LE FAKE NEWS NON SONO QUELLE NEOBORBONICHE MA (DA 150 ANNI) QUELLE RISORGIMENTALI-ITALIANE… RISPOSTA AD ANDREA MAMMONE (CORRIERE 2/9/18). “L'età dell'oro borbonica [mai parlato di età dell’oro]? Una pioggia di fake news [e le fake di garibaldi, savoia, cavour ecc.?]. La chiusura di Mongiana viene dipinta come
una rapina da parte
dei dominatori nordisti [e invece cosa fu? Un regalo? Prova a dirlo agli
operai massacrati a Pietrarsa]… E’ un esempio di come viene inventato
un passato preunitario del Sud che non è mai esistito [aggiornarsi con
nuovi studi, no?]. Oggi il Sud ha bisogno di cambiare mentalità [lo dite
da 150 anni con risultati pessimi] non certo di farsi illudere [e chi
si illude più?] da forze che assecondano uno sterile vittimismo” [ma
quale vittimismo? Noi vogliamo “resettare” classi dirigenti locali e
nazionali, opinionisti compresi].
Lo scrive Andrea Mammone sul
Corriere del 2 settembre 2018 e sembra quasi un manifesto di quello che
per 150 anni ci hanno detto e vorrebbero continuare a dirci sulla
(nostra) storia. Per Mammone, allora, la fabbrica (borbonica) di
Mongiana chiuse perché era “mal collegata” e per “mancanza di commesse”.
Mammone, però, non analizza diversi dati: se era “mal collegata” com’è
possibile che, per tutto l’Ottocento, il trend per il numero degli
operai e le produzioni era costantemente positivo? E se una fabbrica
vive in gran parte di prodotti utili per gli Stati e di commesse
pubbliche, come poteva non fallire se lo stato italiano neanche la
convocò per le gare di appalto e l’abbandonò fino alla svendita ad un ex
garibaldino e alla totale chiusura? Strano, però, che l’Ansaldo di
Genova nel 1860 occupasse solo 480 operai (a fronte degli oltre 1500 di
Mongiana e degli oltre 1000 di Pietrarsa a Napoli) e ne occupasse il
doppio, il triplo ecc. ecc. negli anni successivi (mentre Mongiana e
Pietrarsa chiudevano). Strano che i “dominatori nordisti” pensassero di
tutelare le nostre fabbriche sparando sugli operai (capitò a Pietrarsa,
agosto 1863: almeno 7 morti). Strano anche che Mammone parli di una
fabbrica “mal collegata” nell’Ottocento ed evidenzi (nel 2018 e ad un
paio di righe di distanza) che “non esistono autostrade che colleghino
Calabria tirrenica e ionica”. Eppure a Mammone sarebbe bastato dare un
occhio a qualche ricerca più aggiornata di quelle citate (Galanti,
1798!) e di qualche suo collega universitario (Daniele, Malanima, Tanzi,
Fenoaltea, Ciccarelli, De Matteo, Collet o Davis, solo per fare qualche
esempio) per capire che Mongiana non chiuse “da sola”, che le
condizioni delle Due Sicilie (industrie, redditi, pil, finanze) erano
pari o superiori a quelle del resto d’Italia e che “la tesi
dell’arretratezza preunitaria meridionale” fu inventata dai
“risorgimentalisti” per giustificare (altro che “feudalità”,
“criminalità” o altre… fake!) i loro fallimenti (J. Davis, Naples and
Napoleon, 2016). Avrebbe scoperto anche che la provincia di Catanzaro
vantava livelli di industrializzazione dello 0.78% (stesso livello di
Reggio Emilia, di Piacenza o di Ferrara) o che in termini di prodotto
pro capite, quello della Sicilia, della Campania e della Calabria era
maggiore rispetto a quello delle altre regioni italiane. Peccato per
Mammone, poi, che la relazione del Galanti citata per illustrarci le
condizioni degli operai fu commissionata (nel 1798!) al Galanti dagli
stessi Borbone a pochi anni da un disastroso terremoto e proprio per
conoscere e risollevare le condizioni di quelle terre. Pure ammesso,
poi, che le condizioni settecentesche di quella fabbrica fossero dure
(come erano dure nel resto dell’Italia e del mondo le condizioni delle
fabbriche in quegli anni), peccato che l’articolista “glissi” sulla
storia successiva di quella fabbrica. Se le condizioni fossero state
ancora così pesanti, è alquanto strano che proprio dagli operai di
Mongiana partisse una sommossa anti-italiana che portò la popolazione a
scendere in piazza, a infrangere gli stemmi sabaudi e ad innalzare la
bandiera borbonica (11 gennaio 1861). Sempre a Mongiana, del resto,
oltre 200 persone ebbero il coraggio addirittura di votare “no” al
famoso (e truccatissimo) plebiscito dell’ottobre del 1860. Un occhio
anche “rapido” ai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di
Catanzaro o ai recenti studi della prof.ssa Mariolina Spadaro
(Università Federico II di Napoli) avrebbe evitato allo stesso
articolista di scrivere un articolo che (per restare in tema con le
produzioni di Mongiana) non presenta certezze “ferree”. Avrebbe scoperto
anche l’esistenza di un regolamento datato 1845 e che prevedeva che gli
oltre 1500 operai non potevano lavorare (caso rarissimo non solo in
Italia) più di otto ore, erano assistiti da un chirurgo, da un
medico-farmacista e non risultano, dai documenti, casi rilevanti di
malattie, infortuni e morti. Un altro occhio altrettanto “rapido” ai
documenti relativi allo smantellamento di quelle fabbriche (Archivio del
Comune di Piombino, tra gli altri, con la storia del “trasferimento”
delle macchine calabresi nell’Italia del Centro e del Nord) o al
massacro o alla deportazione o alla emigrazione forzata di centinaia di
migliaia di calabresi (compresi quelli dell’area di Mongiana) gli
avrebbe fatto capire che le Calabrie, da area tra le più
industrializzate d’Italia fino al 1860, sarebbe diventata una delle aree
più disastrate d’Italia e ancora, purtroppo, lo è nel silenzio complice
e colpevole di politici e opinionisti (anche calabresi). Se Mongiana
non era un “polo siderurgico globale”, quanti “poli siderurgici globali”
si contavano in Italia a quel tempo? Ci interessa il divario Nord/Sud
italiano e non la gara con l’Inghilterra o con il resto del mondo,
paesi-vittime di quelle degenerazioni del capitalismo che, come lui
stesso scrive, costrinsero Marx ed Engels a “prendere provvedimenti”…
Strane anche altre “contraddizioni”: Mammone prima scrive che “Terroni”
di Pino Aprile e le tesi neoborboniche non hanno generato “nessun nuovo
paradigma storico” e poi (a distanza sempre di due righe) che
(addirittura) “hanno plasmato il clima socioculturale” e “hanno generato
quel cataclisma elettorale dello scorso marzo”. Noi tutti, allora,
guarderemmo “il presente con gli occhi del passato”? E lo dice pure
Salvatore Lupo? E non è questa, magari, una vera fake news contro la
storia? E chi lo dirà, ora, a Cicerone che la storia non è più “maestra
di vita”? Lo faccia lei, caro Mammone, perché io non vorrei deludere
troppo l’Arpinate. E perché mai, invece, questa storia si legherebbe al
presente ed è invece dovere di tutti gli italiani belli&bravi
evitare di toccare (anche oggi e da 150 anni) le storielle di Garibaldi e
dei mille, dei Savoia e dei Cavour super-eroi e del Sud
brutto,sporco&cattivo? Altro che "piogge di fake news", quelle sono
"bombe d'acqua" di fake, vecchie di oltre un secolo e mezzo e per giunta
veicolate con pubblico denaro per libri&scuole... Se non sono
attribuibili a “cause esterne” il sottosviluppo e la disoccupazione del
Sud, a chi vogliamo attribuire quelle questioni meridionali (mai
conosciute prima del 1860 e tuttora irrisolte)? Forse ai geni tarati dei
meridionali (Lombroso docuit e docet) o al clima o all’aria che si
respira tra Napoli e Palermo? Chi ha mai parlato, del resto, di “età
dell’oro borboniche” o di “fantascientifiche rinascite” grilline?
Sarebbe bastato leggere magari qualcuno dei nostri libri (e non i post
in giro sul web) e sarebbe bastato leggere con un pizzico di attenzione
anche gli articoli post-elettorali dello stesso Pino Aprile per capire
che quel voto plebiscitario al M5S al Sud era il frutto di una tesi ben
precisa e davvero incontrovertibile, più volte espressa da Aprile e
citata anche da Mammone: “il Sud si è rotto i c…”. E qualcuno con una
dose minima di buon senso e di logica potrebbe dare torto al Sud che ha
votato “per protesta” dopo oltre 150 anni di subalternità e di governi
che soprattutto negli ultimi anni hanno reso il Sud “un deserto” (lo
scrive l’Istat ma Mammone dov’era?). Di che “vittimismo” parla Mammone?
Dopo 150 anni e a differenza di quelli che (da Lombroso in giù) per 150
anni hanno attribuito ai meridionali tutte le colpe dei loro drammi,
stiamo finalmente capendo e facendo capire che i meridionali non sono
artefici della loro inferiorità ma semplicemente vittime e possono e
devono iniziare a ribellarsi (democraticamente, civilmente e
culturalmente) contro i Mammone che gli scrivono pure la loro storia e
contro classi dirigenti locali e nazionali, complici di un sistema che
li tiene “sotto” in questa Italia duale (si è accorto Mammone che in
Calabria e nel resto del Sud i nostri giovani da un secolo e mezzo hanno
la metà dei diritti, dei servizi, del lavoro e delle speranze di quelli
del resto dell’Italia e dell’Europa?). Stia tranquillo, infine,
Mammone: nessun ritorno alla “età dell’oro” e neanche “del ferro” ma
solo magari l’esigenza (sacrosanta) di cambiare classi dirigenti (e loro
“formatori” esperti in autoassoluzioni da 150 anni) che hanno ridotto
il Sud così come lo vediamo oggi. E il successo crescente delle nostre
tesi (e l’articolo di Mammone sul Corriere insieme a quelli recenti di
altre riviste scientifiche non solo nazionali) ci fa capire che siamo
sulla buona strada. Prof. Gennaro De Crescenzo
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