In un suo recente articolo dedicato all’emigrazione e pubblicato su Il Mattino, Luigi Mascilli Migliorini, uno degli storici ufficiali più accreditati in ambiente accademico, sottolinea alcuni aspetti interessanti soprattutto se considerati nell’anno delle celebrazioni dei 150 anni dell’Italia. Riporta, infatti, un’affermazione di Georges Goyau secondo il quale “prima dell’annessione del Regno di Napoli l’emigrazione meridionale poteva dirsi quasi nulla” mentre altre popolazioni (settentrionali) già emigravano per il resto del mondo. Se è vero, poi, che solo dopo il 1870 iniziò l’emigrazione meridionale e che si trattava più frequentemente di “artigiani e operai che di contadini”, sono naturali alcune osservazioni: le cause di quella emigrazione sono legate unicamente alle infauste scelte dei governi italiani che penalizzarono agricoltura, industria e commercio dell’ex Regno delle Due Sicilie subito dopo la fine della sanguinosissima guerra del cosiddetto “brigantaggio” (“o briganti o emigranti”, come sosteneva già Nitti). Poco probabile, del resto, che si partisse perché all’improvviso e tutti insieme ci si accorse dell’ "abbrutimento della propria situazione creata dai precedenti governi”. Evidentemente, ci piaccia o no, prima del 1860 si riusciva a sopravvivere e a svolgere attività agricole o (come si è detto e come hanno evidenziato recenti ricerche dello Svimez), commerciali, industriali e artigianali sufficienti per evitare di salire su bastimenti per terre difficili anche da immaginare e con una sola e chiara motivazione: la disperazione. Nei “conti unitari” troppo spesso trascurati o ignorati ma sempre più attuali nel quadro politico-economico dell’Italia di oggi e di domani (Lega o non Lega), bisognerebbe dare uno spazio adeguato alla vera e propria diaspora soprattutto meridionale dell’emigrazione che di certo non fu solo “voglia di andare a stare meglio o di avventura” ma anche vera e propria tragedia con le mille storie di naufragi o di morti di fame e di freddo o di “internati nei manicomi”. E il tutto senza considerare che furono proprio le rimesse degli emigranti “in gran parte meridionali” a salvare l’economia italiana post-unitaria, come hanno evidenziato alcuni studi della Banca d’Italia (“La moneta dell’Italia unita”, 2011). Per celebrare correttamente i 150 anni dell’unificazione, una delle strade che si dovevano (e si dovrebbero) percorrere è senza dubbio (come ha iniziato a fare Mascilli) quella della ricostruzione della storia dei nostri emigranti colpevolmente e per troppo tempo trascurati o dimenticati anche in considerazione di un altro drammatico dato: quello relativo all’attuale emigrazione meridionale soprattutto giovanile trattata con la stessa sistematica superficialità ormai da un secolo e mezzo. G.D.C. |