Reggia di Carditello a rischio
di Giovanni
Maduli
Interessandoci
in questo periodo della Real Casina di Caccia di Carditello, meglio conosciuta
come Reggia di Carditello (Comune di San Tammaro, CE), siamo venuti a
conoscenza della confusa e complicata situazione del sito in relazione alla sua
proprietà, al suo futuro e quindi alla sua destinazione. L’edificio
fu realizzato su progetto di Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, ed è
costituito dalla real casina di caccia, da una piccola chiesetta, da alcune
abitazioni per le maestranze, da stalle, edifici per la lavorazione dei
derivati del latte, all’ammasso di prodotti agricoli, etc.. Insiste su un’area
di circa 55 mila metri quadri e costituiva uno splendido esempio, quasi alla
pari di San Leucio, di una comunità voluta sì per il diletto e la caccia della
casa regnante, ma anche per riproporre una valorizzazione del territorio legata
alle realtà lavorative locali particolarmente dedite all’agricoltura ed
all’allevamento del bestiame. La struttura, in parte restaurata, è tuttavia da
tempo chiusa al pubblico; di quando in quando, grazie al lodevole
interessamento di Alessandro Manna e dell’Associazione Siti Reali è possibile
visitarla, ma essa rimane per lo più relegata in un triste isolamento e assordante
silenzio. Già, assordante silenzio perché non si può accettare che un manufatto
così pregevole e ricco di storia e di cultura versi nel penoso stato di quasi
totale abbandono fisico ed istituzionale. E’ certamente lodevole che
associazioni come Italia Nostra ed altre e singoli cittadini facciano sentire
la loro voce affinché si faccia qualcosa per strappare l’edificio e l’intera
area al degrado, all’abbandono o, peggio, alla sempre possibile speculazione di
qualche subdolo faccendiere, ma è indispensabile che le istituzioni si attivino
con maggiore vigore e maggiore efficacia. La
situazione burocratica dell’edificio appare infatti estremamente complessa. Da
un lato la Giunta Comunale
ha stanziato sedici milioni per l’acquisizione e il restauro del bene; ma
dall’altro non si sa bene di chi sia o, peggio, di chi sarà la proprietà dello
stesso. Infatti l’edificio appartiene attualmente al Consorzio di Bonifica del
Volturno che però sembra indebitato per circa 25 milioni di euro con l’ex Banco
di Napoli. Quest’ultimo, attraverso la collegata società Sga, società di
recupero crediti, aveva provveduto ad iniziare una procedura di esecuzione
immobiliare forzata. In poche parole l’edificio e tutta la tenuta potrebbero
finire all’asta; il che significherebbe che non si può conoscere a priori in
mano a chi finirà l’intero complesso. Non sarebbe purtroppo da escludere, come
si diceva dianzi, che qualche faccendiere poco sensibile alle qualità
storico-architettoniche-culturali del sito intraveda soltanto un buon affare
speculativo.
Dal
canto nostro, nel rammaricarci per questa triste e nebulosa situazione, non
possiamo che esortare chi di competenza
ad attivarsi in tutti i modi per consentire una completa acquisizione e
fruizione pubblica del bene.
La
valorizzazione e la pubblica fruizione dei nostri antichi beni culturali è un
mezzo per consentire non solo il recupero materiale del bene, ma anche e
soprattutto la riacquisizione e la rivalorizzazione del nostro passato, della
nostra storia e quindi del nostro futuro.
Fonte: Corriere
del Mezzogiorno
|