10 DOMANDE (CON REPLICA E CONTROREPLICA) AD UN FAMOSO ACCADEMICO A PROPOSITO DEI GIORNI DELLA MEMORIA (E DEI GIOVANI DEL SUD). Gentile prof. Aurelio
Musi, sono diventato
neoborbonico durante la specializzazione in Archivistica e sono uno
degli artefici di questo "trend" di oggettivo e dilagante successo ma vorrei che mi
rispondesse non su etichette "confortanti" (per chi le usa) ma nel
merito. 1) È "mito neoborbonico" il dato di un Sud che fino al 1860
aveva livelli di pil, redditi medi, industrializzazione, crescita
demografica ed economica positivi e che dal 1860 (solo dal 1860) vide
invertire in negativo quei livelli? 2) Sono tutti "beceri" borbonici
quegli accademici suoi colleghi che hanno documentato queste tesi? Tutti
"reazionari" Daniele, Malanima, Collet, Fenoaltea, Gangemi, Ciccarelli,
De Matteo, Tanzi o lo stesso Davis quando afferma che la teoria
dell'arretratezza meridionale preunitaria fu un'invenzione postunitaria
creata strumentalmente dagli artefici dell'unificazione (e trasmessa dai
loro eredi genetici e culturali)? 3) È "vittimista" quel meridionalismo
che chiede (dopo 150 anni) "par condicio" tra Sud e Nord o è colpevole
quel meridionalismo che (da 150 anni, magari per preservare ruoli e/o
incarichi come iniziarono a fare gli antiborbonici del 1860) non lo ha
mai fatto? 4) "Gioca sporco" chi si indigna per il dramma di giovani che
al Sud (da 150 anni: altro che "condizioni di crisi generali") hanno la
metà dei diritti, del lavoro, dei servizi, delle occasioni e delle
speranze di quelli del resto dell'Italia e dell'Europa o chi si indigna
per i giorni della memoria? 5) È più "impressionante" la sequenza di
eventi che in 150 anni hanno ridotto il Sud come sappiamo ("un deserto"
per l'Istat) o quella che (si chiamerebbe democrazia) ha portato a
votare i giorni della memoria per giunta a livello istituzionale e quasi
plebiscitariamente? 6) La mancata risoluzione delle questioni
meridionali è colpa di chi non ha mai avuto ruoli istituzionali (o
cattedre) e vorrebbe (dopo 150 anni) risolverle percorrendo la strada
dell’orgoglio e della sacrosanta rivendicazione o di chi è stato classe
dirigente per tutti questi anni senza risolverle? 7) Ha più colpe chi
(secondo la sua ipotesi, autorevole ma pur sempre una ipotesi) vorrebbe
unire "populismo e neoborbonismo" o chi (non è un'ipotesi ma un dato di
fatto vecchio di 150 anni) non le ha risolte come classe dirigente o (si
chiamerebbe "autocritica") non ha saputo formare classi dirigenti
capaci di risolverle? 8) È "un fatto assai grave" revocare
simbolicamente la cittadinanza onoraria ad un generale che massacrò
migliaia di meridionali o continuare a raccontare leggende come quelle
di Cialdini e compagni? 9) È più "antistorico" ricercare e scoprire (da
volontario, negli archivi) massacri, deportazioni o saccheggi ignorati
(come negarlo?) "nei libri di scuola" o opporsi ad un semplice momento
di riflessione e di confronto su temi che le "pubbliche accademie" hanno
ignorato o minimizzato per un secolo e mezzo? 10) È "strumentale" l'uso
della storia fatto da una cultura risorgimentalista dal 1860 ad oggi
com'è dimostrato da generazioni di docenti e migliaia di ricerche e
pubblicazioni o è strumentale l'uso (ipotetico e tutto da dimostrare) di
revisionisti, neoborbonici, Terroni, M5S e altri? Nessuna "aria
antiunitaria", allora, ma il contrario: l'obiettivo potrebbe essere
proprio quello di unire (finalmente) un Paese diviso (per diritti e per
speranze) da 150 anni e a danno di una sola parte: quella meridionale ,
con le poche eccezioni di classi dirigenti complici e/o interessate che
in 150 anni non hanno mai cambiato linee culturali e scelte politiche.
Le stesse classi dirigenti che i nostri giovani, forse, hanno finalmente
il diritto e il dovere di cambiare. Piaccia o no a a lei e a noi. Prof. Gennaro De Crescenzo, presid. Movimento Neoborbonico
ARTICOLO INTEGRALMENTE PUBBLICATO SU "REPUBBLICA" DEL 5/8/17 CON REPLICA DEL PROF. MUSI
CONTROREPLICA
LE MIE DOMANDE (INTEGRALMENTE) PUBBLICATE SU "REPUBBLICA", LE (NON) RISPOSTE DEL PROF E QUELLE PARTITE A PALLONE PER STRADA... Gentile prof. Musi, pur apprezzando molto il tentativo di confronto e pur avendo apprezzato molte delle sue pubblicazioni, questa volta devo confessarle la mia delusione. Nell'articolo pubblicato insieme alle mie dieci domande su Repubblica del 5/8/17, di fatto lei non risponde neanche ad una delle domande che le ponevo e ripete i concetti espressi nel suo precedente articolo e per i quali le avevo posto quelle domande. "L'unificazione dolorosa ma necessaria", il "nostalgismo", il "neoborbonismo", un (ipotetico, ipotesi sua) "separatismo" (perché se ne preoccupa se lei stesso -e concordiamo- le definisce "prospettive velleitarie"?), le ipotetiche "alleanze elettorali" (sempre ipotesi sue) tra M5S e revisionisti (e intanto non ricorso suoi studi e interventi sui tanti -e veri- governi leghisti o su quelli antimeridionali anche degli ultimi anni). Solo un'osservazione: lei ritiene che "storia e memoria collettiva" siano due cose diverse e separate. Strano se pensiamo che per 150 anni non è stato così: la storia risorgimentalista infarcita di retorica e di tante leggende ha formato -e forma- la memoria collettiva italiana pur dimostrando il fallimento di questo "mix". Mi lasci passare questo esempio: ho la sensazione di quelle partite a pallone giocate da bambino per strada e, quando il proprietario del pallone perdeva 5 a 0, si riprendeva il pallone "perché è mio" e se ne andava: fino a quando, cioè, memoria e storia andavano a braccetto per unificare il Paese (a danno del Sud, com'è nei dati delle mie domande), tutto ok, quando memoria e storia, invece, iniziano a unirsi, con un successo oggettivo e crescente e con un obiettivo diverso (nessuna "nostalgia" ma solo unire finalmente e veramente l'Italia con classi dirigenti nuove, fiere e radicate e con pari diritti tra i giovani del Sud e del Nord) qualcuno si vorrebbe riprendere il... pallone. E se, invece, l'unione tra storia, memoria e identità, quell'unione per lei (e per la cultura accademica) impraticabile e invece alla base del successo di tante nazioni fosse una (nuova) soluzione? Del resto la sua strada l'abbiamo sperimentata per 150 anni con un trend invariato rimasto negativo dal 1860, con i risultati che sappiamo e con questioni meridionali ancora aperte e sempre più drammatiche... Le rinnovo con piacere, allora, la richiesta di risposte nel merito e magari quella di un confronto pubblico proprio nel merito e su questioni storiche ("fonti e documenti" alla mano, come sono abituato a fare nei miei libri e come avevo fatto in quelle domande). Cortesi saluti Prof. Gennaro De Crescenzo
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