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Gigi Di Fiore e il suo nuovo e importante libro sulla Nazione Napoletana a Salerno PDF Stampa E-mail


Successo ormai consueto per la presentazione del libro di Gigi Di Fiore questa volta a Salerno. Giovedì 11 giugno l'Associazione per il Meridionalismo Democratico - Sede di Salerno ha organizzato una interessante serata a Salerno, il giorno 11 giugno 2015 alle ore 18,30 presso la libreria La Feltrinelli, Corso Vittorio Emanuele n. 230 (!), per la presentazione del libro di Gigi Di Fiore "La Nazione napoletana - Controstorie borboniche e identità suddista", con l’autore,  Carmine Pinto (Università di Salerno), Antonio Manzi (Il Mattino), moderatore l'avv. Guglielmo Grieco. QUALCHE PAROLA SUL LIBRO. E’ stato appena pubblicato il nuovo libro di Gigi Di Fiore, “La Nazione Napoletana. Controstorie borboniche e identità suddista” (Utet). “Piaccia o no a chi  
storce il naso, dal 1860 le Due Sicilie erano una nazione autonoma e indipendente. Patria per tutti i meridionali che vi vivevano”. E’ questo il cuore del nuovo libro di Gigi Di Fiore: documentazione, poesia, ironia e un pizzico di rabbia e di amarezza. Di Fiore, con tutte le sue controstorie di successo (dalle questioni meridionali a quelle sulla camorra fino a quelle sulla liberazione), ci aveva abituati al rigore unito alla passione. In questo caso siamo di fronte ad un libro che “chiude” il cerchio unendo il passato al presente e con risposte efficaci e inoppugnabili alle tesi esposte con la consueta superficialità e pre-sunzione dagli interlocutori “ufficiali” di turno. Siamo di fronte, così, ad un prezioso manuale carico, dalle citazioni in testa ai capitoli alle articolate appendici,  di “istruzioni per l'uso di chi del Mezzogiorno d'Italia poco sa, e quello che sa lo colora spesso di pregiudizio”. Dopo l’unità d’Italia erano tre, per Di Fiore, le categorie di Napoletani: i “furbi”, gli “indifferenti e la terza, quella meno conosciuta, e meno apprezzata dei “coerenti”, quelli che avrebbero affrontato “mortificazioni, processi, prigioni” (“In Italia anche oggi sono sempre la minoranza, chissà perché”). Di Fiore ricostruisce il senso e la storia della Nazione Napoletana e lo fa attraverso una serie di storie di protagonisti spesso sconosciuti solo perché dalla parte dei “vinti”. Una piccola storia epica delle Due Sicilie attraverso le vicende prima di tutto umane e poi politiche e culturali di Matteo Negri, Francesco Traversa, Ferdinando De Filippis, Domenico Bozzelli, Aloisio Migy, Carlo Filangieri (Napoletano, pur nelle sue ambiguità e nei suoi limiti), Giuseppe Maria Solimene, i Quandel, i Calà Ulloa, Enrico Cenni, Giacomo Savarese, Francesco Proto duca di Maddaloni, Luigi Corsi e dimenticarne qualcuno ci fa quasi sentire in colpa...  Sono nomi che a molti non dicono niente e proprio questo rende il libro di Di Fiore importante e prezioso. Nessuno di questi signori ha avuto spazio nei libri di storia o sulle tabelle di strade, piazze o scuole. Difensori di Gaeta, ultimi premier delle Due Sicilie, scrittori, magistrati, avvocati, tutti uniti da quel senso profondo di una Patria che stavano perdendo o avevano già perso e questo rende ancora più importante e necessario il racconto delle loro storie. E insieme alle loro storie quelle dell’assedio di Gaeta, del brigantaggio, di Pietrarsa, di quei soldati “sbandati” (una definizione che supera i cavilli burocratici sabaudi e per Di Fiore diventa giustamente dramma) o delle stesse finanze del regno che fanno da sfondo alle loro vicende personali: un modo efficace e suggestivo per raccontare, da giornalista e da storico vero, anche quando si parla di numeri e di dati. E insieme alle loro storie quelle di famiglie, di vedove e orfani che non si sono mai visti riconoscere nulla né moralmente né materialmente. “Sono morti senza ricordo, senza un sacrario”... ma, forse senza accorgersene, l’autore trasforma questo libro in un vero e proprio ricordo/sacrario, quello mancato per tutti questi anni. Importante e attuale più che mai il capitolo “I pregiudizi di Palazzo Carignano” con le tante dichiarazioni di disprezzo dei politici del tempo, “in primis”, però, quelle degli stessi meridionali e soprattutto di quei famosi esuli che, spesso stipendiati presso la corte di Torino e diventati la nostra classe dirigente post-unitaria, facevano a gara nel dimostrare il loro distacco nei confronti di quella terra che avevano lasciato: “senza patria a Torino e senza patria a Napoli”. L'attualità di queste pagine si lega all'atteggiamento che molti politici e molti intellettuali ancora mostrano nei confronti non dei Borbone, ormai, ma di chi legge la storia con rispetto anche verso i Borbone: “neoborbonici” o “suddisti”... E se i parlamentari meridionali evitarono quasi sempre di difendere i loro popoli per paura di essere bollati o estromessi dai loro ruoli per “simpatie borboniche”, allo stesso modo politici e intellettuali di oggi evitano di difendere i loro popoli per paura di essere definiti “neoborbonici” o “suddisti” e magari utilizzano loro stessi quelle etichette. E qualcuno ancora si meraviglia che non abbiamo classi dirigenti adeguate... E giù allora con luoghi comuni più o meno razzisti riferiti al Sud e ai suoi abitanti: “fogne”, “cloache”, “pecore”, “popolazioni brutte, viziate, molli, sudicie” o (con un’attualità da brividi) messaggi con riferimenti “al vostro Etna e al vostro Vesuvio” che avrebbero dovuto “seppellire le antiche rimembranze”: l'unica strada se i meridionali volevano andare la potere, allora, era quella della distruzione della memoria storica (discorso del piemontese Filippo Mellana, Atti Parlamentari 1861). Altra parte fondamentale del libro è quella dedicata al presente con la dimostrazione che quello raccontato non è un passato fine a se stesso ma un passato ancora carico di significati e di sviluppi futuri. Di Fiore, allora, tratteggia la storia dei tanti movimenti e gruppi meridionalisti (dai “sudisti” ai “neo-terroni” legati a Pino Aprile e al suo grande successo editoriale) e nel capitolo “I neoborbonici e i loro figli” sintetizza la storia del Movimento Neoborbonico in maniera precisa, chiara e obiettiva fin dalla nascita con Riccardo Pazzaglia nel 1993. Si tratta, per Di Fiore e per la prof.ssa Marta Petrusewicz che al neoborbonismo ha dedicato una giornata di studi a New York, di “un nuovo stato d'animo che pervade il Sud”. Di un movimento nato e cresciuto attraverso la ricerca, la divulgazione, le difese “martellanti” del Sud, fino a diventare un fenomeno al centro di studi universitari con convegni (ultimo, appunto, quello di New York) o tesi di laurea. Le analisi economiche, le denunce e il recupero della dignità storico-culturale del Sud sono le linee di un Movimento “con un forte grado di penetrazione, un'associazione strutturata”, un “movimento non del re ma dei briganti” (citando Nicola Zitara) e  dal quale sono venute fuori tante altre associazioni (centinaia) con finalità e obiettivi simili. Chi attacca i neoborbonici lo fa restando in superficie o sottovalutandoli ma erroneamente perché si tratta di un “fenomeno crescente che richiederebbe altri approfondimenti” per capire le motivazioni di quei tanti consensi e di quelle tante adesioni riassunte nei dati riportati nel libro: dalle dichiarazioni Renzi, Scalfari e gli altri, in puro stile neoborbonico, agli oltre 20.000 iscritti alla loro rete di informazione, fino agli 8 milioni di contatti i pochi anni sul sito neoborbonici.it o alle centinaia di  migliaia di pagine riferibili alla parola “neoborbonici” su internet o alle visualizzazioni complessive -circa un milione e duecentomila- dei loro video  (“se fossero voti sarebbero da straordinario exploit elettorale”). L’ennesima e forse più importante dimostrazione che “della nazione napoletana resta la cultura, restano le radici. Ne resta l'identità”. Il futuro? Per Di Fiore (e per noi neoborbonici) è proprio “nella conoscenza delle radici”, “nel rispetto reciproco della dignità e delle culture”, in queste storie che devono essere ancora raccontate “senza rimuovere nessun tassello”. Il futuro è nei libri come questo scritto da Gigi Di Fiore.
Gennaro De Crescenzo
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