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LETTERA APERTA A PAOLO MIELI DOPO LA TRASMISSIONE SU "SUD E UNITÀ D'ITALIA" PDF Stampa E-mail

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LETTERA APERTA A PAOLO MIELI DOPO LA TRASMISSIONE SU "SUD E UNITÀ D'ITALIA" del 23/4/18. ANCORA BUGIE “RISORGIMENTALISTE”? SERVE UN (VERO) DIBATTITO… Gentile dr. Mieli, dopo aver visto la puntata di "Passato e presente" dedicata a "Mezzogiorno e Stato unitario" (23/4/18, Raitre) non posso evitare di sottoporle alcune
 riflessioni anche a nome delle centinaia di persone che ci hanno inviato lettere di protesta. Conoscevamo Mieli e anche il prof. Paolo Macry (protagonisti della puntata) per diverse pubblicazioni e diverse dichiarazioni originali, spesso coraggiose e "alternative" rispetto alla storiografia "ufficiale" su questi temi ma in quella trasmissione abbiamo davvero fatto fatica a riconoscere sia Mieli che Macry, allineati sulle posizioni della più antica e abusata retorica risorgimentalista. In tanti ci siamo chiesti dove fosse finito il Mieli del “non fidatevi della Storia, racconta bugie da millenni” o della tesi secondo la quale, a proposito della storia "neoborbonica", "si usa l’arma del non citarla o analizzarla, dell’evocarla in una nota spregiativa per abbatterla in blocco, salvo poi qualche anno dopo recuperarne le tesi nella loro quintessenza e metabolizzarle nella cultura dominante". In tanti ci siamo chiesti dove fosse finito il Mieli che definiva la massoneria "la guardia armata della storia ufficiale del Risorgimento" se l'altra sera ha raccontato le stesse cose raccontate dalla storia ufficiale e usando lo stesso "modo dogmatico". In tanti ci siamo chiesti dove fosse finito magari il Macry dell'analisi dei meccanismi e delle complicità tra classi dirigenti locali e nazionali nella gestione delle questioni meridionali.
Fatti e tesi (in sintesi).
1) Macry definisce "briciole" (e Mieli "robetta") i primati delle Due Sicilie ma senza entrare nel merito e con la superficialità tipica delle accademie, la stessa superficialità che in questi anni ha decretato il grande e crescente successo degli storici definiti "revisionisti" o "neoborbonici". Quei primati (non si trattava solo della ferrovia) rappresentavano la sintesi della situazione economica, sociale e culturale delle Due Sicilie: non un "paradiso" (mai detto, mai scritto) ma un territorio con un suo sviluppo interrotto traumaticamente nel 1860 e con conseguenze ancora drammatiche e attuali sia per la selezione/formazione delle classi dirigenti che per le scelte governative (dal 1860 ad oggi, tra complessi di superiorità padani e complessi di inferiorità meridionali entrambi alimentati da libri o trasmissioni televisive...). "Briciole" il più alto numero di operai e le più grandi fabbriche metalmeccaniche in Italia? "Briciole" le prime compagnie di navigazione a vapore nel Mediterraneo e i più grandi traffici commerciali con gli Stati Uniti oppure il doppio degli iscritti universitari rispetto al resto dell'Italia? "Robetta" la più alta percentuale di medici per abitanti, di ottantenni e novantenni e la più bassa percentuale di mortalità infantile oppure il più basso numero di emigranti o il più alto tasso di crescita demografica? "Robetta" anche il doppio dell'oro nelle banche o la migliore situazione finanziaria in Italia? Eppure (per evitare errori) sarebbe bastato dare anche un solo un occhio magari ai recenti studi di Daniele, Malanima, Fenoaltea, Ciccarelli, Collet o De Matteo...
2) "L'agricoltura era arretrata e le industrie erano arretrate in tutta l'Italia" (Macry), "i regnanti per conservare il loro tesoretto avevano venduto terre ai proprietari del Centro-Nord" [Falanga, giovane storica che forse confonde il pre con il post-1860]. Eppure gli indici di produttività e i livelli di qualità della vita dei contadini non erano affatto più bassi di quelli "padani". E sarebbe bastato, per evitare errori, dare un occhio ai recenti studi di Federico, Pescosolido o Zitara... Inutile, poi, il confronto con gi altri paesi europei: a noi interessa che i livelli di industrializzazione di Nord e Sud fossero pari o superiori (al Sud), a noi interessa sapere che cosa è successo per invertire questi trend fino alle questioni meridionali di ieri e di oggi (la gara con Inghilterra, Svizzera o Belgio non ci riguarda e non serve).
3) "Il regno crollò per problemi molto forti, per una crisi morale (la gente non era più motivata), per colpa del conflitto tra Napoli e Palermo e il crollo era già avvenuto nel 1848" (Macry). "Il regno si squagliò da solo... in fondo i dolori che hanno vissuto i Borbone se li sono cercati da soli" (Mieli). "Garibaldi fu accolto da una folla festante, centinaia di contadini lo seguirono e i meridionali votarono massicciamente per il plebiscito, Garibaldi si dimise dal parlamento per protesta contro la repressione del brigantaggio" (documentario), "tutti votarono per essere annessi al Nord" (Mieli).
Al di là della falsità di certe tesi (non sono quelle le motivazioni delle dimissioni garibaldine) e al di là della scientificità di certe tesi (come "quantizzare" problemi "forti" o crisi "morali"?), com'è possibile che nessuno abbia accennato alla corruzione operata dai sabaudi per portare a termine quelle battaglie, quella corruzione coperta dal tragico affondamento di Nievo e del suo battello con i "conti unitari"? Com'è possibile che Mieli, ottimo recensore dell'ottimo libro di Di Rienzo sul decisivo ruolo degli inglesi nel crollo del Regno, si sia dimenticato di quello che scrisse qualche anno fa? Com'è possibile che Mieli (suo un ottimo intervento in un recente convegno organizzato dalla massoneria in Calabria), si sia dimenticato di quell'intervento e del decisivo ruolo che la massoneria ebbe in quel crollo (e che ormai la massoneria rivendica con fierezza)? Com'è possibile che Macry si sia dimenticato del suo libro (“Unità a Mezzogiorno”) nel quale analizza il patto (altro che "risentimenti") tra le classi dirigenti nazionali e "la parte peggiore della società siciliana" (altro che "contadini" entusiasti)? Possibile che nessuno dei presenti in studio abbia letto del patto stato/mafia (e stato/camorra) documentato per quegli anni da Sales, Fiore, Di Fiore, Benigno o Chinnici o Gratteri (altro che "folla festante")? Possibile che nessuno dei presenti abbia letto Croce a proposito del 1848 ("dobbiamo ringraziare i Borbone se la Sicilia oggi è italiana e non inglese") e a proposito della falsità della teoria della implosione del Regno ("cadde non da solo ma per un urto esterno")? Possibile che qualcuno parli ancora di quel plebiscito dichiarato falso da tutti gli osservatori del tempo (incluso l'ammiraglio inglese Mundy) e da quasi tutti gli storici (anche accademici)? Possibile che nessuno abbia sentito il dovere morale (altro che "consensi") di citare quelle centinaia di migliaia di meridionali incarcerati, massacrati o deportati al Nord in oltre 10 anni?
4) "Il Sud non si può considerare annesso (anche se -a detta sempre di Macry- l'invasione garibaldina e sabauda era "illegittima"!), il brigantaggio fu rivolta sociale ma anche guerra di criminali e guerra interna al Sud, vere le stragi di Pontelandolfo e Casalduni ma lo stato doveva difendersi, Bixio a Bronte non aveva alternative ("era solo più pragmatico di Garibaldi" per Mieli), ci furono tanti episodi di violenza popolare, è difficile distinguere buoni e cattivi anche se noi siamo tutti per i buoni perché siamo per l'Italia" (Mieli), "ci furono anche i Borboni di Francesco II a soffiare sulla rivolta [tesi incomprensibile, non sappiamo chi siano "i Borboni di Francesco II], i Borbone fornirono uomini e armi ai briganti" (documentario), "Ninco Nanco aveva conseguito diversi crimini [verbo incomprensibile] e i briganti erano malviventi fuoriusciti della società ed andavano dove soffiava il vento dei soldi" (Falanga, giovane storica ignara del fatto che, se fosse stato vero, i briganti avrebbero dovuto e potuto scegliere la parte ricca e vincente -quella sabauda- e non quella borbonica).
Non del tutto logiche certe tesi: i Borbone in quei giorni non avevano né uomini né armi, se avessero potuto aiutare i briganti sarebbero intervenuti negli Abruzzi (al confine con lo Stato Pontificio) mentre il cuore del brigantaggio era altrove (Basilicata e Puglia) e se si fosse trattato solo di rivolta sociale proprio non si capisce perché iniziò nei giorni stessi dell'arrivo di Garibaldi a Napoli (Archivi di Stato locali, fondi Brigantaggio).
Spaventano, in conclusione, queste tesi, per il cinismo e la parzialità: scopriamo così che chi era dalla parte dei Borbone non era italiano ed era cattivo, che uno stato ha il diritto di difendersi con rappresaglie e stragi, che chi invade una nazione legittima ("illegittima" è la definizione usata dallo stesso Macry per l'invasione sabauda) e chi attacca un popolo indifeso ha gli stessi diritti di chi si difende (come fecero briganti e popolazioni meridionali). Scopriamo pure che chi fucila in maniera indiscriminata è solo "pragmatico" (prima o poi qualcuno potrebbe applicare lo schema a nazisti o gente simile).

Caro Mieli, il dibattito su temi così delicati, complessi e attuali non si può limitare ad un dibattito unilaterale (lo avete fatto per 150 anni e i risultati non sono stati eccezionali). Caro Mieli, da lei ci aspettiamo un dibattito vero e non la domanda fatta ai tre spauriti e timidi ragazzi in studio: "doveva andare così?". Noi non avremmo risposto in coro "sì". Avremmo risposto (documenti e dati alla mano) che non doveva andare così e non dovrebbe andare così neanche il racconto della nostra storia se veramente vogliamo un Paese unito e finalmente senza discriminazioni e con pari diritti per i giovani del Sud e del Nord. Ci ritenga a sua (gratuita) disposizione.
Prof. Gennaro De Crescenzo, Movimento Neoborbonico, 24 aprile 2018, Napoli
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