UNA COSA BUONA E UNA COSA CATTIVA: UNA PIAZZA A CARLO DI BORBONE (A S. GIORGIO A CREMANO) E LA FINE DEL BANCO DI NAPOLI. Nello stesso giorno due notizie: l'approvazione della prefettura della sostituzione del nome di piazza Vittorio Emanuele con piazza Carlo di Borbone a San Giorgio a Cremano e la fine "definitiva" del Banco di Napoli. La prima una cosa simbolica, la seconda non solo simbolica... Da premiare
la scelta del sindaco
Zinno e della giunta comunale, frutto anche di un clima culturale
cambiato dopo oltre 20 anni di attività (anche neoborboniche). Da
bocciare, ovviamente, la chiusura di una delle banche più antiche del
mondo, riferimento di Napoli e del Sud dalla fondazione quattrocentesca
alle rimesse degli emigranti (che spesso salvarono le finanze italiane)
fino alla vergognosa svendita e alla UMILIAZIONE FINALE della
cancellazione finanche del marchio (e addirittura dei siti internet: se
cliccate "banco di napoli" vi trovate da giorni su "Intesa San Paolo",
iban compresi, a dimostrazione che purtroppo, ormai, non si può più fare
nulla). Una vergogna il silenzio di presidenti, premier di sinistra,
centro e destra, governatori e sindaci più o meno "guerriglieri" (ma
magari su altri temi spesso poco Napoletani). Una vergogna il silenzio
dei media di fronte all'ultimo scippo subito dalla ex capitale del Regno
delle Due Sicilie. Come più volte abbiamo gridato con le nostre
manifestazioni neoborboniche per "salvare il Banco" in questi anni, un
territorio senza banche non ha futuro e queste scelte nazionali fanno
capire che l'obiettivo è proprio questo: abbandonare il Sud. Che
c'entra, allora, piazza Carlo di Borbone? C'entra perché classi
dirigenti fiere e radicate (magari come quelle toscane, venete o
lombarde) non hanno consentito certe svendite e non le avrebbero
consentite. C'entra perché la nostra scommessa resta la stessa: formare
classi dirigenti nuove, fiere e radicate. Anche con nomi di piazze e
strade capaci di richiamare radici e orgoglio. Nessuna alternativa, per
ora, purtroppo, alla strada della cultura nonostante emergenze e crisi
sempre più gravi. Gennaro De Crescenzo
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