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Associazione culturale Neoborbonica
L'orgoglio di essere meridionali

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CAPUA 150 PDF Stampa E-mail
capua.jpg

SENZA IMBROGLI I GARIBALDINI PERDONO

Con i successi siciliani ormai tanto lontani quanto truccati, Garibaldi è tronfio per la sua cavalcata indisturbata dal Faro alla capitale. Assieme ai suoi, è persuaso dell’efficienza delle mene massoniche che rendono tutto facile, preventivato e piacevole per la gloria e per le prebende incassate un po’ da tutti grazie ai continui saccheggi . Soprattutto l’abbandono di Napoli di Francesco II gli ha quasi conferito un carisma di irresistibilità e lo schieramento borbonico tra Capua e Maddaloni gli appare un altro bluff che si disintegrerà al primo tentativo di forzarlo.


In effetti la questa convinzione è tanto radicata che il 14 un’avanguardia garibaldina punta verso la famosa fortezza di Capua, sede del comando generale borbonico. La velleità dell’azione si dimostra immediatamente quando le raffiche di mitraglia dagli spalti capuani obbligano gli attaccanti a una precipitosa e sanguinosa fuga. Ma Garibaldi è caparbio e valuta l’episodio solo come avventato; la sicurezza di riprovarci meglio proviene dal vero e proprio esercito a disposizione. La celerità del miracolo di San Gennaro il 19 lo induce a trarre auspici arbitrari di momento propizio e ordina l’assalto in forze a Capua. L’epurazione (purtroppo parziale) avvenuta tra i Regi dopo la ritirata a nord della capitale dà agli invasori una cocente delusione. Le loro fila vengono falcidiate dai cannoni sulle mura da cui escono addirittura i difensori per metterli decisamente in rotta. Davanti a Capua cade più della metà dei morti dichiarati a seguito della battaglia del Volturno. E’ una vera disfatta ed è la prima volta che  borbonici vincono forse in mancanza di accordi precedenti non stipulati per presunzione e fretta. In ogni modo la storiografia ufficiale ha decretato di minimizzare l’evento di Capua del 19-9-1860, che giusto oggi compie 150 anni, che invece va celebrato al massimo per evidenziare il valore dei soldati duosiciliani.

 

 

 

 

Dal libro dello scrivente il Saccheggio del Sud le pagine dedicata al tema odierno.

 

Garibaldi ogni giorno riceve uomini e mezzi da Torino anche se si lamenta di non veder meridionali accorrere tra le sue fila; esse però s'ingrossano sempre più sino a dargli un vero esercito formato alla fine di settembre da oltre 30000 soldati per lo più regolari sardi in strano congedo. La sicurezza del nizzardo si fonda però sulle battaglie fasulle vinte sino ad allora, essendo certo di continuare a pugnare in tale modo anche sul Volturno. Stabilito il quartier generale nella reggia borbonica (che ovviamente viene quotidianamente alleggerita dei suoi sterminati oggetti preziosi svenduti un po' dovunque dai rossi), il 14 settembre Garibaldi riceve informazioni settarie che i cannoni di Capua sono caricati a salve e che la popolazione nella fortezza aspetta solo un segnale per rivoltarsi contro il "tiranno borbonico" ed aprire le porte festante ai "liberatori". Così, velleitariamente, Capua è investita da reparti garibaldesi. Naturalmente dai bastioni le scariche di artiglieria spaccano agevolmente le teste imbottite di illusioni dei rossi e convincono rapidamente quelle superstiti che la musica sta cambiando! Vien chiesta immediatamente una tregua di 24 ore, utile a Ritucci per frenare i facili entusiasmi e, a Garibaldi, per cercare nuove soluzioni in campo tutt'altro che bellico!....

Per allentare la baldanza dei Regi, il nizzardo decide di infiltrare suoi uomini alle spalle dello schieramento troppo lungo degli avversari. Così al comando dell'ungherese Csudafy una colonna viene spedita per Maddaloni verso Piedimonte per cercare di sollevare (ma con quali seri presentimenti visti gli altri analoghi tentativi?) la popolazione. Così ancora un'altra colonna agli ordini del bolognese Cattabene è inviata per Limatola a Caiazzo per rompere la padronanza nemica della riva dritta del Volturno, dando maggiori garanzie ai rossi. Quest'ultima spedizione è notata dal ten.col. La Rosa che, avendo troppo pochi soldati, chiede ed ottiene il repentino aiuto degli abitanti dei luoghi anche se armati alla men peggio solo con armi bianche. Le costruzioni di ponti di barche fatte sul fiume per consentire il passaggio dei garibaldeschi sono subitaneamente distrutte a Sguiglia, Pietradelpesce, Alvignanello e Castelcampagnano e i rossi scappano da ogni parte. Caiazzo viene presidiata.

Il 19 settembre, festa del patrono di Napoli, Garibaldi s'illude che la veglia dei Regi sia affievolita per la solennità religiosa assai sentita e decide di riattaccare Capua. Stavolta è il tedesco Rustow a sfidare l'enigmatica fortezza (per le fandonie sparse dai settari) ma i difensori non si limitano a tirare cannonate micidiali: l'aitante ten.col.Negri e l'anziano gen.Rossaroll (che, ormai in pensione, aveva volontariamente raggiunto il suo Re) escono dalla città inseguendo i rossi e sbaragliandoli. I garibaldeschi si rifugiano trafelati, e con molti feriti, a S.Maria ove si sparge il panico paventando l'arrivo della cavalleria regia decisa a mettere tutto a ferro e fuoco. Ma il ferimento del gen.Rossaroll e l'intollerabile cautela operativa di Ritucci fermano il contrattacco quando sarebbe bastato un piccolo drappello per liberare la città con conseguenze incalcolabili sul traballante morale garibaldese. Infatti, nonostante l'inazione dei Regi, tra i garibaldeschi vi è il terrore, specialmente perchè ci si è resi conto che è tramontata definitivamente l'epoca dei successi prefabbricati e praticamente indolori. Nel luogo che fu la tomba dell'esercito cartaginese, circa seicento uomini disertano tornando precipitosamente a Napoli e pretendendo soldi e passaporti per andarsene per sempre.

 

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