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QUALCUNO DIFENDE ANCORA CIALDINI? DESIDERIO (ANCORA LUI): REPLICA PUBBLICATA SUL CORRIERE DEL 2/1/19 PDF Stampa E-mail

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QUALCUNO DIFENDE ANCORA GLI AUTORI DEL MASSACRO DI PONTELANDOLFO E CASALDUNI (E CIALDINI!)... REPLICA A G. C. DESIDERIO (ANCORA LUI) PUBBLICATA SUL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO DEL 2/1/19. Come avevamo preannunciato tempo fa, ci risiamo: Giancristiano Desiderio (22/12/18, Corriere del Mezzogiorno) ha ri-scritto
il suo (ciclico) articolo per ribadire che a Pontelandolfo nel 1861 morirono "solo 13 persone" e, questa volta, anche per difendere (addirittura) Cialdini in questi giorni nei quali è stato deciso di rimuovere il suo busto dai saloni della Camera di Commercio di Napoli. Per Desiderio "la storia non si divide in buoni e cattivi" (tesi pericolosa se applicata a tutte le epoche e peccato anche che Desiderio da tempo cerchi di inserire tra i "buoni" i Savoia o i Cialdini e tra i “cattivi”  Pontelandelfesi e Casaldunesi). La "novità"? Per Desiderio è un telegramma di Cialdini partito il 10 agosto e arrivato dopo l'uccisione di una quarantina di soldati sabaudi ad opera delle popolazioni locali e il giorno prima della famosa strage a danno di quelle popolazioni. Peccato per Desiderio, però, che quel telegramma non sia affatto "nuovo" (lo pubblicò Gigi Di Fiore nel suo best-seller Controstoria dell’Unità d’Italia fin dal 2007!), peccato che lo "stile" di Cialdini sia sintetizzato proprio in quel telegramma partito anche prima dell'uccisione dei sabaudi (infliggete "una severa lezione a Pontelandolfo"), lo stesso "stile", del resto, utilizzato durante l'assedio di Gaeta quando ordinava di bombardare civili e ospedali... Peccato anche che le responsabilità di Cialdini siano chiare in altri documenti citati sempre da Di Fiore che in queste ore ha puntualmente replicato a Desiderio (su tutti la relazione di Melegari: difficile competere con Di Fiore su fonti e documenti). Quella delle "novità" non nuove, del resto, è una caratteristica di Desiderio: le preannunciò a proposito di alcune tesi dello storico locale Panella "rinfacciate" a Pino Aprile (che le aveva già ampiamente pubblicate in Terroni); le preannunciò quando citò una lettera di una signora che avrebbe attestato la morte di sole 13 persone: peccato che la signora fosse una testimone indiretta e abitasse a oltre 10 km da Pontelandolfo. Peccato anche che, come pubblicato sempre da Aprile, dai confronti dei dati sugli abitanti pochi giorni prima e poco tempo dopo la strage risultino oltre 1400 abitanti in meno (non tutti morti, forse, ma si tratta di un dato drammatico e inaccettabile, come drammatico e inaccettabile -tranne che per Desiderio- sarebbe anche lo stesso inattendibile dato dei 13 morti). Peccato anche che lo stesso Panella parlasse di "centinaia di vittime", peccato che diversi giornali e gli interventi parlamentari del tempo riferissero della gravità inaudita di quanto successe in provincia di Benevento (e in decine di altri paesi dell'ex Regno delle Due Sicilie), peccato che un (vero) testimone oculare, il bersagliere Margolfo, nel suo diario sia crudo e chiaro ("ricevemmo l’ordine di fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi -ma molte donne perirono- ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava…  e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case”). Premesso, del resto, che nessuno li aveva invitati e che stavano invadendo uno stato legittimo, quei soldati non erano affatto "inermi" e pagarono il tragico prezzo del loro comportamento: le popolazioni che, purtroppo, li uccisero non erano mai state efferate e folli in secoli di storia e agirono solo per vendicarsi di quanto avevano subito: quei soldati avevano “fieramente manomesse alcune terre a breve distanza da Pontelandolfo, commettendovi atrocità orribili contro pacifici abitanti” (La Civiltà Cattolica, Anno Duodecimo, Vol. XI della Serie Quarta: una fonte parziale ma che di certo non inventava storie dal nulla come lo stesso Osservatore Romano dell’agosto del 1861 che attesta “la tortura di 10 persone per oltre 15 ore”).  Peccato, infine, che lo stesso stato italiano nel 2011 si sia ufficialmente scusato per quei crimini orrendi. Il problema, però, non è solo quello di negare alcune vergogne del cosiddetto Risorgimento: il problema è che con questa linea vecchia di 150 anni (le stragi furono colpa dei pontelandolfesi così magari come le questioni meridionali sono colpa dei meridionali) il Sud è ridotto come sappiamo tra complessi di inferiorità meridionali e complessi di superiorità padani avallati, da 150 anni, da storici "ufficiali" di turno magari mentre il Veneto e la Lombardia, tra bandiere con il leone di San Marco e "Alberti da Giussano", ottengono la "secessione dei ricchi" (nel silenzio degli stessi storici). Peccato, infine, per chi difende a tutti i costi miti e, a volte, leggende risorgimentaliste, che la storia abbia finalmente avuto la sua evoluzione. “La storia non si rimuove”, scrive Desiderio e in questo caso gli diamo ragione ma la storia la si studia con (tutte) le fonti e cambia se è vero che (con buona pace di Desiderio) interi consigli comunali e di altri enti decidono all'unanimità di togliere strade piazza e busti a chi ha fatto l'Italia ma poteva e doveva farla meglio. PS Se la prossima volta Desiderio preannuncia novità sui 10 (forse erano 9) Comandamenti o sulle 3 (forse erano 4) caravelle qualche dubbio sarà legittimo. Mi perdonerete un pizzico di ironia accompagnato dai miei auguri per tutti quelli che amano sempre e comunque la (nostra) storia.
Prof. Gennaro De Crescenzo
ARTICOLO PUBBLICATO SUL "CORRIERE DEL MEZZOGIORNO" DEL 2/1/19



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