IL BOMBARDAMENTO A TRADIMENTO CON LA
DISTRUZIONE DI MOLA
E’ il
4 novembre 2010, e sono passati 150 anni
da un fatto bellico poco noto che dimostra tutta la slealtà e l’efferatezza
degli invasori piemontesi. L’assurdo e lento ripiegamento dell’esercito borbonico
verso Gaeta con la garanzia della protezione francese del mare, viene
inaspettatamente preso d’assalto dalla flotta sarda su tradimento congiunto di
Parigi e Torino per ordine massonico. Pur non infliggendo grosse perdite ai
soldati gigliati, le bombe delle navi e dei reparti di terra sabaudi si
concentrano sulla cittadina di Mola, passaggio obbligato dei reparti borbonici
verso la fortezza di Gaeta.
I maggiori danni, agli uomini e alle cose,
sono proprio per l’odierna Formia. Alla vergogna della dimenticanza dei fatti
del 4-11-1860 si aggiunge l’ottusità dell’attuale amministrazione formiana che
ha monumenti e celebrazioni solo per i carnefici “liberatori”!
V.G.
Ancora dal libro
dello scrivente “Il saccheggio del Sud” riportiamo uno stralcio dedicato ai
fatti di Mola
Vittorio Emanuele II rimane
interdetto di fronte al valore dei Napoletani che riscontra lontanissimi
dall'immagine che la stampa prezzolata da anni va spargendo per il mondo
intero. Egli viene colpito dalla loro tenacia, constatata anche nei primi
contatti con la popolazione civile, nel difendere, nonostante i chiari
tradimenti dei loro capi, la loro indipendenza. Se da un lato prova stizza
perché essa lorda di sangue e di ferocia la sua conquista del Sud Italia,
dall'altro avverte preoccupazione per il costo bellico che dovrà sopportare e
per il tempo che ci vorrà per vincere definitivamente col rischio di una mutata
situazione internazionale che potrebbe
rovinargli tutto. Quando la lotta a viso aperto e con forze quantitativamente
bilanciantisi si profila assai dura, è meglio usare mezzi più sicuri di offesa
anche se meno leali. In tal modo il Re di Sardegna dà ordine alla flotta
dell'amm. Persano di bombardare a dovere i Borbonici dal mare, cioè da dove
meno se lo aspettano perché illusi dalle caduche promesse francesi. Napoleone
III aveva mandato la squadra navale convinto dell'imminente sconfitta degli accaniti difensori del Regno per
terra di fronte alla "grande" armata sarda. Il comandante della
flotta francese Barbier de Tinan, vecchio antagonista dei Piemontesi che
disprezzava per l'immorale politica espansionistica, credeva fermamente nella
sua missione non reputando il suo imperatore capace di bruschi voltafaccia,
perché anche lui servo del potere economico internazionale. Quindi con estrema
determinazione all'apparire delle navi savoiarde, la flotta transalpina
impedisce il passo. Naturalmente Vittorio Emanuele fa presente la sua reale
situazione di difficoltà alla camarilla internazionale che lo sostiene:
risultato immediato è la nuova linea di condotta anglo-francese che, pur
dichiarandosi sempre ipocritamente protettrice di Napoli, decide di garantire
soltanto la zona di Gaeta (sede del governo legittimista) abbandonando senza
alcun preavviso la vigilanza della foce del Garigliano. In effetti Londra e
Parigi con la loro presenza navale volevano assicurarsi che la caduta del Regno
fosse certa ma lenta (ciò analogamente per lo Stato Pontificio) per poter
riempire tranquillamente di frottole i giornali mentre erano pronti a fare da
boia per l'indipendenza delle Due Sicilie. In tal modo Barbier riceve il secco
ordine imperiale di trasferire la sua squadra più a nord e, seppure certamente
a malincuore, tosto obbedisce. A tradimento, come costume, la flotta sarda
attacca quindi gli ignari Napoletani coperta anche dalle ombre ultime della
notte. Per non farli trovare tra due fuochi, il comando legittimista li invita
a ripiegare su Mola. Quel giorno vede il vigliacco bombardamento delle colonne
napoletane in ordinata ritirata; persino il mare rimane disgustato dai Sardi
facendosi tanto grosso da impedire ai cannoni tuonanti la mira giusta per la
precaria stabilità dei legni nemici. Così mentre grande è la slealtà degli
invasori, piccolo assai è il danno sofferto dai difensori della Patria.
Osservando la ritirata
napoletana sotto il tiro delle navi sabaude, il monarca savoiardo ordina di riattaccare per terra la
retroguardia avversaria per il rischio infinitamente minore che correvano i
Piemontesi per le peggiorate condizioni degli antagonisti
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