UNA BATTAGLIA NON PERSA FA PERDERE IL REGNO
DI NAPOLI
Il 1° ottobre 1860 avviene la famosa battaglia del Volturno che
segna la svolta decisiva della conquista piemontese del regno di Napoli. Questo
è il più grosso e sanguinoso scontro del Risorgimento e si svolge tra le truppe
regie di Francesco II di Borbone e il corpo d’invasione straniero comandato da
Garibaldi, formato per la stragrande maggioranza da soldati sabaudi
ufficialmente disertori e volontari.Purtroppo,
nonostante l’invito (blando) del sovrano a difendere consapevolmente e per
libera scelta la Patria, parecchi traditori al soldo massonico sono ancora
presenti. Essi si possono individuare specialmente tra i mercenari condotti da
Von Mechel a Maddaloni che combattono per non vincere e, soprattutto, in
Giuseppe Ruiz de Ballestreros che ferma la manovra vincente borbonica non
giungendo (dolosamente) in tempo ai Ponti della Valle e impedendo il colpo di
grazia a Bixio.
Il Ballestreros aveva già obbedito ciecamente alla setta nel
ripiegamento dalla Sicilia a Napoli, ed era stato reintegrato assurdamente solo
per essere il fratello di un ufficiale
di bel altra levatura, Giovanni, segretario particolare di Francesco II. L’opera
nefanda dei traditori non evita tutti i rischi agli invasori. Verso sera, quasi
per prodigio, un manipolo di Regi irrompe per le strade di Caserta da Aldifreda
all’attuale via San Carlo e sorprende in pieno il comando generale garibaldino.
Abbandonando ogni ritegno, militari piemontesi ed inglesi, con divise e
bandiere, prendono in mano la situazione e rimettono le cose secondo il
desiderio internazionale.
Alla fine di quel lunedì non vi sono tuttavia né vincitori né
vinti. L’indomani sarebbe stato molto facile riprendere le ostilità con le
tante riserve non impiegate sulla riva destra del Volturno e annientare del
tutto i terrorizzati garibaldini.
Al di là di nostalgie e rimpianti, chiudiamo con il pensiero ai
tanti caduti borbonici (nostri diretti antenati) che non hanno un cimitero né
una tomba su cui ricordare il glorioso nome, al contrario dei nostri
colonizzatori menzionati in troppi luoghi e maniere. La civiltà dello stato che
ci comanda ha preferito onorare gli stranieri, invasori e predatori, e non i
difensori, eroici e leali, della loro Patria…
V.G.
Seguono alcune pagine della battaglia da Il Saccheggio del Sud :
Coi movimenti strategici
esattamente conosciuti dal nemico; coi duci per lo più timorosi della vittoria
(sic!); coi soldati frementi d'amor patrio ma col dubbio inconscio di essere
troppo sacrificati, di dover reprimere il loro furore guerresco e di spargere
comunque sangue italiano; con uno schieramento totalmente sfavorevole alle caratteristiche
dell'esercito regio, alle quattro e mezza di una mattinata nebbiosa ed umida le
porte di Capua si aprono per far uscire ordinati e tranquilli i primi
contingenti napoletani. Il grido di guerra di Viva 'o Rre! risuona sempre più
nitido nelle orecchie dei garibaldeschi trincerati nell'angolo retto che
S.Maria forma con S.Tammaro a sinistra e S.Angelo a destra. Anche grazie ai
cannoni di Capua che almeno rompono le barricate, i Napoletani sfondano
dappertutto e seminano il terreno di camice rosse. Alle prime ore del mattino
gli invasori sono già in estrema difficoltà e Garibaldi capisce che è il caso
di spronarli alla resistenza ad ogni costo. Mentre si sposta, con pochi al
seguito, in un quadrivio nei pressi di S.Leucio, s'imbatte in un manipolo di
Regi che lo attacca in modo furibondo, uccidendo il suo cocchiere e
costringendolo a farsi spazio con la sciabola per fuggire precipitosamente in
un folto boschetto, leggermente ferito e protetto dal sacrificio dell'intero
suo seguito. Trafelato ma caparbio nel
dover rincuorare i suoi in crisi, Garibaldi giunge a S.Angelo e tenta di
sollevare gli animi nel modo a lui congeniale, cioè raccontando bugie di
successi sugli altri fronti e di piccolo sforzo da compiere sul posto per
vincere la battaglia. Probabilmente l'effetto era positivo per i rossi ma
durava quanto la presenza del capo: lo scoramento e la cruda realtà
riprendevano presto il sopravvento. Così mentre il nizzardo si sposta per
sostenere altri capisaldi, quelli precedentemente visitati sono sopraffatti dai
Regi. S.Angelo è dunque presa in poche ore di irresistibili assalti napoletani
mentre Garibaldi scappa celermente verso il fulcro della sua difesa a S.Maria.
Intanto la colonna di Von
Mechel, più numerosa delle altre per il delicato compito di sloggiare i
difensori dei Ponti della Valle, è oggetto di una vera insubordinazione del
comandante svizzero che decide autonomamente di staccare dai suoi soldati ben
5000 uomini affidandoli al gen.Ruiz de Ballestreros e inviandoli per i monti a
Caserta Vecchia con lo scopo di farli irrompere contro Bixio al momento topico
dello scontro da lui iniziato direttamente alle porte di Maddaloni. Due sono
gli errori madornali nel comportamento di Mechel: il primo è di riservare per
il suo attacco frontale soli 3000 uomini, in nettissima inferiorità rispetto ai
5600 trincerati in loro attesa; il secondo è di fidarsi pure lui di quel
gen.Ruiz che già nelle Calabrie aveva dimostrato di essere pressochè un
traditore. In tal modo mentre la brigata di Mechel rapidamente va incontro
all'ala destra garibaldese, Ruiz con la massima circospezione e lentezza
s'inoltra per le colline tra la Piana di Caiazzo e Caserta Vecchia col fermo
proposito di non giungere in tempo per
dare il suo decisivo contributo al duce svizzero e a tutto l'esercito regio,
essendo Maddaloni una posizione chiave. Eppure la sera precedente, dopo aver
stabilito l'arbitraria variante al piano bellico, Mechel in cammino per la sua
meta aveva sorpreso Ruiz placidamente accampato presso il Volturno limitandosi
a rampognarlo e facendolo a malavoglia partire. Come poteva un esperto generale
come lui illudersi che il suo subalterno si fosse trasformato in un campione di
volontà e nazionalismo per poterlo adeguatamente aiutare il mattino seguente?
Alla ricerca di una
qualsiasi scusante per rallentare nuovamente la sua importantissima marcia,
Ruiz ha un colpo di fortuna (per le sue turpi mire) scorgendo l'avamposto di Bronzetti trincerato sul vertice della
collina tra le rovine del castello medioevale di Morrone.
Il fellone avrebbe potuto
aggirare il piccolo presidio e proseguire la sua fondamentale missione, oppure
avrebbe potuto lasciare una parte congrua dei suoi uomini per debellare i rossi
e andare col grosso incontro al suo comandante. Invece, in perfetta cattiva
fede (la storia lo saluterà in seguito come generale piemontese, anche se
posto decentemente a riposo, chiarendo
pienamente la sua posizione di
traditore), ferma tutta la brigata per osservare la sua decima parte assalire i
barricati nei resti del castello. La strenua resistenza dei garibaldeschi,
terrorizzati dal numero di nemici che li circonda, dura a lungo perchè troppo
piccolo è il numero di quelli che effettivamente attaccano ed espugnare il
castello diroccato diventa un'impresa ardua con grande perdita di tempo:
proprio quello che andava cercando Ruiz per far saltare il piano dei Napoletani.
Nei pressi di Maddaloni
Bixio pone alla destra la brigata Eberhardt sul monte Longano, la brigata
Spinazzi al centro e a sinistra la brigata Dezza sul monte Caro. Alle 8 del
mattino Von Mechel irrompe nello schieramento garibaldese in tre gruppi contro
i tre capisaldi sotto il tiro dei cannoni rossi sistemati sui Ponti della Valle.
Occorre ricordare subito che i tremila uomini all'assalto sono costituiti dai
residui delle forze mercenarie straniere, in minor parte dagli Svizzeri dopo i
problemi internazionali sollevati dai settari qualche tempo addietro, e per il
resto da Boemi e Bavaresi con numerosi infiltrati prezzolati, inseriti ad arte
dalla cospirazione per debilitare l'esercito regio. Niente di sorprendente
dunque se gli Svizzeri accoppano come mosche nugoli di rossi scompigliandoli,
mentre gli altri corpi non danno prova di alcun ardimento o
determinazione. Eppure accade qualcosa
di ridicolo nel vedere sul monte Caro i rossi fuggire nello scorgere i Boemi
all'attacco ma senza alcuna volontà di fugarli. Così i mercenari sono costretti a fermarsi per non terrorizzare vieppiù
il nemico. Vanamente gli ufficiali svizzeri li incitano a proseguire l'assalto
rincorrendo il nemico. Intervenendo alcuni rinforzi più motivati, si assiste
alla farsa della stragrande maggioranza degli offensori che non rispetta gli
ordini e si attarda qua e là per non vincere, e dell'altrettanto stragrande
maggioranza dei difensori che si dilegua in preda al panico. In tale guisa
pochi Regi pugnano seriamente contro pochi garibaldeschi! Intanto gli Svizzeri
sfondano la linea della brigata Eberhardt e costringono al silenzio
l'artiglieria avversaria. Purtroppo nell'assalto valoroso cade il giovane
figlio di Mechel che, dopo un solo attimo di smarrimento, riprende
encomiabilmente la battaglia. Con le ali sbaragliate tutti i garibaldeschi
convergono al centro attorno a Bixio acquartierato nella villa Gualtieri,
sbarrando logicamente la via per Caserta. Col passare dei minuti i rossi che
possono, tentano di sparire per la paura di essere sterminati dai Regi
praticamente inferiori per 1 a 2. Gli
abitanti di Maddaloni assistono speranzosi al combattimento e notano
continuamente un fuggi fuggi generale in tutte le direzioni distanti dai
Napoletani. L'amor patrio li accende e molti si mettono ad inseguire e
massacrare gli stranieri invasori sbandati. Von Mechel, dopo circa tre ore di
lotta, si trova fuori Maddaloni pronto a sferrare l'ultima carica contro il
nemico terrorizzato ed incapace di resistergli. Purtroppo il generale giudica
assai rischioso stanare i rossi dalla cittadina con forze tanto inferiori e si rammarica
tanto di non veder spuntare il grosso dei suoi uomini, al comando di Ruiz, per
assestare il meritato colpo di grazia e completare trionfalmente la sua
missione. Anche superando, con grande sforzo, le truppe di Bixio, senza Ruiz e
con i Boemi e i Bavaresi poco
affidabili, come potrebbe mai puntare con concrete possibilità di successo
sulle consistenti riserve garibaldesi a Caserta?
Siamo ormai a metà giornata
di quel fatidico 1°ottobre 1860 e a S.Maria si combatte furiosamente nel modo
preferito dai rossi, cioè sulle barricate e nei comodi nascondigli offerti
dalle rovine dei monumenti d'epoca romana. Col Re nelle retrovie e coi conti di
Trani e di Caserta a guidare l'assalto ogni resistenza viene stroncata con la
penetrazione dei Borbonici in città e il dileguamento disordinato degli
invasori che pensano a salvarsi.
Quel mezzogiorno vede
brillare alto il sole che sorride alla bandiere con lo stemma delle Due Sicilie
vittoriose a Maddaloni, a S.Angelo e a S.Maria. Eppure Garibaldi ha l'impudenza
di telegrafare a Napoli cantando vittoria su tutta la linea! Ma le mendaci
parole del nizzardo non potevano convincere la buona gente in ansia nella
capitale. Gli sbandati, i feriti, i disertori che gremivano la città portavano
alla mente parole ben diverse per gli
stranieri. Inoltre i Sardi e gli Inglesi che in tutta fretta scendevano dalle
navi per partire celermente per il fronte convalidavano quelle parole negative
che aleggiavano sul capo dei garibaldeschi! Si può tranquillamente affermare
che quasi nessuno presta fede al falso dispaccio, troppo in contraddizione con
la realtà che si osserva a Napoli.
Il valore dei Napoletani ha
colorato con la vittoria la prima parte
del 1°
ottobre, facendo loro superare i gravissimi
limiti dello schieramento del tutto svantaggioso come detto innanzi. Tuttavia
il peso degli errori dei vertici non può essere a lungo attutito dalla bravura
dei soldati. Vi sono condizioni obiettive di inferiorità per i Regi che devono
ineluttabilmente emergere a lungo andare. In primo luogo per quanto concerne il
numero degli attaccanti e il lento collegamento tra i reparti disseminati su
una linea troppo lunga e mal servita dalle vie di comunicazione. A S.Maria, ove
giustamente si prevedeva lo scontro frontale più duro, quanto detto trova il
suo riscontro concreto. Mentre i Napoletani hanno conquistato la città e
necessitano assolutamente di rinforzi per tenere le posizioni tanto
sanguinosamente strappate, mandandoli a chiamare con tutte le difficoltà
adombrate prima, i rossi in estrema disperazione speditamente chiedono aiuti
alla riserva generale di Caserta e rapidamente essi giungono sfruttando la
strada ferrata borbonica.
All'arrivo dei rinforzi
garibaldesi si riaccende la lotta e Francesco indarno invia dispacci ai soldati
di S.Angelo di precipitarsi in soccorso, come pure a quelli vincitori a
S.Tammaro. La citata lentezza nei collegamenti non porta forze fresche ai Regi(…)
Comunque da S.Tammaro la brigata del gen.Sergardi è la più sollecita ad
soccorrere i conquistatori di S.Maria, sgominando tutti i rossi incontrati e
meritandosi l'ovazione dei sammaritani che mettono alle finestre i drappi
borbonici, dichiarando tutta la loro fede nella patria napoletana Quando altri
uomini necessitavano impellentemente per spegnere la reazione garibaldese e ben
pochi se ne vedevano perchè troppo
distanti, quanto avrebbero fatto comodo i popolani che aspettavano solo di essere debitamente spronati e chiamati per
far diventare la loro cittadina la tomba degli invasori!......
A Morrone finalmente alle
tre pomeridiane l'ostinata resistenza di Bronzetti e dei suoi 500 garibaldeschi è disfatta con
l'uccisione di molti dei difensori del castello che ha visto un'intera brigata
fare da spettatore passivamente all'intrepido assalto di poche forze vittoriose al comando del
magg.Nicoletti. Senza scomporsi Ruiz fa riprendere pacatamente la marcia verso
Caserta Vecchia, ben sapendo che a pomeriggio inoltrato ormai aveva fatto
fallire le intenzioni del suo capo Von Mechel. Costui, col sole ormai rivolto
al tramonto, si rende conto che non può più rispettare gli ordini di
raggiungere Caserta ed è costretto a scegliere un luogo adatto per accamparsi e
passare la notte. Bixio non crede ai suoi occhi osservando i temutissimi
Svizzeri retrocedere ed incita i suoi a riprendere coraggio ed addirittura ad
infastidire il ripiegamento borbonico, creando una finale parvenza di successo
coi rossi che avanzano sparando e i Regi che indietreggiano difendendosi. Quale imprevedibile epilogo! Soprattutto
pensando che la stampa faziosa avrebbe ricamato su tale ultimo atto bellico
dipingendo Bixio come un eroico trionfatore!
Il tramonto solare fa
tramontare anche le enormi possibilità di vittoria che l'astro aveva
concretamente visto quando era allo zenit. A S.Maria i rossi hanno ormai forze preponderanti per i freschi rinforzi
giunti e la lotta prosegue aspra ed impari. Ciò nonostante quattro fiere
compagnie sfondano le nuove linee nemiche e prendono alle spalle i garibaldeschi. La sfortuna vuole che
proprio in quel momento in cui ancora la giornata può essere clamorosamente
salvata, Ritucci giudica impossibile vincere nella città sammaritana, punto
centrale dell'intera battaglia. , e fa suonare la ritirata generale. Il
ripiegamento simultaneo degli attaccanti infonde un fremito di riscossa insperata nei rossi
che si lanciano baldanzosamente all'inseguimento dei Regi. E' un reparto di
cavalleria del col.Grenet a proteggere la ritirata punendo a sciabolate la
presunzione garibaldese, mentre dai bastioni di Capua tuonano i cannoni per
fare altrettanto, ma colpendo indiscriminatamente sia i rossi che i cavalieri
napoletani! Ovviamente l'ordine di retrocedere viene applicato anche a S.Angelo
che è riconsegnata al nemico dopo il tanto sangue versato per strappargliela! E
pensare che solo un migliaio di uomini di riserva avrebbe fatto pendere
definitivamente la bilancia dalla parte dei soldati della Nazione Napoletana,
quando un'intera brigata al comando di Colonna era inattiva alle spalle del
Volturno per vigilare su manovre aggiranti di Garibaldi assolutamente improbabili.(…) Gli espugnatori del presidio
di Bronzetti guidati dai maggiori Nicoletti, De Francesco e Musso, rimangono
leggermente staccati dal grosso e, quando scendono le prime ombre della sera,
si trovano rispettivamente nei pressi di Caserta Vecchia, Morrone e S.Leucio.
Il passo per la città vanvitelliana è breve e i tre decidono di entrarvi, forse
immaginando di trovarvi anche i commilitoni vittoriosi. La notizia della loro
vicinanza si sparge per il quartier generale garibaldese, insieme al panico per
un loro imminente attacco. Un battaglione di soldati sardi, appena giunto da
Napoli, viene immediatamente schierato alla periferia della città. I primi Regi
a scendere dalle colline che cingono Caserta a nord sono quelli del magg.Musso.
Essi prendono contatto coi rossi a Casolla, un abitato limitrofo colla città.
La veemenza dei Napoletani, già temprati e motivati dall'aver debellato
Bronzetti, sbaraglia agevolmente il nemico e li porta tra le prime case
casertane. Intanto l'ordine della ritirata generale aveva raggiunto Ruiz che,
per la prima volta durante quel giorno fatale, si affretta: per comunicarlo a
tutti i suoi uomini, dimostrando ancor più la sua scelleratezza. La sua
solerzia per bloccare subito possibili azioni belliche rastrellando i suoi
sparsi reparti, è in netta contraddizione con l'ordine precedente di sbandarsi
per rifocillarsi dato in modo generico e senza veramente preoccuparsi delle
esigenze dei militari. Ma tutto congiura coerentemente nel perseguimento dell'infame
scopo di ostacolare l'armata borbonica nel giorno cruciale per la vita della
Patria!
In tal modo De Francesco
torna indietro verso il grosso della brigata a Caserta Vecchia; Nicoletti
vorrebbe obbedire anch'egli ma,
sollecitato dai soldati che hanno visto quel che sta accadendo alla periferia di Caserta, va verso la città.
Musso non viene avvertito e resta in attesa a valle. Le truppe di Nicoletti
irrompono allora in Caserta per Aldifreda e lo stradone di S.Antonio. Ma i
rossi li stanno aspettando in forze, insieme ai rincalzi giunti per ferrovia e
con molti cannoni manovrati dagli esperti artiglieri inglesi piazzati sulle
alture ora sgombre di Regi. Il fuoco che accoglie Nicoletti e Musso, che si
sono riuniti, è micidiale e la superiorità del nemico assolutamente
insostenibile. I Napoletani vengono accerchiati e non possono che arrendersi.
Prigionieri finiscono anche i tanti isolati per colpa dell'ordine di sbando di
Ruiz, che vengono rastrellati facilmente dai garibaldeschi.(…)
Dopo una giornata di cruenti
combattimenti su un fronte assai largo, col decisivo condizionamento degli
handicap appioppati dai duci inetti e frastornati ai Napoletani, scende il
silenzio sul Volturno. I Regi restano sulle posizioni di partenza, ordinati e
col morale alto, con circa 1000 perdite tra caduti e feriti e con un migliaio
di prigionieri presi a Caserta; i garibaldeschi lamentano quasi 2000 perdite
tra morti e feriti e circa 1500 catturati o fuggiti. I dati dei rossi sono di
fonte partigiana, perchè osservando a Napoli, e nei paesi vicini,
l'affollamento degli ospedali per i feriti nella battaglia, si può senza
azzardo asserire che, compresi i disertori, sono oltre 4 mila quelli messi
fuori combattimento dai Regi.
Anche se la storiografia dei
vincitori parla incessantemente di vittoria di Garibaldi al Volturno, è assai
più sensato ed onesto affermare che i Napoletani furono respinti nel loro
attacco alla postazioni garibaldesi (ovviamente grazie agli intralci
evidenziati della quinta colonna). Quindi più che di vittoria dei rossi,
occorre parlare più esattamente di mancata vittoria napoletana. Vittoria per
Garibaldi sarebbe stato infliggere più gravi perdite al nemico o farlo
abbandonare le sue posizioni. In definitiva deve considerarsi una menzogna
l'assegnare la vittoria ai "Mille"sul Volturno.
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