o la revoca di una cittadinanza. Cara prof, si è accorta di tutti i suoi allievi partiti in tutti questi anni? Si è accorta del fatto che i nostri ragazzi dal 1860 non hanno mai smesso di partire? Si è accorta del fatto che, dopo decenni di Padanie, Celti, bandiere della Serenissima e ampolle del Po, il Nord se ne sta andando mentre qui, da oltre due anni, discutiamo dei busti di Cialdini? E, visto che la vostra strada non ha di certo risolto le questioni meridionali, se la strada nuova fosse quella di una maggiore consapevolezza dei (veri) processi che unificarono l'Italia? È preoccupata per "i riflessi del passato nella vita attuale del Paese"? Quali drammatiche conseguenze potrebbe portare il trasferimento di quel busto a 10 metri da dov'è oggi? Conseguenze più drammatiche del Sud-deserto preannunciato dall'Istat? Per fortuna, però, il vento sta cambiando se su Repubblica esce un'intera pagina carica di queste "preoccupazioni". Può darsi che appellandosi al Tar (o magari a qualche prefetto sabaudo) quella rimozione sarà bloccata ma continuerete solo ad aumentare la distanza tra accademie e opinione pubblica, ad alimentare il trend storiografico "neoborbonico" e questa enorme esigenza di una storia diversa da quella raccontata per 150 anni: nessuno riuscirà a bloccare questa ondata di storia&orgoglio che (è la nostra speranza) formerà quelle classi dirigenti finalmente consapevoli e fiere che le accademie e le "società storiche", in questi ultimi 150 anni, non hanno saputo o voluto formare.
Prof. Gennaro De Crescenzo
P.S. Mi scuso con chi legge per la lunghezza di questo testo ma dovevamo replicare ad una pagina intera (!) di un quotidiano...

P.S. REPLICA PUBBLICATA SU "REPUBBLICA" IL 26/2/19



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