E ora? Ora che scriveranno e che diranno? Parliamo del nuovo libro di Pino Aprile (titolo e sottotitolo più che mai chiari: “Carnefici. Fu genocidio: centinaia di migliaia di italiani del
Sud uccisi,
incarcerati, deportati, torturati, derubati. Ecco le prove”). Parliamo
di tutti quelli che (pochi e sempre gli stessi, accademici e non,
meridionali e non) da quando è uscito “Terroni” sono impegnati in
un’attività quasi quotidiana: l’attacco a Pino Aprile (e, ogni, tanto,
ai neoborbonici). Spesso parlo di era pre e post-Terroni. Con
"Carnefici" inizia una fase nuova ed è davvero difficile sintetizzare un
libro che contiene gran parte delle domande e delle risposte intorno
alle quali gira chi cerca la verità storica senza preconcetti e
pregiudizi (dai massacri -ancora- negati alla situazione economica del
Sud preunitario, dai soldati deportati ai primati culturali delle Due
Sicilie). "Quando una cosa non vuoi farla sapere, la terra si apre e
parla": questa frase ci accompagna fin da quella bella serata estiva
trascorsa insieme negli Abruzzi a parlare di briganti ed ha accompagnato
le tante serate trascorse con Pino ad "ascoltare" la terra e per terra
intendiamo le centinaia di testi e di documenti ritrovati, giorno dopo
giorno (e anche dopo l'uscita del libro) negli archivi o nelle
biblioteche soprattutto straniere in un percorso tormentato ed esaltante
per confermare quelle che da anni erano idee, spunti, domande o dubbi.
"Ecco le prove", allora, e toccherà agli altri, agli storici "ufficiali"
replicare con una altrettanto adeguata dose di testi o documenti
evitando di far finta di leggere il libro o di rifugiarsi nelle
consuete, stucchevoli e ormai involontariamente comiche etichette ("è
neoborbonico", "è giornalista"...). Replichino entrando nel merito (se
non ora, quando?), se possono. Oppure tacciano. "Non mi tornavano i
conti": inizia così questa documentata e appassionata analisi di una
storia finora trascurata o dimenticata dalla storiografia ufficiale (e
nel libro anche le prove -altrettanto inoppugnabili- di come è stato
occultato tutto questo). Possibile che di quelle centinaia di migliaia
di meridionali (“amori, sogni, speranze” e non numeri) scomparsi subito
dopo il 1860 nessuno abbia mai parlato in un secolo e mezzo? Possibile
che lo dobbiamo fare Pino, io e i tanti amici ricercatori-volontari che
Pino cita e ringrazia spesso (con affetto) nel libro e nelle sue
conferenze? Possibile che in un secolo e mezzo ricerche e tesi
accademiche abbiano trattato i temi più disparati senza mai chiedersi
che fine avevano fatto quei "fantasmi", quelle "tribù scomparse" nel
passaggio tra Regno delle Due Sicilie e Regno d'Italia? Pigrizia o
colpa? In entrambi i casi nessuno ha (avrebbe) il diritto di
rimproverare a Pino Aprile nulla se non per un vago senso di
colpa&vergogna che chi fa lo storico deve (dovrebbe) provare di
fronte a gravi lacune, strane dimenticanze o reiterate distrazioni
relative ai fatti che Aprile racconta. Ovvio che per loro era ed è più
facile occuparsi di chilometri di ferrovie o di costituzioni concesse o
meno piuttosto che delle (vere e drammatiche) cifre dei deportati
meridionali o delle vittime di Pontelandolfo o Auletta. “La storia è un
posto dove sono tutti morti: è come muoversi in un cimitero. Noi siamo
la somma di tutte quelle vite spente, e dobbiamo sapere come, per capire
chi […]. Chi ha paura della storia, teme che da lì possa emergere una
colpa: la propria. Se la paura continua quando i colpevoli di quei
crimini sono tutti morti, vuol dire che il vantaggio di quella colpa
dura ancora. E non lo si vuol perdere. Questo condanna l'Italia a dover
soffocare il passato”. E, a proposito di passato, "a che serve
ricordarlo"? È la domanda più frequente che rivolgono a Pino o ai
neoborbonici. In qualsiasi posto del mondo e in qualsiasi momento
storico senza memoria non c'è futuro. Se il Sud vive da 150 anni un
dramma e se questo dramma negli ultimi tempi sta rivelando cifre
intollerabili come quelle riportate anche in "Carnefici", premesso che
nessuna persona di buon senso (non stiamo pensando, è ovvio, ai leghisti
padani o ai terroni subalterni) può pensare che quella meridionale sia
una razza inferiore, la spiegazione è tutta nella storia e nelle scelte
dei "carnefici" del passato e di oggi (quelli del "prima il Nord" sempre
e comunque). La spiegazione è in un sistema di colonizzazione interna
con una classe dirigente nazionale complice di una classe dirigente
locale interessata, rinnegata e venduta (potete pensare da soli a
politici, docenti o giornalisti, spesso "nemici" di Pino Aprile o magari
dei neoborbonici). "Così dividete l'Italia" sarà la seconda frase più
utilizzata dopo la lettura di questo libro: come se questo Paese non
fosse già diviso per diritti, servizi, occasioni o speranze. E se
l'unione di questo Paese è fallita con le bugie e con la retorica,
nessuno può impedirci di provarci con la verità, nel reciproco rispetto e
con la pretesa di “par condicio” e pari dignità tra un giovane di
Bergamo e uno di Reggio Calabria. A meno che non siamo complici di
questo sistema e abbiamo paura di perdere incarichi, appalti, cattedre o
scrivanie da direttori di giornale (le stesse che avrebbero offerto
ogni giorno ad Aprile se avesse scelto i vivalitalia e non le trincee in
giro ogni giorno a raccontare le sue storie). Lo stile? Quello consueto
di Pino, sospeso tra dati, passione, poesia e ironia, lo stesso che lo
ha portato al meritato successo di “Terroni” e degli altri best-seller
“meridionalisti” e non (peggio per gli invidiosi più o meno palesi). “La
memoria ha bisogno di segnacoli e ricorrenze, per questo ci sono le
croci e le lapidi nei cimiteri e il 2 novembre nel calendario. Il
genocidio dei meridionali, l'aggressione che subirono e la loro
dequalificazione umana (minorizzati nei diritti e nella dignità dallo
Stato che si finge unitario) devono diventare insegnamento scolastico,
monumenti alle vittime, nomi delle strade e delle piazze, un giorno nel
calendario, per migliorare la qualità dell'incontro fra cittadini di uno
stesso Paese.” Il progetto? E’ nel percorso che Pino Aprile ci indica
chiaramente: “sentire, sapere, fare, far fare. La fase del sentimento,
che spinge a volersi informare, è ormai superata ma non alle spalle,
perché sull'onda di quello, sempre più persone si accostano,
incuriosite, alla riscoperta di un passato in cui gli italiani del Sud
non erano meridionali di nessuno”. Continuare a studiare, allora,
continuare a ricercare e a diffondere consapevolezza e orgoglio e
metterci in fila lungo la strada che porterà alla costruzione di un
monumento alla memoria ritrovata, un fiore e un mattone tra le mani, dal
Nord come dal Sud magari a Gaeta… Ecco perché “Carnefici” non è “un”
libro di Pino Aprile ma “il” libro di Pino Aprile. Ecco perché è un
libro importante e serve. Serve a chi ama (ancora) la nostra terra e la
nostra gente ed è convinto che per questa terra e per questa gente è più
vicino il momento del riscatto. Ecco perché ne ho conservato per le mie
bambine (3 e 8 anni) una copia e chiederò a Pino di dedicarlo non a me
ma ad Annachiara e a Vittoria. Gennaro De Crescenzo
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