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“L’ITALIA E’ FINITA. E FORSE E’ MEGLIO COSI’”: NUOVE VERITA’ NEL NUOVO LIBRO DI PINO APRILE PDF Stampa E-mail

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“L’ITALIA E’ FINITA. E FORSE E’ MEGLIO COSI’”: NUOVE IMPORTANTI VERITA’ NEL NUOVO LIBRO DI PINO APRILE. Pino Aprile analizza (da giornalista vero e spesso da storico vero) i fatti del passato e del presente del Sud (e anche dell’Italia e del mondo) e propone una sua soluzione dei problemi. “Tutto qui”, potremmo dire ma altro che “tutto qui”, se pensiamo che quelle analisi e quelle soluzioni molto spesso nessuno le ha

fatte o prospettate e che si tratta (pur partendo dal passato) di analisi e soluzioni nuove.  Dico da sempre che nel mondo del meridionalismo si dovrebbe parlare di epoca pre e post-terroni per quante persone, da quel lontano 2010, sono state sensibilizzate su temi spesso sconosciuti. Il successo di Pino Aprile è in gran parte legato allo schema utilizzato nel suo best-seller, negli altri libri sul tema (da “Giù al Sud” al recente e importante “Carnefici”) e nel nuovo libro pubblicato qualche settimana fa: “L’Italia è finita. E forse è meglio così”. Pino Aprile non ha “la” soluzione per risolvere i problemi del Sud (si chiama “questione meridionale” e intere generazioni di politici e/o meridionalisti non sono riusciti a risolverla). Pino cerca “una” soluzione e la cerca alla luce di studi continui e di esperienze “sul campo”, nel confronto quotidiano che ha con i suoi lettori sui social come con le centinaia di conferenze in giro per l’Italia e per il resto del mondo (conosco poche persone in grado di percorrere tanti chilometri all’anno come Pino). I "nemici" di Aprile, allora (pochi, pochissimi , se rapportati agli incredibili numeri degli "amici" raccolti in questi anni), o non leggono i libri di Aprile (un'occhiata al web e alle copertine, un pizzico di pregiudizi, una buona dose di invidia o un poco di antico antimeridionalismo e siamo pronti!) oppure sono distratti: fanno evidentemente finta di lamentarsi per l'assenza delle fonti (eppure è facile: le mette all'interno del testo e non nelle note!) solo per l'incapacità di contrastarne le tesi (frutto in gran parte di ricerche personali o di quelle fonti, accademici alternativi "in primis"). Fanno evidentemente finta di contestare la validità di tante tesi senza entrare mai nel merito (spesso si tratta di opinionisti più o meno famosi che non sanno neanche dove sia il Sud) e senza mai proporre tesi alternative o, anzi, riproponendo tesi che hanno ridotto il Sud come sappiamo in 150 anni di colonizzazione e di questioni meridionali mai risolte e sempre più gravi con colpe che di certo non possono essere di Pino Aprile (non ha mai curato neanche l’amministrazione del suo condominio e non ha mai neanche cercato -pur avendo avuto non poche offerte- di diventare il “leader” dell’ennesimo partito meridionalista o della corrente meridionalista di qualche partito nazionale).
“Da un secolo e mezzo, i meridionalisti muoiono senza veder la fine della questione meridionale, nata in Italia, con l'annessione violenza del Regno delle Due Sicilie al regno sabaudo. L'Italia unita mi piace, ma alla pari; e la questione meridionale mi dispiace più di quanto mi piaccia l'Italia unita. Non voglio morire senza averne vista la fine (ho 68 anni e siamo longevi in famiglia, fatevene una ragione). Per cui: o finisce la questione meridionale o finisce l'Italia unita. E io ci voglio essere”. Qualcuno potrebbe mai contestare questa affermazione a meno che non sia un ministro o il figlo di un ministro italiano in carica o in “ex carica” dal 1860 ad oggi? Qualcuno potrebbe mai dire che non è vero che dal Sud “prima dell’unità non emigrava nessuno e che il Sud aveva i due terzi dei soldi di tutta Italia” o che in Italia esiste “una parte che insulta e si ritiene superiore e una parte che viene insultata e non reagisce più, perché dai e dai, si è convinta di esser inferiore”? E’ una falsità scrivere che “in Italia esiste una parte in cui costruiscono sempre più ospedali in cui accogliere malati costretti a emigrare, per curarsi e una parte in cui chiudono sempre più ospedali, onde costringere i malati a emigrare per curarsi; una parte in cui si pagano meno tasse e si hanno più servizi e una parte in cui si pagano più tasse per avere meno servizi e scadenti”? A meno che non siate direttori di nomina politica di un giornale o opinionisti più o meno “ufficiali” (e loro “seguaci” ignavi, ignari o più o meno consapevoli) o politici con responsabilità dirette o indirette (pure la passività è una colpa), qualcuno in buona fede potrebbe mai definire falsa la tesi secondo la quale “chiamare questo ‘un Paese’ è una presa in giro, una truffa che può durare solo finché non lo si sa o si finge di non sapere”? Del resto gli studi (anche internazionali) e i segnali (anche elettorali) che dimostrano la tesi di Aprile (la fine dell’Italia) non sono affatto pochi e solo chi non vuole leggerli, per pigrizia o per complicità, può far finta di nulla. Del resto la domanda è facile e la risposta dovrebbe essere altrettanto facile (un sì o un no): “è vero o no che la politica ‘unitaria’ ha scavato un solco quasi incolmabile fra le due macro-regioni, per concentrare ricchezza e infrastrutture solo in una delle due”? E’ vero o no che “l'Italia è il Paese occidentale che ha le più grandi disuguaglianze”? Non perdete tempo a cercare e ad affibbiare a Pino Aprile le definizioni più negative e (secondo voi) offensive (“terronico, terronista, neoborbonico, nostalgico, secessionista” ecc. ecc.) e dimostrate, se potete, che non è vero che “l’Italia ha il divario più duraturo del pianeta (per strade, treni, scuole, investimenti, reddito, diritti, salute, vita media...)”. Non accontentavi dei titoloni dettati dai governi di turno (“disoccupazione in calo, crisi finita” ecc.). Non accontentavi neanche delle statistiche nazionali che fanno di tutto per “coprire” i dati regionali e rassegnatevi all’idea che il Sud Italia è la zona più povera d’Europa e, purtroppo, Pino Aprile ha ragione… E sono in tanti, sempre di più, a porsi una domanda drammatica: “perché devo stare con chi mi ha derubato, mi deruba, mi insulta e mi ricorda a ogni passo che non mi vuole, dopo avermi  costretto a unirmi a lui a mano armata?”.  E qui non si tratta di essere anti-italiani e di spingere verso eventuali secessioni: la secessione è in atto da 150 anni e, come diciamo spesso, è in quella percentuale drammatica che riguarda i nostri giovani meridionali (che hanno la metà dei diritti, del lavoro, dei servizi, delle infrastrutture, delle occasioni e delle speranze di quelli del resto dell’Italia e dell’Europa). Qui si tratta di rendersi semplicemente conto di come sono andate le cose e di come continuano ad andare con la consapevolezza che “gli italiani si sentivano ed erano tali più quando, nel solco di storia, cultura e religione comuni, si ammiravano ed emulavano, in concorrenza, a volte armata, per le loro ricche diversità”. Ancora più chiara un’altra sintesi: “Il Paese si rompe, perché non lo si volle unire, ma assimilare. L'operazione non è riuscita”. Ai limiti del mondo pirandelliano, poi, è chi contesta ad Aprile (e magari ai neoborbonici) un dato inconfutabile: “in tutti i Paesi ci sono zone più ricche e più povere e lo Stato spende in queste ultime, più di quanto riceva”. E se “l’Italia è finita” è colpa di Pino Aprile che ci ha scritto un libro oppure di una Lega (sempre e comunque) Nord che governa da decenni e che nel suo statuto ha tra gli obiettivi la creazione della Padania (ed è quasi riuscita a crearla con la complicità periodica degli altri partiti)? E’ colpa di un libro o della prossima e bene avviata “secessione” del Veneto (e poi di Lombardia ed Emilia Romagna) finalizzata a distruggere quel patto di solidarietà nazionale a puri scopi economico-fiscali? E’ anti-italiano Aprile o chi offende il Sud ogni giorno con i suoi giornali (“Ci tocca mantenere un meridionale”, titolava Libero poche ore fa) o chi finge di ignorare quello che le regioni del Nord stanno facendo (con successo e anche in queste ore)? “Qual è il nuovo disegno del mondo? Quale il nostro posto, quello dell'Italia?”. Quello che emerge da questo libro non è una certezza ma una domanda, legittima, sacrosanta e che dovrebbe aprire dibattiti veri e possibilmente democratici. E se la vita media al Sud è diminuita di 4 anni rispetto al Nord (e a Napoli di 8) è colpa di Pino Aprile, dei meridionali che decidono di morire prima o di chi ha governato questo Paese? “L'alternativa è costruire un Paese veramente uno, ma il Nord non vuole e il Sud non ha più tempo di aspettare. E non si capisce perché il derubato dovrebbe ancora fidarsi del ladro” (e la frase dovrebbe campeggiare su strade e piazze del meridione d’Italia). “L'ingegneria istituzionale non risolve da sola; è utile solo in presenza di consapevolezza e volontà diffuse e condivise” è la risposta di Aprile a chi invoca anche da queste parti macroregioni o altri assetti istituzionali ed è una risposta che non possiamo non condividere sottolineando anche un altro aspetto evidenziato nel libro: sotto la spinta “emotiva” delle bandiere venete o lombarde qualcuno potrebbe pensare di “accettare la sfida” e di chiedere la stessa “autonomia” ma potrebbe cadere nella ennesima trappola: questo sistema oggettivamente nord-centrico, per continuare a “utilizzare” il Sud, potrebbe concedergli “autonomia” ma mai una vera “indipendenza”... Del resto è difficile per chiunque contestare il confronto tra i dati veicolati dai soliti Giletti o Del Debbio o Feltri di turno e quelli reali (idem per le questioni storiche con il supporto, magari, dei nuovi studi di accademici onesti e coraggiosi come Daniele, Malanima, Fenoaltea o Tanzi). Del resto è difficile minimizzare l’importanza di movimenti come quello neoborbonico (raccontato con i recenti articoli di Limes) o dei tanti che si battono per la verità storica diventando (lo ammise lo stesso Galli della Loggia tempo fa) “maggioritari” e creando non poche inquietudini sui fronti accademico/ufficiali impegnati in strenui e stressanti tour con convegni (tra di loro) per spiegare a se stessi e ai loro poveri alunni chi è Pino Aprile o chi sono i neoborbonici (guardandosi bene, ovviamente, dall’invitare sia il primo che i secondi). Non era facile affrontare temi che Aprile aveva già affrontato arrivando con un messaggio forte e chiaro sia ai lettori (magari post-terronici) “che sanno” e anche a quelli che “non sanno” e Aprile lo ha fatto con grande abilità (il libro è articolato e massiccio ma si legge con velocità e con piacere) guardando le cose da una prospettiva diversa da quella utilizzata nei libri precedenti (anche solo un occhio allo stile e ai contenuti dei finali dei capitoli vi fa capire perché Pino Aprile ha il successo che in tanti non hanno). Questa volta, tra l’altro, il Sud (dall’unità alle sue conseguenze passando per la Cassa per il Mezzogiorno fino ai drammatici dati attuali ignorati dagli intellettuali ufficiali troppo impegnati magari a combattere i “giorni della memoria“) non è l’unico protagonista del libro insieme a tante analisi e a tante tesi sulla nuova Europa e il nuovo mondo che stiamo vivendo e che forse vivremo. “L'Italia che proprio non riesce a essere unita, parrebbe avere tutto da guadagnare, rompendosi. Meglio, peggio? E che ne so: è una possibilità, è l'adeguamento al futuro e potrebbe darci sorprese. Per il Sud, peggio dell'ultimo secolo e mezzo, e soprattutto dei primi due decenni e degli ultimi due è difficile”. Una tesi, una possibilità, una sfida, una scommessa… Chiamatela come volete ma se ancora amate il Sud e, in fondo, l’Italia, non potete fare finta di non aver letto queste parole e non potete non leggere questo libro.
Gennaro De Crescenzo

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