“Non moriremo mai perché abbiamo troppo da ricordare”, così Pino Aprile conclude il suo intervento ne “Attenti al Sud”, volume di recente pubblicazione che raccoglie saggi-non saggi di Maurizio De Giovanni, napoletano, Mimmo Gangemi, calabrese e Raffaele Nigro, lucano, oltre al pugliese Pino Aprile, da anni in prima linea nello sviscerare la vera storia del cosiddetto Meridione d’Italia.
Aprile pone l’accento su ciò che la globalizzazione ha significato, in
termini di percezione delle proprie potenzialità, per il Sud del mondo,
la nuova e diversa angolazione visuale di quello che si è e di come sia
possibile, anche lontano da obsolete piattaforme industriali,
intervenire sull’economia e sui destini propri e del mondo intero. Oggi i
“sassi” di Matera, sono Patrimonio dell’umanità e vanto di una nazione;
cinquant’anni fa ”vergogna d’Italia”. Questa nuova civiltà “ridisegna
il mondo, la geografia, il panorama”… “mentre il Nord sta dissanguando
il Paese, per tenere in piedi le cattedrali di una religione perduta,
quella industriale”, il Sud “con una scarpa e una ciabatta, sta
reinventando il mondo”. (Vecchia povertà e nuova ricchezza di Pino
Aprile). “Attenti
al Sud”, nel senso di “date retta al Sud, guardatelo”, altrimenti
“potrebbe scoppiarvi in mano”: così Maurizio De Giovanni apre il suo
intervento. Da un Autore mai tenero nei confronti di Napoli, la sua
città, e dei napoletani, un inno alla Bellezza, alla bellezza di un
territorio, quello campano, che comprende “un settore agroalimentare
leader nel mondo, la reggia di Caserta, Pompei ed Ercolano, la Costiera
Amalfitana, la Costiera Sorrentina, Ischia, Capri e Procida, la reggia
di Carditello, Paestum, Capodimonte, Palazzo reale…”. E l’Italia non se
ne accorge, perché deve escludere, a prescindere. Napoli, con la sua
musica, immensa e universale, un ritmo che spesso rientra dall’estero,
dagli Usa, dopo che Napoli l’ha inventata ed esportata, dallo jazz, al
blues, passando per i movimenti neri. “Io non sarei così deciso nello
scorporare il buono e il cattivo in maniera radicale. Perché il buono
diventa poco credibile quando viene scremato di tutto il cattivo”. (La
Responsabilità della Bellezza di Maurizio De Giovanni). “La
patria unitaria si mostrò da subito lontano e nemica. Si macchiò di
nefandezze taciute dalla storia e tuttavia ben note”. Gangemi, nel suo
articolato intervento, accenna subito al grave pregiudizio che di solito
si ha nei confronti della Calabria e dei calabresi. Accenna al danno
enorme che uno scrittore come Giorgio Bocca, col suo “L’Inferno”,
pubblicato nel 1992, inferse al Sud in generale e alla Calabria
particolarmente. Pregiudizi, luoghi comuni, esagerazioni,
generalizzazioni, scrittori da Grand Hotel. Così, allora, chi scrive
queste note, reagì all’assurdità di quel volume: “…Non
si tratta di un’opera d’indagine sociologica, né, tantomeno, di cronaca
giornalistica, ma di un romanzo, con tutte le sue fantasiose
invenzioni; spudoratamente di parte, antimeridionalista, a dispetto
della melensa premessa di copertina. Soprattutto volutamente incompleto e
politicamente scorretto, manovrato e mendace. No, egregio dottor Bocca,
non ci siamo! Lei sa di aver scritto fette di verità. Ha ridotto il Sud
ad un involucro inaccessibile, ad un enorme salvadanaio dalle pareti
d’acciaio; una voragine senza fondo, un girone dantesco abitato da
voraci sanguisughe. Tutti, indistintamente, ladri o guardie, corrotti o
corruttori, mafiosi o politici, plebe o alta borghesia. Non c’è via di
mezzo, non esiste “la Gente”, nel suo libro. Le persone “normali”, la
gran parte del popolo meridionale non ha diritto di rappresentanza, non
c’è, non esiste. Un magma indistinto, nessuna differenziazione, un
calderone bollente di guai, L’Inferno… 25 milioni di persone, la più
grande migrazione di popolo in tempo di pace nella storia dell’umanità:
questo il prezzo pagato dal meridione d’Italia alla propria miseria e
all’opulenza di altri. E chi doveva fermare le vostre mafie?! I sassi? I
misteri d’Italia. Mafia, mafia, mafia, no, signor Bocca, la mafia non
esiste! Mafia: una parola buona per ogni occasione. Prendi tre, paghi
niente. E i cittadini meridionali, da soli, dovevano fermare tutto
questo? Perché il Nord, con le sue opulenti mollezze, non ha distrutto
la P2, sconfitto il traffico d’armi o di droga, fermato le bombe del
terrorismo, riformato i servizi segreti, scoperto “Tangentopoli” dieci
anni prima. Perché non ha impedito le corruttele di Expo, fermato il
Mose, evitato il sacco di Roma, chiuso la TAV??? Ecco, questo è uno
splendido popolo, egregio, dove la maggior parte della gente, ogni
giorno, si alza per andare a lavorare e non è più disposto a tollerare
pregiudizi, insinuazioni, falsità strumentali, propinate per mera
propaganda, per uno straccio di libro o, peggio, per mere opportunità
economiche,,,”. Ma,
torniamo a Gangemi, con la sua lucidissima e appassionata analisi del
fenomeno ‘ndrangheta, figliastra e non figlia di quell’ “onorata
società”, finita nel ’75 con l’uccisione di zi’ Ntoni Macrì. La
‘ndrangheta, “bestia feroce da annegare sotto gli sputi del disprezzo”,
ma… questo Stato, questa Giustizia, che giusta non è, questo stato che è
sempre più stato con la “s” minuscola, specie per noi, noi meridionali,
noi conquistati, noi colonia, traditi, sempre. (La cultura del
pregiudizio di Mimmo Gangemi). C’è
voglia di “fuganza”, scrive Raffaele Nigro, da questa Lucania lacerata,
ma occorre fare di tutto affinché prevalga la “restanza”, in questa
terra dalle aspre bellezze, dai castelli arroccati, da vivere anche
nelle sue zone interne più sconosciute. Le eccellenze materane nei
secoli, i personaggi illustri, letterati, scultori, poeti, musicisti,
famiglie nobili che fecero del mecenatismo culturale la propria
bandiera. Infine, il Cristo di Levi, che rivela al mondo le condizioni
in cui è sprofondata la Regione in epoca fascista e anche prima. “Il
caso Matera è emblematico… E’ il patrimonio che dobbiamo far conoscere
prima di tutto ai nostri giovani… Ma la linea governativa è in totale
disaccordo” – siamo sempre lì – “con chi cerca di frenare l’emorragia e
reinventare la vita a queste latitudini”. (Per una cultura ribelle di
Raffaele Nigro). Antonio Pulcrano
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