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DOPO 150 ANNI CIVITELLA RESISTE ANCORA! PDF Stampa E-mail

Il 15, 16 e 17 aprile prossimi si terrà nel paese fortezza e sui gloriosi spalti della Fedelissima Civitella del Tronto (TE), l’incontro degli eredi spirituali di coloro che vollero e  seppero difendere, con tenacia e fino all’estremo sacrificio della vita, la Patria Napolitana ed i valori più profondi dell’identità e della Fede.

Negli spalti di Civitella "i sentimenti, le sensazioni, le emozioni prendono il sopravvento sulla realtà e si diventa uomini, donne e bambini di quella Civitella che, assediata dai cannoni e dalle menzogne, ha resistito strenuamente e resiste ancora senza dare segni di cedimento da 150 anni”.


Infatti, Civitella del Tronto, dove la resistenza degli ultimi Soldati delle Due Sicilie ha assunto il valore aggiunto del martirio, ha per tutti noi, figli ritrovati nel nome della Verità, un altissimo significato politico e morale, oltre che storico e culturale.

Ci ritroveremo a Civitella accomunati dal sentimento di appartenenza e come autentici fratelli ricorderemo insieme la nostra storia.

segue programma dettagliato e ricordo dei soldati borbonici di U. Sterlicchio(foto nella Galleria e link per video)

 



ricordo  di Ubaldo Sterlicchio alla cripta della chiesa di San Giacomo ove riposano alcuni resti dei soldati borbonici:

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Commemorazione del Soldato del Regno delle Due Sicilie

 

 

Gentili Signore e Signori,

è un grande onore per me commemorare, in questo luogo per noi tutti sacro, il Soldato del Regno delle Due Sicilie.

Centocinquant’anni fa, a seguito di un complotto internazionale ordito dalle potenze liberal-massoniche dell’epoca (l’Inghilterra e la Francia) e sotto i “fraterni” cannoneggiamenti delle artiglierie di uno Stato che mendacemente si era dichiarato amico (il Piemonte), cadeva la fortezza di Civitella del Tronto.

Con la resa ed il barbaro massacro della sua eroica guarnigione, si consumava l’ultimo atto della nostra antica Patria Napolitana, Regno plurisecolare e legittimo Stato sovrano, libero, indipendente, prospero, pacifico, felice.

In questo luogo, che si erge al centro della piazza d’armi della fortezza, Sacrario per eccellenza dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, si trovano cristianamente custoditi i resti mortali di quei Soldati, i cui tanti nomi sono e rimarranno – purtroppo e per sempre – sconosciuti. Qui essi riposano nella pace del Signore!

Ma l’inestimabile valore simbolico, affettivo, patriottico, storico di questo Sacrario, risiede nella sua assoluta unicità, in quanto nella nostra amata Terra non esistono mausolei e neppure semplici tombe, dove questi nostri Eroi, che si batterono sacrificando la vita per la Patria, si trovino sepolti e possano essere religiosamente ricordati nelle nostre preghiere.

Tuttavia, ci conforta il fatto che le ricerche e gli studi storici degli ultimi decenni hanno finalmente smascherato le infami menzogne che miravano a denigrare l’Armata del Regno delle Due Sicilie.

Come ben sappiamo, la dizione di “Esercito di Franceschiello” fu coniata dai “pennaruli” risorgimentalisti, per indicare disorganizzazione, inefficienza, incapacità, codardia. Invece, è storicamente risultato vero l’esatto contrario: l’Esercito Borbonico, grazie alle strutturali e lungimiranti riforme attuate dal grande Re Ferdinando II, era ben organizzato, addestrato ed armato; era fornito di una dottrina militare moderna, di un ottimo apparato logistico, nonché – elemento fondamentale – di una base industriale che ne garantiva la totale indipendenza dall’estero.

Era, in sintesi, uno strumento militare estremamente valido ed autosufficiente.

Tuttavia, nel 1860, le cose andarono come tutti ben sappiamo. Ma perché?

Nelle Accademie Militari si insegna che, di un complesso di forze, bisogna valutare sia i fattori di potenza che quelli di debolezza, allo scopo di comprendere da quale parte penda la bilancia.

I fattori di potenza sono stati appena indicati, sia pure in modo sintetico.

Quelli di debolezza, al contrario, appaiono numerosi e ben più gravi.

Rammentiamo, innanzitutto, la corrosione ideologica iniziata nel periodo francese ad opera della massoneria e delle altre organizzazioni sue figlie, quali la carboneria ed i circoli liberali. Le “perverse ideologie massoniche” influenzarono soprattutto i quadri alti e medio-alti, quelli cioè che, in ogni struttura militare, determinano l’azione ed il rendimento delle Unità Operative ad essi affidate.

Gli ufficiali massoni privilegiarono il giuramento occultamente prestato in “loggia” nelle mani del Gran Maestro e tradirono il sacro impegno morale che avevano assunto verso il Re e verso il Popolo. In tal modo, facendo prevalere l’ideologia sull’amor di Patria, essi si macchiarono del più disonorevole dei crimini che un militare possa commettere: l’Alto Tradimento.

Non meno determinante e disonorevole fu la corruzione, che i piemontesi conseguirono attraverso l’elargizione di fiumi di denaro e con le lusinghiere promesse di “sistemazione carrieristica” nel nuovo esercito italiano; a queste “tentazioni” troppi alti ufficiali duosiciliani si rivelarono molto “sensibili”.

Inoltre – come saggiamente osservò Carlo Alianello – fu decisivo il non essersi ben resi conto che un esercito è fatto per combattere e che, pertanto, sia l’attività addestrativa che le parate non sono fine a se stesse, ma concepite in funzione del combattimento; e ciò, non tanto dal punto di vista delle modalità operative di manovre, esercitazioni a fuoco, strategia e tattica militare, quanto, e soprattutto, da quello della formazione spirituale e della aggressività che va instillata nei soldati e nei quadri, assieme al convincimento che vincere (e, quindi, eliminare le capacità di combattimento del nemico) è la sola cosa che conti.

Episodio emblematico di questo grave difetto formativo fu il comportamento di quei valorosi Cacciatori del 14° Battaglione, i quali si tuffarono nelle acque del Volturno per salvare i garibaldini che ivi stavano annegando, senza peraltro catturarli e mettendo comunque a repentaglio la propria vita.

A quest’ultimo riguardo ed ai fini di un onesto giudizio, è doveroso tenere in debito conto quali fossero i Valori ai quali era ispirato – e che in qualche misura potevano giustificarlo – il comportamento dei nostri Soldati, rispetto ai ben differenti principî cui era improntata l’attività bellica degli invasori sabaudi.

La guerra di invasione e gli assedi da parte di piemontesi furono, infatti, condotti fuori da ogni regola cavalleresca e si rivelarono alieni dal tradizionale senso dell’onore militare.

Soprattutto durante i lunghissimi mesi di assedio (in primis quello di Gaeta), gli aggressori violarono sistematicamente gli schemi e le dottrine militari tradizionali, mettendo peraltro in imbarazzo gli stessi loro alleati inglesi e francesi.

Le orde barbariche, calate dal nord, violarono infatti ogni “convenzione militare” basata sull’onore e sulla lealtà, nonché sul rispetto della vita dei civili coinvolti (la convenzione di Ginevra, purtroppo, non esisteva ancora!): gli assedianti, vigliaccamente attestati in luoghi sicuri, bombardarono alla cieca, giorno e notte, devastando e portando morte senza farsi troppi scrupoli. Ed il generale Cialdini, ad un inviato del Governo francese, che gli aveva consegnato una nota di protesta per quell’inutile e barbaro massacro, cinicamente rispose: «Le palle di cannone non hanno occhi».

In merito a tali episodi, Giacinto De’ Sivo sentenziò: «Narrerà la Storia ...i giorni di quel fiero assedio, non da prodezza ma da’ lunghi cannoni superato, che quattro miglia distanti facevano la gagliardia di quei piemontesi, a desco seduti e sicuri da ogni offesa. (...) Dichiarerà come, disuguale per arme, quell’assedio dava non al vincitore ma al vinto la corona della gloria... La Storia dirà che si cadde, ma con onore...».

Si compiva così l’ultima tragica resistenza di un Mondo Antico e Giusto, per il quale i suoi figli migliori si immolarono, tramandando a tutti noi un messaggio di dignità, di onore, di fede e di speranza.

A differenza dei piemontesi, per i nostri Soldati era un Valore intimamente acquisito e condiviso il civilissimo principio della neutralità del combattente ferito o ammalato; questo principio – teorizzato per la prima volta e ben dodici anni prima (1848) dall’ufficiale medico dell’Esercito borbonico, dottor Ferdinando Palasciano, e sul quale si fonda l’odierna Croce Rossa – sancisce che: «dal momento in cui l'arma cade dalle sue mani, il soldato ferito non ha più nemici; egli ha diritto al rispetto di tutti e diviene oggetto di pietoso soccorso».

Le truppe sabaude, invece, avevano portato nel Regno delle Due Sicilie la c.d. guerra moderna: totale, ideologica, nella quale cavalleria, moralità, lealtà, rispetto del diritto non trovarono più cittadinanza; e questo fu, senza dubbio, l’aspetto nuovo che venne svelato a noi Meridionali. Noi non sapemmo adeguarci e, se è vero che non esiste disfatta innocente, fu forse questa la nostra unica colpa!

Ma il Soldato Napoletano risultò migliore dei quadri: fu sempre fedele al Trono e compì interamente il proprio dovere. I quadri inferiori (gli ufficiali subalterni ed i sottufficiali) furono migliori di quelli più elevati (i generali). Nel 1860, alcuni capi tradirono, altri furono inetti, alcuni furono ambigui, altri furono fedelissimi.

Dopo la capitolazione delle fortezze e la caduta del Regno, il Soldato Napoletano, fedele alla sua Nazione e sordo alle lusinghe del vincitore, si rifiutò di collaborare e si ribellò; ed allorquando riuscì a sottrarsi al giogo della prigionia, andò ad infoltire le fila degli insorgenti nella resistenza armata.

Nell’Italia post-unitaria venne applicato un feroce sistema di repressione e fu realizzato un disumano universo carcerario con la pratica ed i metodi concentrazionarî. Le vergognose vicende dei campi di deportazione, nei quali vennero internati i nostri Soldati, all’indomani della campagna per l’unità, rappresentano un importantissimo tassello – disonestamente rimosso, ad opera degli storiografi di regime, dalla memoria degli archivi – che serve a svelare il vero volto feroce del risorgimento.

Decine di migliaia di prigionieri vennero concentrati nei carceri militari di Fenestrelle, di San Maurizio Canavese, di Milano e di altre località del nord, per essere sottoposti a “rieducazione forzata” tra stenti e sofferenze indicibili. Nella nostra storia non vi è vicenda più dolorosa e tragica dei supplizi patiti dai Soldati delle Due Sicilie ivi rinchiusi. Una soppressione lenta, crudele e sistematica di tantissimi giovani militari prigionieri, figli del Sud, rei di essere rimasti fedeli al proprio giuramento di soldati e di aver servito e combattuto con onore, amore ed alto senso del dovere, in difesa della Patria Napolitana.

In questi lager si consumarono i più atroci delitti su decine e decine di migliaia di ragazzi mortificati, sfiniti ed inermi, il cui deplorevole massacro viene tuttora nascosto dai libri di storia e colpevolmente ignorato dai quasi tutti i cattedratici italiani. Si tratta di una vera e propria vergogna nazionale, che pesa come un macigno sulla storia del risorgimento e sulla coscienza di quanti ancora oggi si affannano a negare o nascondere tale vergogna, articolando ignobili menzogne od insostenibili giustificazioni.

Per noi tutti, Fenestrelle, Gaeta, Civitella del Tronto, Messina, sono un simbolo tragico ma, nello stesso tempo, “sacro”, attraverso cui passa il riscatto morale, culturale e sociale del nostro Popolo. Celebrare in questi luoghi è per tutti noi un dovere, affinché non vengano dimenticate le atrocità dell’umana follia ed il genocidio di cui si sono macchiati, verso la nostra Gente, i Savoia ed i loro materiali esecutori.

In un articolo dell’epoca pubblicato da “La Civiltà Cattolica” veniva riferito che: «per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano che fa fremere. Quei meschinelli (i militari borbonici), appena ricoperti di cenci di tela e sfiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane e acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e di altri luoghi posti nei più aspri siti delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stenti tra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re!».

Infatti, «Uno Dio ed uno Re!» era la puntuale risposta data, in atteggiamento nobilmente altero, dai nostri Soldati. Le cronache dell’epoca riferiscono che: «...né per quanto quei valentuomini (gli ufficiali piemontesi) si argomentassero con varie ragioni a persuaderli, ne poterono spillare altra risposta mai, che: Uno Dio ed uno Re!»

Lo stesso generale La Marmora colpito (secondo il suo modo di vedere) “negativamente”, nel corso di una sua ispezione al campo di prigionia di Milano, riferì che: «su 1600, soltanto 100 si erano detti pronti a riprendere servizio nell’esercito italiano; gli altri con “arroganza” avevano dichiarato che non erano tenuti ad un nuovo giuramento, essendo legati al giuramento di fedeltà prestato a Francesco II e, quindi, avevano diritto di tornarsene a casa».

Il ministro sabaudo Della Rovere diede notizia al Senato italiano che: «ben 80.000 soldati dell’ex Armata Napoletana (si tratta della quasi totalità dei prigionieri!) si erano rifiutati di servire sotto la bandiera italiana» e che: «...liberati dai campi di prigionia, i Soldati Napoletani si allontanavano, fuggendo nello Stato Pontificio, o dandosi alla macchia e ingrossando le bande di “briganti” nelle loro terre di origine».

Tantissimi, però, non riuscirono a tornare dai menzionati campi di prigionia del nord, dove trovarono la morte.

Con il passare del tempo, poi, le tecniche per soffocare il dissenso si affinarono e, falliti gli aberranti tentativi di “fondare colonie penali” (addirittura in Patagonia!), il disfarsi della propria Gente con l’emigrazione risultò essere la soluzione ritenuta definitivamente più conveniente per la “nuova Italia risorta”.

Ma molte verità sono emerse e continuano ad emergere come un inarrestabile fiume in piena, che sta travolgendo e spazzando via tutte le bugie risorgimentali; inoltre, l’infamia del tradimento dei tanti ufficiali venduti al nemico – dato storico questo oramai inconfutabile – contrasta nettamente con il coraggio, l’ardimento e la professionalità del vero Soldato del Regno delle Due Sicilie.

Lo stesso Benedetto Croce – che, come ben sappiamo, borbonico non era – non poté fare a meno di riconoscere che: «Non mancarono certamente fedeli e difensori della Monarchia Napoletana, al suo cadere nel 1860». Egli parla testualmente di: «Soldati ligi alla loro bandiera...» e seguita, affermando che: «Per quella monarchia, per impedirne la rovina e per tentarne la restaurazione, fu versato sangue nei combattimenti, si abbandonò il suolo patrio per gli esili, si soffersero accuse e prigionie, si sperò e si congiurò e quando altro non era più possibile, assai si rimpianse e forte si sospirò».

Con la più intima soddisfazione di legittimi eredi, nonché destinatari di tanti fulgidi esempi di eroismo, noi ci troviamo indubbiamente di fronte al più insospettabile e significativo riconoscimento – racchiuso appunto nelle parole del Croce – della dignità storica del Soldato del Regno delle Due Sicilie.

Onore e gloria, quindi, alla nostra antica Armata ed, in particolare, a quei tanti Ignoti Eroi che meritano, incondizionatamente, il nostro devoto rispetto, il nostro riconoscente ricordo, la nostra religiosa venerazione.

 

Viva il Soldato delle Due Sicilie!

Viva ’O Rre!

 

Civitella del Tronto, 17 aprile 2011.

 Dott. Ubaldo Sterlicchio

 




 video sulla manifestazione:


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