E’ appena stato pubblicato un nuovo libro di Lorenzo Del Boca (“Il sangue dei terroni. Perché la maggioranza delle vittime della prima guerra mondiale erano ragazzi del Sud”). Lorenzo Del Boca, come
scrive giustamente
Pino Aprile nella prefazione, “è un grande cronista che scrive di
storia: di quella stirpe di giornalisti capaci di rendere affascinante e
comprensibile qualsiasi argomento trattino”. Con queste premesse
seguiamo Lorenzo Del Boca fin da quando (tra i primi a farlo in epoca
recente) trattò le questioni meridionali (dei classici, ormai,
“Maledetti Savoia” e “Indietro Savoia”) diventando anche, con decine di
incontri e convegni, un sapiente, efficacissimo e piacevolissimo
“raccontatore di verità storiche”. Con queste premesse, del resto, aveva
già affrontato il tema della prima guerra mondiale (“Maledetta
guerra”). Ora approfondisce lo stesso tema vedendolo, però, da Sud. Ed è
una prospettiva davvero nuova e interessantissima quella della grande
guerra vista, a conti fatti, come l’ultima guerra di un “risorgimento”
con e (soprattutto) contro i meridionali. Da qualche mese ho scoperto
una verità familiare che non conoscevo: il padre di mia nonna Giuseppina
(Simone Balestrieri), è nel libro d’oro della guerra. Giovanissimo (era
nato a Napoli nel 1891), fu arruolato nella Brigata Sele il giorno
dell’onomastico di mia nonna. Ferito in battaglia, morì il 22 agosto del
1916 a 25 anni: la sua tomba è ad Ostrava nella Repubblica Ceca (era da
quelle parti una fabbrica-lager). Quella di nonno Simone è una delle
tante storie che potrebbero essere raccontate nel libro di Del Boca. E
così si parte da quel Sud-colonia e da quelle tesi del famoso Lombroso
(“che qualcuno arriva a definire scienziato”) per arrivare a fare dei
meridionali “carne da cannone come l’Inghilterra faceva con i pakistani o
la Francia con i marocchini” e se quella scelta non fosse stata
pianificata sarebbe pure peggio perché, evidentemente, si trattava di un
“atteggiamento implicitamente acquisito”. Così si raccontano gli
scioperi contro la guerra delle coraggiose donne siciliane tra “miserere
e invettive”. Si registrano i drammatici dati di una guerra veramente
maledetta e ancora più maledetta per i meridionali (su 1000 uomini 105
non tornarono; 112 in Campania, 113 in Calabria, 210 in Basilicata). Su
quasi 6 milioni di arruolati furono 677.000 i morti, senza considerare i
morti in prigione o negli ospedali arrivando a superare il milione e
mezzo di vittime (almeno un milione i meridionali). Fu così che al Nord,
pur con vittime e danni gravi, a fine guerra si contarono centinaia di
migliaia di operai più o meno specializzati nell’industria bellica
(720.000 i “dispensati”) e al Sud solo lapidi (e spesso neanche quelle)
nelle piazze dei paesi (solo 21.000 i “dispensati”). 400.000 i processi
per reati commessi dai soldati (prevaleva il “disfattismo” anche solo
per una lettera inviata ai propri familiari con qualche dubbio sulla
utilità di quella carneficina), migliaia le “vittime sul posto” (anche
solo per qualche “risposta vivace” ai superiori), migliaia le vittime
delle “decimazioni” come quelle operate contro la Brigata Catanzaro (“i
morti con la terra in bocca”). Eppure su 40.000 libri pubblicati, solo
un paio di autori (compreso Del Boca) hanno trattato questi argomenti o
hanno fatto ricerche sui documenti relativi a quei processi o a quelle
ribellioni e molti conti sono ancora da fare o rifare nel nome di una
verità storica che la cultura ufficiale non ha ricostruito o non ha
voluto ricostruire (e qualcuno, aggiungiamo noi, precisamente dalle
parti di Fenestrelle, dice di aver chiuso la questione magari dei
soldati delle Due Sicilie deportati o uccisi al Nord dopo qualche mese
di ricerca). Non mancano (è nello stile di Del Boca) notizie spesso
tratte da diari, memorie, poesie o lettere oltre che da documenti
inediti. Significativa la breve storia di Napoli da “emporio universale
delle Due Sicilie” a “città dolente” con i passaggi su quel porto mai
adeguatamente valorizzato (1900 i metri di banchina commerciale di cui
solo la metà con binari, 14 i chilometri del porto di Genova e tutti con
binari) mentre si consentiva alle Officine Meccaniche di Milano di
ridurre stipendi e investimenti a Napoli dopo la concessione di
esenzioni fiscali e agevolazioni di ogni tipo (schema che conosciamo
bene anche in tempi più recenti) fino a quella Cassa per il Mezzogiorno
che, di fatto, aiutò “i capitalisti del Nord”. Ed è ancora più spietato,
tornando alle trincee, il confronto amaramente ironico che Del Boca ci
presenta tra le atrocità di una guerra fatta di “fango e sangue”, “cieli
nuvolosi e paesaggi lividi” e le irresistibili (e tragicamente comiche)
relazioni militari o le preoccupazioni “floreali” di Cadorna e degli
altri generali carichi di medaglie ma impegnati nelle “rischiosissime”
colazioni dei bar di Trento e ben lontani dal fronte a cui guardavano
come oggi guardano gli schermi i ragazzi che giocano con la Playstation.
Insomma, usando le parole di uno dei tanti “terroni” impegnati al
fronte: “Questa disonesta patria ci ha fatto le promesse e non le ha
mantenute. Disgraziata e cornuta”. No, “non ce l’hanno raccontata
giusta” -scrive Del Boca- e continuano a farlo e dobbiamo ringraziare
Del Boca se questa e tante altre pagine di storia ce le ha raccontate
lui ma (finalmente) nella maniera giusta e meglio, molto meglio di tanti
storici “ufficiali” stranamente silenziosi o pigri su temi delicati,
complessi e attuali come questi. Gennaro De Crescenzo
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