l 14 febbraio di 150 anni fa terminava
l’assedio di Gaeta e quindi anche l’esistenza del Regno delle Due Sicilie con
la partenza di Francesco II di Borbone per Roma, primo dei milioni di venturi emigranti
che avrebbero lasciato il Sud Italia per
le atrocità italo-piemontesi. Per approfondire la tematica riportiamo una
pagina di un giornale (purtroppo scomparso) sui giovanissimi difensori che si
coprirono di gloria durante i 102 giorni dell’assedio e il consueto riferimento
a Il Saccheggio del Sud dello scrivente.
V.G.
Dal numero dell' 8 febbraio 1997
del quotidiano "Il Sud"
Il 7 settembre 1860 alla Nunziatella regnava una grande
agitazione: la notizia che il Re aveva raggiunto Gaeta e che l'esercito avrebbe
tentato un'ultima difesa sulla linea del Volturno, nonostante i silenzi di
molti ufficiali ed istruttori, era trapelata. Alcuni dei ragazzi decisero di
fuggire dal collegio per raggiungere il loro Re e per poter partecipare
all'ultima difesa.
I loro nomi non possono essere
dimenticati, perché rappresentano sentimenti e valori che non hanno confini: il
loro esempio sarebbe stato di grande aiuto al popolo meridionale, molto più che
il ricordo di Garibaldi e di Cavour. Noi non possiamo ricordare come eroi
positivi solo quelli che, venuti da fuori, ci avrebbero "liberato".
Furono invece cancellati dalla storia.
I due fratelli Antonio ed Eduardo Rossi, 17 e 14 anni, erano figli di un
ufficiale morto nella campagna di Sicilia del 1848. Un giornalista francese
presente a Gaeta durante l'assedio li ricorda così: "Ho incontrato stasera su una batteria un sottotenente di 15 o 16
anni che serviva ai pezzi con due soli uomini per quattro cannoni, caricando,
puntando e tirando con rabbia. Questo bravo ragazzo si chiama Rossi ed ha un
fratello che, come lui, si è distinto durante l'assedio".
Eliezer
Nicoletti, 17 anni, figlio del maggiore di
fanteria che sbaragliò i garibaldini di Pilade Bronzetti alla battaglia del
Volturno, Ludovico Manzi, 17
anni, Ferdinando de Liguoro,
figlio del colonnello comandante il 9° Puglia, reggimento da lui condotto da
Capua a Napoli con i garibaldini ormai padroni della città. Dopo la resa fu
come gli altri vessato e maltrattato.
Non riconosciuti a questi ragazzi
nemmeno i gradi acquisiti sotto il loro legittimo Re.
De Liguoro emigrò in Austria, dove fu ammesso
nell'esercito e combatté anche a Custoza contro i piemontesi nel 1866.
Alfonso
Scotti Douglas, 11 anni, il più
giovane di questi ragazzi, figlio del generale di origine parmense Luigi, fu
adibito ai lavori del genio nella piazza di Capua.
Carmine Ribas, 18 anni, che raggiunse l'anziano
padre di stanza a Gaeta, fu anch'egli adibito ai lavori del genio nella piazza
di Capua.
Francesco e
Felice Afan de Riviera, 17 e 16
anni, figli del generale Gaetano, raggiunsero i fratelli maggiori che combattevano
a Capua. Anch'essi dopo Gaeta emigrarono in Austria e Felice abbracciò in
seguito la vita religiosa entrando in convento a Napoli, dove morì nel 1924.
Francesco
Pons de Leon, 18 anni, raggiunse
il padre, maggiore in servizio nella piazza di Gaeta e operò lui pure come
semplice servente ai pezzi di una batteria.
Ferdinando
Ruiz, 17 anni, nipote del generale Vial,
fra mille peripezie riuscì ad arrivare a Gaeta solo nel gennaio 1861.
Ferdinando e Manfredi Lanza, 17 e 16 anni, figli di un ufficiale del genio, si
comportarono da piccoli eroi a Gaeta e Ferdinando, l'ultimo giorno d'assedio,
fu colpito da una granata che gli troncò di netto un piede.
Infine Carlo Giordano, 17 anni, orfano da pochi mesi del padre, generale
napoletano. Fuggì dalla Nunziatella il 10 ottobre, dopo i suoi compagni.
Durante l'assedio servì alla batteria Malpasso con abnegazione e coraggio,
supplendo all'inesperienza con la forza della sua giovane età e con
l'entusiasmo di chi difende la propria Patria da una vile aggressione.
L'11 febbraio 1861 iniziarono le
trattative di resa della piazza di Gaeta. Il generale Cialdini preferì non
interrompere il bombardamento, anzi lo intensificò perché, come scrisse a
Cavour, naturalmente in francese, "le bombe fanno ragionare male e diminuiscono
le condizioni richieste".
Poche ore prima della firma della
capitolazione, il 13 febbraio 1861, scoppiò con un tremendo boato il deposito
di munizioni della batteria Transilvania, che travolse uomini e cose e
distrusse la batteria servita da Carlo
Giordano.
Fu l'ultima vittima di una inutile
ferocia e di una assurda guerra civile. I suoi resti non furono mai trovati, ma
il suo ricordo deve rimanere nei cuori dei meridionali perché il suo sacrificio
non sia dimenticato.
Da nessuna parte, né a Gaeta né altrove
esiste una lapide che ricordi questo ragazzo che, a torto o a ragione,
considerò il Regno delle Due Sicilie la sua Patria.
Stralcio da Il Saccheggio
del Sud
A Gaeta la situazione degli assediati è peggiorata non per
merito degli assedianti ma per lo scoppio di una epidemia di tifo che costringe
ad una severa selezione degli alimenti anche in previsione del blocco
dell'unica via aperta sul mare. Infatti, seguendo la sua perfetta e spietata
logica, Napoleone III mentre da un lato ostacola come detto
l'approvvigionamento degli incursori napoletani, preme anche fortemente
sull'amm.Barbier per far convincere Francesco II a desistere da quella
resistenza che si sta protraendo un po' troppo per i piani settari con il
crescere di pericolose simpatie nel campo internazionale, foriere di qualsiasi
sviluppo. Con studiata continuità Barbier de Tinan visita il Re proponendogli
la resa e minacciandolo di far salpare le sue navi consentendo così il blocco
completo della fortezza da parte della flotta di Persano.(…)Frattanto l'impari
duello dei cannoni prosegue quotidianamente con varie pause dovute alle visite
vane di Barbier per la sempre ricusata resa. Queste pause servono più ai Piemontesi che ai Napoletani perchè i primi
possono edificare opere avanzate di fortificazione, contravvenendo l'etica
militare, approfittando del silenzio dei pezzi sui bastioni.(…)Il 19 gennaio,
come preannunziato, scade il termine concesso da Parigi per la resa di
Francesco, pena l'interruzione della protezione navale. In tal modo a causa
della fiera risposta negativa napoletana che, per propagandare meglio la ferma
volontà degli assediati, fa aprire il fuoco contemporaneamente da tutti i pezzi
della fortezza, la flotta di Barbier de Tinan toglie le ancore decretando il
blocco totale di Gaeta venendo sostituita dalle navi di Persano.Ciò non arreca
vantaggi immediati ai Sardi perchè la rocca è ancora completamente
inespugnabile dato il terrore che essi avvertono per un assalto in massa che si
tramuterebbe in un massacro. Si arriva persino a progettare una nave-bomba da
lanciare contro i bastioni per aprire una breccia, ma l'idea è abbandonata per
l'impossibilità di realizzarla.Agli inizi di febbraio, il 5, si verifica una
terrificante esplosione nel magazzino di polveri di S.Antonio. La mancanza del
guardiano al proprio posto, il rinvenimento di una miccia semicombusta e la
perfetta conoscenza della mappa della fortezza presa comodamente a Napoli dai
Piemontesi, portano inequivocabilmente al dolo per il disastro che seppellisce
tutti i militari e i civili in un largo raggio. La vergogna dei Savoiardi, che
si sono ancora serviti di lerci strumenti, va dilatata per il fatto che essi
concentrano il tiro delle artiglierie proprio sui soccorritori che con fervore
cercano di salvare i numerosi napoletani seppelliti vivi sotto le macerie.L'8
febbraio il Consiglio di Difesa si dichiara sempre disposto alla resistenza ad
oltranza usando alla fine anche le sole armi bianche per svellere i Piemontesi
dalla mura!Col passare dei giorni tra gli assediati si mette sempre più in
evidenza il coraggio quasi spavaldo della giovane regina Maria Sofia di
Wittelsbach che ostinatamente resta a fianco del suo sposo e degli ultimi
difensori del suo regno anche quando la situazione è assai pesante con bombe e
morbo che seminano dolore e morte intorno a lei. Soprattutto per la sorpresa di
vedere una Regina di fresca data, appena diciottenne, condividere i duri giorni di Gaeta, in tutti gli eroi della rocca
l'animo di Maria Sofia, bavarese di nascita, brilla soavemente per l'amore per i suoi sudditi e per la sua
eletta Patria. La sua presenza costante, insieme al marito, in mezzo alle
granate per esortare i difensori ed
assisterli amorevolmente quando venivano falciati, ancora oggi costituisce un
mito meraviglioso tra i memori dell'epopea di Gaeta. Chiaramente destinato a
fallire è dunque il tentativo dell'imperatrice di Francia che da donna a donna
si rivolge alla consorte di Francesco II per indurla a desistere meditando sulle
disperate condizioni degli ultimi combattenti del Regno di Napoli e
sull'indifferenza dell'Europa non disposta a soccorrerli. Man mano che, più
delle cannonate sarde, il tifo affralisce i Napoletani che continuano la loro
strenua resistenza che appare infinita, la rabbia dei Piemontesi cresce per
l'incapacità del numerosissimo e potentissimo esercito assediante di espugnare
le mura di Gaeta sotto lo sguardo critico e beffardo di tutto il mondo.Comunque
tra i responsabili della roccaforte Rituccci e Marulli e il comandante sabaudo
Cialdini vi sono contatti viepiù frequenti nella prima metà di febbraio. Per la
sfacciataggine dei Sardi, che in ogni tregua riattano ed incrementano le opera
fortificate accusando di tali nefandezze proprio gli innocentissimi assediati,
le trattative proseguono sotto il perenne duello di artiglieria. Da parte degli
invasori si spara puntando maggiormente sulla quantità dei colpi, favoriti
dalla maggior gittata e precisione dei pezzi in dotazione, avendo un bersaglio
facile e rifornimenti senza alcun limite; ovviamente non ci si preoccupa di
evitare di colpire le case civili e i presidi sanitari debitamente segnalati
con grave nocumento per tanti disgraziati. Da parte dei Borbonici si risponde
con veemenza ed impegno crescenti per la lenta diminuzione della quantità dei
colpi.
La sera del 13 deflagra con violenza inaudita la batteria napoletana Transilvania
quando la frequenza dei proiettili sardi ha toccato l'altezza inusitata di
dieci al minuto! La barbarie sabauda viene ribadita col fuoco che gli
assedianti anche stavolta concentrano sui soccorritori dei tanti colpiti dallo
scoppio, sovente sepolti ancora vivi. L'analogia con l'esplosione della
batteria S.Antonio sia per quanto riguarda la ferocia conclusiva tendente ad
impedire l'aiuto dei feriti, sia per quel che concerne la conoscenza esatta
della planimetria della fortezza, fa riflettere seriamente il Re. Egli si
convince che, affievolendosi per causa
di forza maggiore la potenza difensiva
dei Napoletani, i mezzi a disposizione dei Piemontesi diventano sempre più
letali e capaci di far saltare in aria tutti i punti pieni di polvere da sparo
della fortezza l'uno dopo l'altro facendo strage degli eroici difensori.
L'estrema decisione è presa. Un legno parte velocemente per Mola per firmare la
resa presso lo Stato Maggiore sardo. Quel tramonto del 13 febbraio 1861 è anche
il tramonto del Regno delle Due Sicilie quando un pezzo dalle torri di Gaeta
spara l'ultimo colpo di un 16enne allievo della Nunziatella, prima che i
plenipotenziari borbonici portino tra le mura l'accettazione sabauda. Da notare
per ulteriore infamia per i Savoiardi che durante tutto il tempo necessario per
stilare il capitolato le batterie straniere avevano infierito con la massima
determinazione contro i bastioni che si erano praticamente arresi.(…)Quando
all'alba del 14 il Re, colla Regina, i conti di Trani e di Caserta ed alcuni
generali, lascia la roccaforte per imbarcarsi con destinazione Roma, l'enorme
costernazione tra gli uomini che, mentre echeggia l'inno nazionale di
Paisiello, fanno ala al suo mesto passaggio, dimostra chiaramente come
quell'epilogo super-glorioso fosse radicato in ogni probo soldato napoletano
presente a Gaeta. I singhiozzi e le lacrime si sprecano, ma vanno oltre la
commozione di vedere l'ultimo dei Borbone cedere ufficialmente il trono
all'usurpatore suo parente, perchè, come lugubre presagio, atterriscono lo
spirito degli stoici difensori di Gaeta i pensieri del futuro di schiavitù
sotto la cupidigia dello straniero conquistatore. Tanto è vero che quando il Re
si allontana sul mare non più napoletano, ufficiali alti e bassi si abbracciano
coi sottufficiali e i soldati semplici in piena crisi di sconforto, parecchi
gettando via i gradi perchè consci di essere rimasti soli a pagare direttamente
il carissimo prezzo della sconfitta senza aver fatto assolutamente niente per
meritarla.(…)I tre mesi dell'assedio coprono di gloria i Napoletani agli occhi
di tutto il mondo; non sorprende allora come immediata sia stata la campagna
della stampa settaria volta a sminuirne i pregi in ogni maniera. Si può parlare
allora serenamente di epopea di Gaeta rammentando nostalgicamente come meno
della sesta parte dell'Esercito Nazionale del Regno delle Due Sicilie, coi suoi
epici eroi, abbia dato scacco a lungo alla parte scelta e più numerosa del
tanto lodato e temuto Esercito del Regno di Sardegna. Cosa avrebbero potuto
fare i Napoletani nella doppia invasione subita con duci leali e capaci ma,
soprattutto, con un Re determinato nei suoi doveri verso il popolo, lo si è già
intravisto in tutti gli avvenimenti narrati e meglio lo si capirà nella guerra
civile che soltanto per impulso popolare renderà assai dura l'effettiva
conquista del Regno di Napoli agli stranieri.
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