Il responsabile della Commissione Cultura G. De Crescenzo ha scritto la seguente analisi su:
SVIMEZ: divario Nord-Sud? Hanno ragione i
"neoborbonici"...
In
realtà conferma, al contrario, che i “neoborbonici” avevano e hanno ragione
quando rivendicano la necessità di ricostruire la storia dell’unificazione
italiana in maniera seria ed obiettiva e lontana dalla retorica e (questa volta
sì) dalle “ideologie” o patriottico-risorgimentalistiche o nordiste. Il primo
dato è quello diffuso già nei recenti studi a cura del CNR e dell’Università di
Catanzaro: all’atto dell’unificazione non esistevano differenze nel PIL e nella
capacità di creare ricchezza negli stati preunitari (con buona pace di intere
generazioni di intellettuali ufficiali che hanno sempre sostenuto la tesi della
“arretratezza del Regno delle Due Sicilie”). segue il resto dell'articolo
Solo dopo l’unificazione il PIL
diventa diverso “fino a stabilizzarsi in una forchetta compresa fra il 50% e il
60% rispetto al Centro-Nord” (con buona pace degli stessi intellettuali che
hanno esaltato tutti gli innumerevoli vantaggi derivati dall’unificazione
presso i popoli meridionali).
Secondo
dato: nel 1861 gli addetti impegnati nell’industria meridionale sono 1,25
milioni: la percentuale della popolazione attiva che si dedica alla manifattura
[nell’ “arretratissimo Regno dei Borbone”] è addirittura superiore con il
22,8%, contro il 15,5 per cento del Centro-Nord”.
Altro
dato significativo e drammatico: “in centocinquanta anni, l’industria al Sud
non supera gli 1,7 milioni di occupati mentre nel resto dell'Italia si arriva
in maniera graduale a 5,8 milioni. Al Sud, quasi che il tempo si sia fermato,
continua oggi a lavorare nella manifattura una persona su cinque. Come
centocinquanta anni fa”.
Sorprende
poco, allora, che le banche si riducano progressivamente nel Sud per aumentare
al Nord (fino al recente smantellamento del Banco di Napoli).
E
sorprende poco anche che la differenza tra le linee ferroviarie si assesti
oggi, dopo 150 anni, “a 46,6 chilometri al Sud rispetto ai 61 chilometri ogni
mille chilometri quadrati del Centro-Nord” (e c’è ancora chi fa risalire ai
Borbone il “gap ferroviario” dimenticando che si preferirono già a quel tempo
“le vie del mare” con lungimiranza e per ovvie necessità territoriali).
Si
chiude con delle considerazioni quanto mai attuali e legate ad uno dei temi
ricorrenti nei cosiddetti “ambienti neoborbonici”: il Sud diventò il mercato
del Nord, come confermano lo stesso Sole e lo SVIMEZ: “senza i consumatori del
Sud, le merci del Nord sarebbero potute andare soltanto al di là delle Alpi” o,
in maniera ancora più chiara e definitiva: “non sarà un caso se, oggi, il 40%
di quanto si produce al Nord finisca al Sud e se il 63% di ciò che si spende al
Sud vada al Nord”. E decisamente non possiamo che concordare sulla scarsa
casualità di certi dati che andrebbero riferiti a chi punta il dito contro il
“Sud che spreca i soldi del Nord”.
Il
Sole 24 Ore, infine, si pone una domanda (senza rispondersi) che lascia
alquanto sconcertati: “per quale ragione il divario fra il Sud e il resto del Paese
cresce?”. Forse per le scelte scellerate dei governi nord-centrici con la
complicità colpevole e interessata (e forse senza alternative) delle classi
dirigenti meridionali? Forse vorrà dire qualcosa che da allora ad oggi
“l’industrializzazione del Sud è segnata dalla prevalenza della politica
sull’economia e dalla presa dei partiti sui grandi gruppi pubblici”?
Risarcimenti,
secessionismi, nostalgismi, antiunitarismi o terronismi? Tutto secondario: si
tratta solo di raccontare la verità storica a quanti continuano a non
rappresentare il Sud in maniera dignitosa e concreta nel nome dell’Italia unita
o delle fantasiose teorie del “Sud palla al piede” o “saccheggiatore del Nord”
(come sostenuto dai Ricolfi, dai leghisti della prima e dell’ultima ora ma anche
da molti opinionisti e politici di destra e di sinistra, del Nord o,
addirittura, del Sud...). Se non partiamo da questi dati non possiamo
progettare quella reale “par condicio” Nord-Sud auspicata da chi davvero ama la
nostra terra e non formeremo mai quelle classi dirigenti adeguate che
aspettiamo da un secolo e mezzo.
Gennaro
De Crescenzo (Commissione Cultura)
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