Il 20 marzo 1861 si
consumò nella fortezza di Civitella del Tronto, nella provincia di Abruzzo
Ultra I, l’ultima resistenza dell’esercito delle Due Sicilie di fronte alla
barbara invasione sabauda. Se a Gaeta le migliaia di bombe quotidiane aveva
costretto alla resa, se a Messina l’impari duello di artiglieria aveva messo
fine all’eroismo di Fergola, a Civitella è necessario l’imbroglio, la
corruzione e il ricatto per fiaccare lo spirito di resistenza degli ultimi
soldati borbonici in armi per la propria Patria. Anche nell’Abruzzo estremo non
si trovarono bandiere da esporre quale trofei per la loro frammentazione tra i
difensori al fine di sottrarle all’odiato nemico. Ma, a differenza delle altre
due fortezze, i soldati duosiciliani non furono solo imprigionati per essere
poi quasi tutti deportati a nord per crepare nei lager dei Savoia, i più
coraggiosi e animosi furono infatti fucilati subito come criminali. I loro nomi
vogliamo indicare alla memoria e alla preghiera di chi legge: Massimelli,
Zopito, Zilli e Santomartino (graziato e imprigionato ma ucciso
successivamente). segue video di P.Marino
Vogliamo
pure chiudere la guerra di difesa del Regno di Napoli evocando l’immagine che
per mesi videro gli eroici difensori di Civitella: pur circondati da forze
sovrastanti, dalle mura essi di notte assistevano ad uno spettacolo particolare
e consolatorio. Centinaia di fuochi squarciavano le tenebre circostanti sino al’Adriatico
, erano i falò che i contadini accendevano all’imbrunire per testimoniare la
loro solidarietà con i soldati di Francesco II.
Onore
per sempre ai nostri Regi e a tutti i fieri nostri antenati che seppero salvare
ampiamente la dignità dell’esercito borbonico e far evidenziare, di contro,
tutta l’infamia, la viltà, l’inciviltà dei predoni del grande usurpatore V.Emanuele!
V.G.
Dal saccheggio del Sud dello scrivente
le pagine dell’evento:
Civitella del Tronto,
all'estremo limite nord-orientale del Regno delle Due Sicilie, ha perso
l'importanza strategica nel 1860 perchè altre strade immettono nel regno,
debitamente battute dagli invasori che l'avevano tranquillamente ignorata
sfiorandola nel loro passaggio alla metà di ottobre. La fama più che la potenza
della fortezza aveva realizzato il concentramento nelle sue imponenti mura di
parecchi gendarmi e di numerosi volontari civili accanto all'esiguo presidio
regio comandato dal titubante magg.Ascione. Pochi reparti garibaldesi e un
notevole quantitativo di Guardie Nazionali, provenienti dalla vicina Campli,
sono sufficienti per impedire i rifornimenti agli asserragliati. Il morale di
questi ultimi è tanto alto che all'onomastico del re Francesco con salve e
feste si comunica sfrontatamente agli assedianti la propria fedeltà alla
Patria. La baldanza dei difensori dell'antica fortezza giunge a temerarie
sortite come quella realizzata dal cap.Giovine, tanto imbevuto di odio verso
gli invasori da soppiantare di fatto il comando del magg.Ascione, troppo
tiepido in tal senso, che punisce i traditori delle Guardie Nazionali
colpendoli a sorpresa nelle loro case a Campli con loro vergognosa fuga
generale e saccheggio dei loro beni. Anche all'arrivo dei Piemontesi guidati
dal gen.Pinelli il coraggio dei Napoletani non scema e le avanguardie sarde
sono messe in precipitosa fuga sempre sotto l'esempio del cap.Giovine. Da
notare che durante le sortite gruppi di civili intervenivano sempre a dar man forte.
L'assedio di Civitella, pur
fatto con notevole impiego di forze , non riesce a strozzare gli assediati che
con ammirevole frequenza portano le loro azioni a sorpresa infliggendo danni
soprattutto morali al nemico. Così mentre i Piemontesi bivaccano da atei nella
chiesa di S.Maria, i Borbonici li assaltano costringendoli a rientrare
ignominiosamente nel grosso.
Nella rocca più che le armi
abbastanza antiquate danno sicurezza ai difensori le opere di fortificazione
che offrono all'assediante uno spettacolo inquietante e maestoso. La disciplina
rafforzata nella fortezza per opera del sottufficiale del gendarmi Messinelli,
comandante della polizia, fa emergere una solidarietà inattesa tra gli
assediati che vanifica, insieme alle mura ciclopiche, i colpi di cannone dei
Sardi. L'ardimento dei Napoletani è riprovato dal messo Filippo Enea che con
encomiabile semplicità è capace di uscire dalla fortezza, raggiungere il re a
Gaeta e tornare con gli incoraggiamenti reali e con la promozione a colonnello
del baldo ufficiale Giovine che diviene a tutti gli effetti il comandante del
presidio. Il gen.Pinelli non riesce a cavare il ragno dal buco; bravo solo a
partorire proclami infarciti di astio e di parole volgari per gli assediati. Da
Torino gli si prospetta una nuova strategia, perfettamente in linea con la
sporca politica dei Sabaudi. Infatti per fiaccare la forza di Giovine si pensa
di scendere al livello dei ricatti che sovente la malavita organizzata usa come
strumento estremo contro i suoi persecutori più incisivi ed incorruttibili: la famiglia del colonnello
a Napoli viene pesantemente minacciata e tenuta in ostaggio sino a quando il
suo eroico congiunto infastidirà i Sardi. Giovine rimane frastornato, per
l'amore per i parenti e per la bassezza dei soldati savoiardi, ma le sue
decisioni sono anticipate dalle trattative di resa che alcuni prezzolati della
rocca intavolano su opportuno suggerimento esterno. Ma la maggioranza dei
difensori ha il morale assai alto come la fede nella propria Patria; Giovine e
i fautori della resa sono emarginati e il 16 febbraio il magg.Ascione riprende
il suo comando. Pur salvando i suoi familiari, Giovine non trova rispetto negli
spietati Sardi che lo arrestano per il sacco di Campli e lo trasferiscono a
Torino.
Pur con la vistosità della
perdita di un difensore come Giovine, i Napoletani sono fermamente convinti di
resistere ad oltranza e fanno sempre più risaltare l'inettitudine del
gen.Pinelli ad espugnare la rocca. Un nuovo generale vien mandato a sostituirlo per eliminare la vergogna per
gli invasori dell'eroica difesa di Civitella, Mezzacapo, traditore napoletano
del '48. Ormai schierati contro i 400 impavidi Borbonici vi sono ben 4mila piemontesi e, dopo un bombardamento
a tappeto che non provoca nessun caduto tra gli assediati, presuntuosamente i
Sardi vanno all'assalto delle mura ma sono respinti sanguinosamente. Ma siamo
purtroppo a marzo ed il Re è già in esilio a Roma. Per evitare ulteriori vani
lutti un suo inviato, il gen.Della Rocca, raggiunge Civitella e viene subito
messo in contatto coi difensori da Mezzacapo che intravede la sua vittoria
(disonorevole). La fiera resistenza degli assediati li ha talmente esaltati che
il messo del sovrano è issato sui bastioni per non aprire le porte
pericolosamente avanti alle orde nemiche. Logicamente l'ardore napoletano è più
forte delle parole di Della Rocca che convincono il comandante Ascione ma non
gli altri responsabili della truppa. Si distingue Messinelli che arriva a
raccontare ai soldati bugie su Gaeta invitta e su una inesistente promozione
per spronarli ancora a resistere. Avviene naturalmente una spaccatura tra i
difensori, con Ascione che segretamente ha un abboccamento con Mezzacapo
promettendogli di aprire le porte della rocca che la codardia sabauda non era
stata capace di sfondare! Comunque il timore personale che l'imbelle Ascione
nutre per Messinelli, che ha sostituito Giovine nel cuore dei patrioti, lo
istiga a non affrontarlo direttamente ma attendere una delle sue frequenti
sortite nell'abitato circostante per chiuderlo fuori della fortezza. E' l'alba
del 20 marzo quando il poliziotto viene
escluso dalla rocca e immediatamente si issa la bandiera della resa.
Contemporaneamente si apre la porta verso Napoli e i Piemontesi incominciano ad
entrare ove il loro valore militare non li avrebbe mai immessi! Secondo il
malcostume sabaudo alla stampa vien consegnata la favola di quattro giorni di
eroici assalti culminati nell'apertura volontaria delle porte dei difensori
incapaci di resistere oltre! In effetti l'unica parvenza di verità consiste
nella porta spalancata dai fidati del comandante senza consultare la
maggioranza dei difensori e dopo il tranello teso a Messinelli.
In tale guisa il 20 marzo
1861 è ammainata l'ultima bandiera borbonica nel Regno delle Due Sicilie in un
suo lembo estremo i cui regnicoli non avevano mai fatto breccia nel cuore del
Re per convincerlo che avanti a tutti gli interessi vi sono quelli del popolo
fedele, invece sistematicamente ignorato ed abbandonato.
Mezzacapo fa mettere ai
ferri subitaneamente i più accesi tra gli assediati: con in testa Messinelli si
distinguono anche il sottufficiale Santomartino, il civile Zopito e il
reverendo padre Zilli.
La vendetta del nemico, per ben sei mesi beffeggiato dai difensori,
esplode ogni oltre limite civile. Il prode Messinelli, perfettamente a
conoscenza degli intrallazzi tra Ascione e Mezzacapo per la ridicola resa,
viene barbaramente fucilato per primo! Segue poi il turno di Zopito, definito
frettolosamente brigante. Si arriva pure vergognosamente al martirio del frate
Zilli, ostinatamente dichiaratosi ostile agli invasori. Santomartino viene
graziato ricevendo però una lunga condanna a 24 anni di reclusione nel nord, a
Savona; per la superficialità dei controlli dato lo strepitoso spiegamento di
forze necessarie nel futuro prossimo per reprimere l'insurrezione popolare che
vedremo, il valoroso napoletano cercherà di fuggire venendo ferocemente
trucidato.
La rabbia nemica tocca il
vertice dell'ignominia, della barbarie e dell'odio verso il Meridione nell'eseguire
l'ordine di distruzione della fortezza: sgombra dei suoi impavidi difensori
essa viene minata e sottoposta ad un bombardamento cieco sino a lasciarla una
massa fumante di rovine!
L'accanimento incivile dei
Piemontesi contro i difensori di Civitella del Tronto e contro la stessa fortezza rappresenta un vile modo di
coprire col sangue e colle macerie il fermo anelito di libertà dei Napoletani
tanto palesemente vibrato nell'ultimo fazzoletto di terra meridionale scevra di
invasione. L'inespugnabilità della fortezza davanti a due tracotanti generali
sardi, e le operazioni micidiali in seguito alle intrepide sortite degli
assediati, avevano inflitto intollerabili perdite agli assedianti nettamente
superiori a quelle avversarie. Ma soprattutto il clamore per le gesta di
Civitella, suscitato dappertutto, aveva reso insopportabile al rozzo invasore
l'insieme formato sia dai soldati avversari che dalle mura gloriose. Ecco come
spiegare l'abietto comportamento sabaudo che rimane intatto nella storia in
tutta la sua infima bassezza.
Link video di Pino Marino
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