ONORE AI RESISTENTI DI GAETA! In
questi ultimi giorni dell’anno, giusto un secolo e mezzo fa, a Gaeta l’assedio
si faceva più duro grazie all’impari lotta tra le artiglierie sabaude ultramoderne
e quelle borboniche obsolete; grazie allo spirito cavalleresco degli assediati
e a quello spregiudicato degli assedianti che colpivano indiscriminatamente postazioni
militari ma anche chiese, ospedali e case dei civili; grazie alla diplomazia
internazionale che isolava quelli che protestavano per le illegalità piemontesi
sotto la regia massonica inglese. Nonostante tutto, il morale dei borbonici era
alto anche in conseguenza dell’eroismo dei giovanissimi sovrani. Francesco e Maria
Sofia sfidavano ognora le bombe nemiche girando tra i difensori per esortarli,
confortarli e assisterli se colpiti. Ormai i bombardamenti si erano incrementati
e perfezionati a tal punto che cadeva una bomba dei Savoia ogni minuto! Ed era
stato celebrato il Natale 1860 con grande compostezza e ieraticità come se
nulla stesse accadendo attorno…
Noi
discendenti di quegli eroi abbiamo il dovere e il diritto di ricordarli in
queste ore affinché le loro sofferenze non siano state vane e si trasformino in
moniti per il nostro presente e, soprattutto, per il nostro futuro.
V.G.
Dal saccheggio del Sud dello scrivente
le pagine dell’assedio e dei bombardamenti:
Il 13 novembre 1860 inizia
il vero assedio.
La famiglia reale parte per
Roma su un legno spagnolo lasciando Francesco solo ma volutamente assistito dal
sempre più notevole coraggio della regina Maria Sofia.
La stampa settaria fa
conoscere al mondo l'ultimo oracolo predicendo la rapidissima caduta di Gaeta
in pochissimi giorni, come per Ancona.
Alla partenza dei congiunti
del Re, fa spicco l'arrivo del gen.Bosco che, essendo rimasto in disparte per
motivi di salute, i settari avevano bollato disposto a rompere col suo sovrano;
costui vuole invece dimostrare chiaramente la sua devozione sino alla fine.
L'Europa assiste con vari
giudizi all'inusitato assedio. Giuoca un ruolo importante in tale frangente il
pomo della discordia gettato da Napoleone III in Crimea, che era riuscito a
creare un dissidio praticamente insanabile tra gli unici stati propensi a
realizzare concrete iniziative a favore della legittimità dei diritti di
Napoli: l'Austria e la Russia. Pur tuttavia a Varsavia è indetto un incontro sul conflitto nell'Italia meridionale.
Francesco Giuseppe, cognato della regina Maria Sofia, e Alessandro II si riuniscono per primi
facendo andare su tutte le furie il vero garante dell'ipocrita politica della
congiura internazionale, cioè Napoleone che torna precipitosamente dall'Algeria
e chiede spiegazioni di ciò che sta accadendo. Qualche giorno dopo anche il
reggente di Prussia raggiunge Varsavia ma, per quanto detto prima, non si
riesce a trovare un accordo per intervenire sui fatti delle Due Sicilie con
azioni concrete e non colle solite frasi di circostanza suffragate da
impalpabili promesse. Comunque Napoli è l'argomento del giorno per il vecchio
continente e l'animo degli onesti è contro i soprusi del Piemonte; i più ardimentosi decidono di operare realmente per
Francesco mettendosi al suo servizio volontariamente. Essi rappresentano i
legittimisti di ogni luogo proprio come i rivoluzionari di ogni luogo si aggregarono
a Garibaldi. Vengono dal Belgio, dall'Austria, dalle regioni tedesche,
dall'America e dalla Francia come Émile de Christen.
L'assedio prosegue con la
grande superiorità dei mezzi di offesa su quelli di difesa. I cannoni
piemontesi più precisi e con gittata maggiore martellano la rocca che risponde
come può, cioè con tanti colpi innocui
ed alcuni talmente esatti e micidiali che raffreddano i facili entusiasmi
sardi.
Di tanto in tanto i
Borbonici tentano delle sortite per distruggere delle fortificazioni offensive
dei Sardi. Così tra il 28 e il 29 novembre ne viene organizzata una con oggetto
il monte Cappuccini (che insieme ad altre colline fa da sfondo al lato
nord-ovest della rocca). Le spie nemiche profumatamente pagate e quindi assai solerti avvertono preventivamente
il comando piemontese. In tal modo svariati battaglioni sono schierati in
appostamento per dare l'adeguata accoglienza agli assediati. Il ten.col.Migy
guida la colonna che improvvisamente è investita da un uragano di fuoco anche
di artiglieria. Il bravo ufficiale cade
con parecchi dei suoi e con molto impegno il gen.Bosco riesce a coprire
l'indispensabile ripiegamento. Oltre alla delazione del traditore presente
nella fortezza, l'azione ha gli effetti negativi citati per lo scarso spirito
di combattimento di buona parte degli uomini mandati in sortita; specialmente
in riferimento ai carabinieri esteri già destinati, come molti altri, a deporre
le armi con spostamento nello stato pontificio. Non si riesce a concepire come
si mandavano uomini già ufficialmente demotivati, perchè praticamente congedati
e quindi non più al soldo napoletano, in operazioni ardue, bisognose di grande
coraggio e determinazione. Infatti pochi giorni dopo circa 5mila soldati con in
testa il vecchio Vial, il prode Von Mechel e lo stanco Salzano sono inviati
verso Portella. Ciò in relazione alla super-satura situazione della fortezza
che non risulta però tangibilmente decongestionata.
Il 4 dicembre si decide di
liberarsi dai pericolosi tiri di un manipolo di cecchini sardi sistemati nelle
case adiacenti la chiesa di S.Francesco. In effetti l'artiglieria dai bastioni
avrebbe potuto in un batter d'occhio radere al suolo i nascondigli con tutti
gli occupanti ma, come aveva obiettato il pio Francesco, col rischio di danneggiare
il luogo sacro. Come anteporre al sangue napoletano il rispetto per un edificio
di culto pur sempre esposto ai proiettili sardi! Secondo tale logica un reparto d'assalto agli
ordini del magg.Simonetti viene fatto uscire per sloggiare il nemico. Sorprendendolo
di notte i Napoletani lo stanano alla baionetta mettendolo agevolmente in fuga;
indi si fanno saltare le case, ideale rifugio futuro, rispettando le sacre
pietre della chiesa.
L'8 dicembre, giorno della
festa nazionale dell'Immacolata Concezione, Francesco indirizza ai suoi sudditi
un proclama in cui viene ripetuta la triste sequela degli avvenimenti legati
all'invasione, dimostrando nuovamente che il vertice del residuo stato delle
Due Sicilie conosceva perfettamente i nemici e non solo esterni. Il proclama
prosegue con le giustificazioni del sovrano per i continui ripiegamenti per
evitare spargimenti di sangue: ma è più grave spargere sangue per vincere gli
invasori, oppure spargerlo per scontri meramente dimostrativi senza il grande
ideale della difesa concreta della Patria? Nemmeno una goccia di sangue
meridionale si può ammettere che sia versata senza mirare seriamente alla
salvezza della Nazione! E i bombardamenti di Palermo e Napoli scartati per
amore del popolo non hanno forse causato quelli di Capua e di Mola sopportati
senza alcuna possibilità di sconfiggere il nemico? Sono queste pesanti
contraddizioni che hanno portato praticamente alla perdita dell'indipendenza
del Regno delle Due Sicilie. Il proclama termina stigmatizzando il malgoverno
degli invasori dalla dissipazione dei notevoli mezzi finanziari generosamente
lasciati nel Banco al conculcare i più elementari diritti civili con il trionfo
dell'anarchia e delle violenze di ogni genere. Purtroppo i rimedi non sono
proposti perchè accademicamente si
confida nella Provvidenza e nel pietoso interessamento degli altri stati
europei. Le ultime parole sono riservate alla resistenza di Gaeta che
praticamente viene riconosciuta come senza speranza e l'invito, alquanto
larvato, di unirsi contro lo straniero per la difesa dell'autonomia del Regno
di Ruggiero e di Carlo detto III appare veramente platonico.
Le attese parole del Re
deludono fortemente i leali patrioti che ben altri toni speravano di sentire
contro la proditoria invasione per dare il massimo di se stessi contro l'odiato
nemico. Ormai l'idea dell'autonomia del Regno rimane soltanto nei cuori dei
puri e nemmeno le parole del sovrano riescono a scalfirla.....
Il tiepidissimo spirito
bellico del Re ha una riprova inconfutabile quando una nave sarda carica di
rifornimenti militari, per una forte tempesta, si rifugia nel golfo sotto i
bastioni del forte. Gli invasori pativano tanto l'ostilità della popolazione
che per le loro necessità logistiche erano costretti a far venire da Genova
grandi quantitativi di materiale, anche alimentare. Orbene per le pessime
condizioni del mare una di quelle navi commerciali giunge sotto il tiro dei
cannoni napoletani, colma di mezzi utilissimi alla situazione degli assediati
sempre più bisognosa di provviste di qualsiasi genere. I Napoletani, pur avendo
tutto il diritto di sequestrare i supporti al nemico, lasciano benignamente
ripartire l'imbarcazione su ordine del sovrano. Fatto ancora una volta
inconcepibile!
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