Ancora un intervento sul Sud ma contro il Sud: nel giro di un paio di anni l’ennesimo intervento che cerca di dimostrare l’arretratezza del Sud preunitario e le colpe delle sue classi dirigenti tra passato e presente. Ancora una volta il saggio (v. recensione del Corriere del 5/2/14) ci viene presentato come nuovo e risolutivo mentre, di fatto, sostiene la stessa identica tesi che da oltre un secolo e mezzo ci viene raccontata dalla cultura ufficiale. Una tesi che, di fatto, coincide in maniera inquietante (volenti o nolenti gli autori) con le tesi dei leghisti della prima e dell’ultima ora. E così tutta l’Italia -sempre più meridionalizzata- rischierebbe di diventare Mezzogiorno e con la prospettiva addirittura di pareggiare il divario
tra Nord e Sud ma verso il basso e allontanando anche il Nord
dall’Europa. Le colpe? Dei Borbone, ovviamente, e della loro “politica
estrattiva”! Nel senso che (è opportuno cercare di spiegarla), quei
cattivoni dei Borbone, con i loro tratti “reazionari e regressivi”,
trasmisero il virus della “estrattività” pari pari al fascismo e poi
allo stato italiano monarchico-repubblicano, favorendo strati poco ampi
della società nello sviluppo civile ed economico e con vantaggi per
pochi privilegiati. Tutta colpa, ovviamente, in tempi più recenti, di
quella storiografia “revisionistica, rivendicativa e risarcitoria” (dai
neoborbonici a Pino Aprile, per capirci) la cui colpa principale sta
nell’aver raccontato e divulgato una storia diversa da quella ufficiale
(ripetuta stancamente da oltre 150 anni) e nella speranza di ottenere,
dopo 150 anni, una vera “par condicio” tra Nord e Sud. Eppure le
ricerche di Emanuele Felice (suo il saggio di cui parliamo e che
cercherebbe di spiegare “perché il Sud è rimasto indietro”), “accurate
ed appassionanti” secondo l’articolista Michele Salvati, trascurano o
non approfondiscono affatto in oltre 200 pagine, altre ricerche di segno
del tutto contrario a quello seguito pregiudizialmente dall’autore.
Nulla, allora, l’importanza dei dati che rivelano
un’industrializzazione, redditi medi o Pil pari o superiori in molte
regioni del Sud rispetto a molte regioni del Nord prima del 1860
(Fenoaltea e Ciccarelli, Daniele e Malanima, solo per fare qualche
esempio) o di quelli che descrivono le condizioni del commercio, i
numeri delle società per azioni e della flotta mercantile (seconda nel
mondo per Kolb) o di quelli che dimostrano condizioni finanziarie di
gran lunga migliori al Sud rispetto al Nord (Vito Tanzi, FMI o S.
Collet, Università di Bruxelles). Nulla, allora, anche l’importanza
relativa all’emigrazione sconosciuta ai meridionali fino
all’unificazione e diventata drammatica solo dopo il 1860 e fino
ad oggi. Ma quello che più ci rende pessimisti per il futuro sono le
premesse e le conclusioni (ripetitive) di tutte queste ricerche e di
tutte queste recensioni: 1) il Sud è stato sempre inferiore (e chi
racconta il contrario -magari i neoborbonici o Pino Aprile- racconta
bugie o “cretinate” e poco importa se sono pure documentate e se non le
raccontano solo loro); 2) abbiamo cercato di aiutarvi per decenni ma non
siete stati capaci (inferiori come siete da sempre) neanche di farvi
aiutare; 3) non possiamo più aiutarvi, arrangiatevi da soli ed evitate
pure di rivendicare, chiedere risarcimenti o lamentarvi… Se si trattasse
solo di un saggio o di un articolo, potrebbe pure rientrare in un
normale dibattito e potremmo anche limitarci a suggerire ai nostri
(tanti) simpatizzanti di non acquistare quel saggio o quel giornale, ma
quando si tratta della linea politica che negli ultimi decenni (lega o
non lega) i nostri governi seguono e seguiranno… “allegria!” (e qui
concordiamo con l’articolista). “Allegria”, allora, se questa è la
“nuova storiografia” italiana e se su queste nuove (?) basi si
fonderanno le nuove (?) classi dirigenti… E, intanto, non possiamo che
renderci conto dell’importanza del nostro lavoro di ricerca e
divulgazione di verità storica e orgoglio e continuare a svolgerlo con
la (consueta) passione e il (crescente) successo degli ultimi anni. Prof. Gennaro De Crescenzo, Napoli
NOTA AL TESTO di E. Felice
Leggendo
le interviste di E. Felice venivano fuori alcune tesi molto (troppo)
simili a quelle “padane” degli ultimi anni (la necessità della
colpevolizzazione e dell’auto-colpevolizzazione dei meridionali,
l’atavica inferiorità del Sud, la crisi dell’Italia causata dalla
meridionalizzazione dell’Italia). Analizzando il testo, l’impressione è
che le tesi restino le stesse anche se presentate in maniera meno
plateale e più “efficace” (come deduzione del lettore dopo quanto
affermato dall’autore). Se poi, invece, le conclusioni fossero, nelle
intenzioni dell’autore, diverse da quelle proclamate dai titoli finora
ottenuti (“Tutta colpa del Sud” o “Se tutta l’Italia diventa
Mezzogiorno” aspettando qualche prossimo e scontato titolo della
“Padania”), trattasi di puro ed esemplare caso di eterogenesi dei fini…
UN ESEMPIO Nelle
stesse tabelle con le statistiche riportate da E. Felice si rilevano
alcune contraddizioni nette quando si riportano i dati relativi al PIL
per abitante nel 1871. Due importanti premesse: 1) i dati sono relativi
al 1871 e cioè alla situazione successiva a dieci anni devastanti per
tutte le regioni meridionali sia in termini di vite umane che di risorse
e attività economiche (la cosiddetta “guerra del brigantaggio”) e ad
una situazione, quindi, inevitabilmente peggiorata rispetto a quella
riscontrabile prima dell’unificazione italiana; 2) dal dato relativo al
Nord viene estrapolato il dato relativo alla Sardegna: una consuetudine
illogica sia sotto il profilo politico-territoriale che dinastico (viene
citato sinteticamente il dato “Sud e isole”, Sardegna compresa). Per
i dati oggettivi, a dimostrazione che il quadro economico complessivo
meridionale, proprio in quanto positivo, sostanzialmente reggeva a 10
anni dall’unificazione, si rilevano differenze non eccessive tra le
regioni italiane in qualche caso addirittura a vantaggio di quelle
meridionali: Piemonte 103, Veneto 101, Emilia Romagna 95, Sardegna 78
(Nord Ovest 111, Nord Est e Centro 103); Campania 107 (superiore al
Piemonte), Puglia 89, Sicilia 94 (Sud e Isole -Sardegna compresa- 90).
Inutile sottolineare che dal 1871 ad oggi il trend, per il Sud, è stato
solo negativo fino alle drammatiche disparità attuali (2009: Nord Est
119, Sud 69…). Conclusione: anche in questo caso si parte da una tesi
(l’inferiorità del Sud preunitario rispetto al Nord) e la si difende a
prescindere dai dati addirittura riportati nel testo e da ragionamenti
che sembrerebbero logici e semplici: lo sviluppo del Sud e il suo trend positivo e in crescita furono interrotti con l'unificazione italiana, con buona pace di Felice e degli altri.
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