Sull’ultimo numero della rivista “Le scienze” alcune considerazioni poco felici sulla questione-Villella e sul Museo Lombroso. Le repliche di Gennaro De Crescenzo e di Gennaro Zona (che ci ha prontamente segnalato il caso) già inviate in redazione (e anche presso la redazione statunitense della rivista). Per altre osservazioni mail a redazione@lescienze.it. Lombroso e i resti di Villella: quando si difende l’indifendibile… Nell’ultimo numero della rivista “Le scienze”, il paleoantropologo Giorgio Manzi interviene sulla questione-Villella (“I neoborbonici reclamano il cranio del brigante che ispirò Lombroso”). Nell’articolo il prof. Manzi cita il Movimento Neoborbonico che, anche ai sensi della normativa vigente, richiede la pubblicazione della seguente nota. Il prof. Manzi dimostra nel suo articolo
di essere, forse, più
esperto di scienze che di storia sottolineando con il suo ironico “sic”
l’esistenza di un movimento semplicemente culturale che da oltre 20 anni
si batte per la ricostruzione della verità storica sull’unificazione
italiana e che conta diverse migliaia di aderenti e una rassegna stampa
di oltre 6000 pagine diventando una vera e propria categoria
storiografico-culturale (oltre 145.000 risultati da ricerche-google).
Pur non essendo uno storico e pur non avendo mai messo piede in un
archivio, poi, risolve il caso e liquida il Villella come “un bandito e
non un irredentista meridionalista” (e proprio non si capisce perché i
sabaudi lo avrebbero deportato fino a Vigevano se fosse stato un
semplice ladro). Il prof. Manzi cerca di difendere l’indifendibile:
oltre 4 anni fa il Movimento Neoborbonico chiese la restituzione di quei
resti per assicurargli una cristiana sepoltura dopo una cerimonia
religiosa d’intesa con il Amedeo Colacino, sindaco del Comune di origine
di Villella (Motta Santa Lucia) e in una battaglia continuata dal
Comitato No Lombroso e arrivata fino alla sentenza di un giudice che ha
imposto al Museo quella restituzione. Quel cranio, del resto, pure se
inserito “in un ambiente raffinato” e pure se esposto “per dimostrare
gli errori dello scienziato”, continua ancora ad offendere la memoria
storica di un intero popolo, quello meridionale, perché da lì e da
quella folle teoria dei “delinquenti nati” partono le mille conseguenze
di un razzismo antimeridionale purtroppo ancora attuale. A qualcuno
potrebbe mai venire in mente di dedicare un museo magari a Mengele per
dimostrare che sbagliava? La stessa fonte citata dal prof. (la
prestigiosa rivista “Nature” che pure cita l’iniziativa del Movimento
Neoborbonico) pone l’accento sul parallelo tra le richieste
(soddisfatte) degli aborigeni o dei nativi americani e la richiesta
relativa a Villella tanto più se si tratta di resti chiaramente
identificati e se “gli abitanti della Calabria difficilmente possono
essere considerati una popolazione indigena soppressa”. E pure
ammettendo, per ipotesi, che ormai si tratta di un “patrimonio di tutti”
proprio non si capisce quale danno sarebbe arrecato al museo se
sostituisse quei resti con una riproduzione e una bella didascalia (“I
resti originali sono stati richiesti e finalmente sepolti dal Comune di
origine del povero Villella Giuseppe”)… Tra i due “fronti”, allora,
distanze, a quanto pare, non scientifiche o storiografiche ma
semplicemente e purtroppo umane. Cordiali saluti Prof. Gennaro De Crescenzo Presidente Movimento Neoborbonico Napoli
Egregio
direttore, sono un abbonato alla rivista Le Scienze fin dal primo
numero ed ho sempre apprezzato la qualità e la varietà degli argomenti
trattati, che hanno contribuito a mantenere vivo il mio interesse per la
scienza in tutti questi anni. Ritengo doveroso però intervenire, in
merito all’articolo “La questione Villella” a firma di Giorgio Manzi
pubblicato sul numero di Dicembre 2013. Ne ho affrontato la lettura con
curiosità ma devo dire che non vi ho trovato alcunché di scientifico
neanche a sforzarsi. Forse, ad essere generosi, il professor Manzi ha
scritto l’articolo per supportare il suo collega direttore del museo
Lombroso di Torino che ha dei problemi di sopravvivenza della sua
struttura; tuttavia ciò non ne giustifica la presenza in una rivista
scientifica. Infatti, anziché affrontare l’esame delle teorie fallaci di
Lombroso, come è stato ampiamente dimostrato, chiama in causa i
Neoborbonici, tanto per sminuire a suo modo di vedere la questione, non
sapendo che esiste il Comitato no Lombroso, di cui faccio parte, che per
primo da quattro anni ha ingaggiato una battaglia legale affinché si
pervenga alla chiusura dell’inutile museo di Torino, vincendo in
tribunale il primo grado di giudizio. Inoltre, dimostrando ignoranza
sull’argomento definisce il signor Villella un bandito piuttosto che un
irredentista, od un semplice contadino, sempre ironizzando
implicitamente sulla provenienza di quei resti come se ciò potesse
giustificarne la presenza in una teca museale. La dissertazione del
professore continua condividendo con il direttore del museo
l’importante pagina della scienza iniziata da Lombroso e ,bontà sua, del
suo errore. Per citarne le esatte parole, egli ritiene opportuno
preservare: “un luogo della memoria dove si vogliono contestualizzare (e
dunque spiegare) quelle teorie nel quadro del positivismo di fine
Ottocento”; ammorbidendo quindi i giudizi sulla inconsistente teoria
scientifica dello pseudoscienziato veronese e quasi giustificandola.
Purtroppo, nonostante queste lodevoli intenzioni, il Movimento
Neoborbonico è insorto (come ha osato) pretendendo la restituzione dei
resti del povero signor Villella e degli altri meridionali (con tanto di
nome e cognome) studiati da Lombroso. Infine secondo il Manzi il valore
“culturale” assunto da quei resti li rende patrimonio di tutti ed
adatti ad essere conservati nel museo, corroborando questa tesi con la
constatazione che in molti musei antropologici sono conservati resti
umani oggetto di studi scientifici ma omettendo di dire che essi sono
più antichi di quelli conservati nel museo di Torino e soprattutto senza
riferimenti identificativi; ossia anonimi. Laddove esistevano resti
umani identificati essi sono stati restituiti ai discendenti.
Probabilmente l’articolista, che pure è direttore del museo Giuseppe
Sergi, non considera la differenza tra i resti di un uomo di Neanderthal
e quelli di un uomo vissuto nell’800 avente un nome ed un cognome.
Quanti di noi hanno i nonni nati nell’ottocento ? Sicuramente non
vorremmo vedere il loro cranio in un museo come reperto di studi
strampalati di un medico qualunque, il quale se ne è servito per
scrivere un trattato dal titolo: “Il delinquente nato” per inquadrare i
meridionali nella neonata nazione italiana Per la cronaca, altri
ponderosi articoli e trattati del Lombroso sono; -La ruga del cretino e
l’anomalia del cuoio capelluto -Il vestito dell’uomo preistorico -Sulla
cortezza dell’alluce negli epilettici e negli idioti -Perché i preti si
vestono da donna. Per non parlare di cosa scriveva sulle donne. Forse
Giorgio Manzi non lo sa ma Cesare Lombroso, dispose che alla sua morte
il suo cadavere fosse sottoposto ad autopsia per essere studiato ed
analizzato, così come aveva fatto lui con gli altri, in modo che la sua
salma fosse posta al servizio della scienza. Ciò che egli non previde fu
che lo studio del suo cranio ne evidenziò la tipica natura del
criminale, del delinquente nato; adatto quindi ad essere esposto nel
museo di Torino (il suo museo) nel salone centrale al posto di Villella.
Egregio direttore ripeto la domanda; che valenza scientifica aveva
l’articolo di Giorgio Manzi ? Distinti saluti. Gennaro Zona
L’articolo che riporta negli USA la notizia dell’iniziativa del Movimento Neoborbonico http://www.nature.com/news/homes-for-bones-1.13806 |