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MILAZZO 150 PDF Stampa E-mail

milazzo.jpg

Dopo quasi due mesi di allegra amministrazione nell’antica capitale normanna dove prosciuga completamente l’ingente riserva di ducati, Garibaldi si decide a marciare nella Sicilia orientale. Ma in quel periodo, nella sede governativa di Portici (Na,) era accaduto qualcosa di molto grave e significativo:  la concessione della Costituzione del ’48 che in pratica indeboliva lo spirito dell’esercito duosiciliano. Essa insinuava il messaggio letale che il Re non voleva vincere con le armi per non inimicarsi le potenze europee.

La strada da Palermo a Messina, e alla parte continentale del Regno, passa per Milazzo. A guardia della città c’è un imponente forte presso cui si schierano i borbonici. Come a Calatafimi, tutto è stato preparato a puntino dai settari, facilitati dalle notizie da Napoli. Se nella Sicilia occidentale c’era stato un Landi incapace di trattenere Sforza ma capace di mandarlo quasi al massacro 1 contro 4 e armato insufficientemente, nella Sicilia orientale c’è un Clary che non riesce a frenare Bosco ma è abile nell’inviarlo in inferiorità contro il nemico superiore per 5 a 1! Per di più, il comandante del forte assicura la sua… neutralità(sic!).

La veemenza dei Regi mette repentagli la vita stessa del mercenario, salvato da una dose incredibile di fortuna! La disparità delle forze costringe Bosco a retrocedere nell’abitato dove i milazzesi scendono in strada per aiutarlo. Ma la flotta al largo, formata dalle navi rubate all’Armata borbonica e da quelle della Royal Navy britannica , apre un fuoco micidiale sui difensori di Milazzo. La giornata volge così a favore del nemico. Un altro capolavoro massonico è stato perpetrato dando una vittoria teoricamente impossibile ai garibaldeschi , data soprattutto la vicinanza passiva di un vero e proprio corpo d’armata borbonico a Messina.

Ormai la Sicilia è persa nell’incertezza generale dei capi civili e militari di Napoli. Alcuni sono terrorizzati dalle false notizie irradiate da Dumas e compagni sull’invincibilità di Garibaldi; altri considerano Francesco II poco propenso alla soluzione bellica contro gli invasori; altri ancora vorrebbero farla finita con un nemico obiettivamente battibile. I mandanti dei “mille”, come ancora si chiamano ad arte gli oltre 20 mila soldati (eccetto poche centinaia di volontari) di Garibaldi, sono invece sicuri delle prossime mosse visti gli insperati successi sull’isola, culla del regno delle Due Sicilie.

Sempre da libro dello scrivente “Il saccheggio del Sud” riportiamo le pagine dedicate a Milazzo.

Inorgoglito dai successi, anche se in cuor suo ben conscio della loro pilotata facilità, Garibaldi non necessita di molte spinte di Torino per proseguire la sua campagna di "liberazione". Inoltre i suoi "Mille" sono numericamente soltanto un marchio comodo per la propaganda settaria, perché è pressoché continuo il flusso da una parte dei rivoluzionari europei ed extraeuropei che si accodano al carro del vincitore (con un margine di rischio così angusto) e dall'altra dei soldati regolari piemontesi (fatto qualitativamente fondamentale) che apertamente disertano dai propri reggimenti senza essere perseguiti, circolano liberamente per Genova sino ad imbarcarsi, equipaggiati di tutto punto e con le armi più avanzate, gratuitamente per la Sicilia. Gli invasori ammontano dopo la presa di Palermo a circa 6500 uomini in continuo aumento ma con grande delusione di Garibaldi per il numero esiguo dei picciotti calabro-siculi (quasi 1/4 del totale). Assai significativo è il fatto che tra i Regi vi è un reparto di volontari siciliani assolutamente lungimiranti nel preferire di combattere coi Napoletani e non coi "fratelli settentrionali" per la loro isola.

Quartier generale delle truppe nazionali è Messina in cui il gen.Clary comanda oltre trentamila uomini con abbondante cavalleria e artiglieria, quasi inconsistenti nei garibaldeschi, con notevole spirito guerresco soprattutto nel contingente scelto venuto da Gaeta, utilizzato con chiari segni positivi nello scontro artefatto di Calatafimi.

In quella fine di luglio la proclamata Costituzione aveva sbandato l'equilibrio di molti. Non si sapeva se essa fosse il messaggio cifrato del Re attestante la sua decisione di cedere alla congiura internazionale senza combattere seriamente, oppure un espediente per aderire ai consigli delle super-potenze per risolvere diplomaticamente il problema Garibaldi. In ogni caso si arrivava alla medesima conclusione: le armi erano un mezzo provvisorio per addivenire ad un esito compromissorio indipendente dalle vicende belliche, che quindi andavano affrontate col minimo spargimento di sangue badando più che a sopraffare il nemico, a tenerlo a debita distanza con lenti arretramenti per favorire la maturazione degli eventi diplomatici. Questa era l'idea dei cospiratori che lambiva le menti ricettive di cui si è parlato in precedenza, ma che risultava praticamente insignificante per i veri patrioti sia graduati (pochi) che non (pressoché tutti). In tal modo Clary tergiversa e, invece di eseguire l'ordine perentorio di attacco ricevuto, manda dispacci nella capitale che dipingono la situazione con tinte fosche, irta di difficoltà insormontabili sia per l'offesa che addirittura per la difesa.

A questo punto la Marina, già comportatasi vergognosamente a Marsala e a Palermo, tradisce platealmente ed ufficialmente. La più potente nave da guerra nelle acque siciliane, la fregata "Veloce", comandata da Amilcare Anguissola e con il compito di fare da scorta alla situazione logistica dell'Esercito, viene diretta verso Palermo. Nella città occupata un'imbarcazione sarda porta gli alti ufficiali napoletani disertori da Garibaldi, mentre la bandiera a tre colori con la croce savoiarda viene issata al posto di quella candida con lo splendido stemma borbonico! Il nizzardo accoglie a braccia aperte la delegazione proclamantesi stanca di lottare contro altri italiani. Ma quando Garibaldi va sulla "Veloce" riceve un'ulteriore conferma di quanto sia radicata l'idea unitaria nei Napoletani: dei 179 uomini di bordo ben 138 si rifiutano di seguire il tradimento dei superiori e chiedono di rientrare nel loro esercito nazionale. Otterranno ciò dopo quattro giorni di assurdo carcere ricevendo grandi encomi e premi a Napoli. L'impudenza di Anguissola lo fa restare tronfio tra gli invasori, dedito alla pirateria verso le navi mercantili napoletane che incrocia. Meritata ricompensa per lui sarà il giudizio di Cavour che in seguito lo porrà nella riserva con gli altri comandanti traditori, non potendo eguagliarli ai duci della marina sarda per quella che, da qualunque punto di vista la si osservi, rimane una macchia infamante in relazione al loro cambio di bandiera di fronte al nemico! Naturalmente Francesco II è adiratissimo per l'accaduto e, deviando dalla sua linea troppo moderata, ordina alla flotta a Napoli di salpare per Palermo per punire i traditori. Ma la regia del conte d'Aquila si rivela tempestiva ed opportuna, come magnificamente architettato dai destabilizzatori, convincendo i comandanti a restare in rada grazie specialmente all'opera sfrontata del cap.Vacca che, anche se fatto ammiraglio in seguito dai Sardi, avrà solo ricompense materiali perché subirà l'onta della sospensione dal servizio anche lui. Dunque i comandanti della flotta quasi si ammutinano nei confronti del Re dichiarandosi solo disposti al trasferimento dei Regi nell'auspicata ritirata sul continente; nessuna operazione bellica via mare sarà attuata nè direttamente contro gli invasori, nè indirettamente con il trasporto di uomini e mezzi di rinforzo. Il sovrano non sa ristabilire l'ordine e si limita a tollerare l'affronto, noleggiando, a prezzi esorbitanti per lo stato di necessità, navi mercantili francesi per inviare aiuti in Sicilia.

Il 19 luglio 1860 Clary, come già notato nelle occasioni precedenti, non è più capace di rattenere i suoi uomini. Decide allora di spedire il più solerte e contestatore dei suoi comandanti, Beneventano del Bosco, incontro al nemico con appena duemila soldati, ben conoscendo la consistenza degli invasori. "Parve mandato il Bosco a perdizione, acciò caduto lui tenuto in fama, si sgominasse il resto senza guerra": le parole con cui de'Sivo descrive l'avvenimento non abbisognano di alcun commento per comprendere appieno il momento storico.

La colonna regia va verso il fortino di Milazzo, in posizione praticamente imprendibile ed adeguatamente attrezzato con uomini e mezzi. Fuori della cittadina di Milazzo avviene il contatto con i rossi in schiacciante superiorità di 5 contro 1. Le avanguardie regie si ricongiungono col resto nell'abitato ove Bosco telegrafa a Messina e a Napoli per ottenere rinforzi come gli era stato prospettato inviandolo in avanscoperta. Le uniche risposte pervenute parlano di ostacoli di ogni sorta: dall'impossibilità di imbarcare celermente truppe (e le navi francesi al largo noleggiate apposta?), alla necessità di non contravvenire ai desideri internazionali avversi allo sterminio dei "fratelli" garibaldeschi.

Bosco allora si aggrappa all'ultima speranza chiedendo alla nutrita guarnigione del forte di intervenire invece di stare a guardare lo spettacolo. L'accidioso comportamento del comandante sulle mura lo lascia definitivamente solo. Tuttavia il morale nella situazione disperata cresce ancor più nei cuori dei soldati napoletani e nella contrada di Santa Marina con cieco furore viene assalito il nemico. Un drappello di cavalleria carica lo stato maggiore di Garibaldi, colpendolo e disarcionandolo, anche se immediatamente i suoi si arroccano intorno a lui, semplicemente ferito di striscio a un piede, e gli salvano, con pesanti perdite, la vita. Oltre mille garibaldeschi sono lasciati freddi sul campo contro poche decine di caduti dei Regi. Ciò nonostante la situazione rimane insostenibile e si aggrava sempre di più per l'enorme disparità di forze. Il prode Bosco decide pertanto di ritornare a Milazzo per pugnare casa per casa contro il preponderante ma vulnerato avversario. Ma l'Anguissola fa sparare dalla sua nave, ormai battente bandiera piemontese, contro gli ex commilitoni in difficoltà vietandogli la mossa e costringendoli a ripararsi nel forte. Clary, col grosso dell'esercito nazionale, a sole 22 miglia dalla fortezza (che dominava coi cannoni l'invasa città e conteneva uomini pressochè intatti e bramosi di combattere), poteva intervenire e seppellire sotto le macerie di Milazzo gli invasori, assai malconci e ricevuti con estrema freddezza dalla popolazione. Invece un ridicolo consiglio di guerra, tenuto dal comandante in capo con altri degni compari venuti precipitosamente dalla capitale temendo un suo cambiamento d'umore, decide la tanto desiderata (per loro) ritirata sul continente. In effetti subito dopo l'impari battaglia, a Portici il Re aveva parlato finalmente in guisa dura ai ministri arrivando a proporre la rottura diplomatica con Torino, le cui responsabilità erano fin troppo evidenti. Ma la colorazione del gabinetto Spinelli lascia disperdere il suo sacro furore nel nulla. Pur tuttavia quella parte della quinta colonna, come Nunziante e Pianelli, propensi ad un accordo federativo col Piemonte, non riesce a tollerare la sconfitta di Milazzo, che già si sta reclamizzando per il mondo come gravissima per i Borbonici ed eroicamente ottenuta dai garibaldeschi, che può far loro sfuggire di mano gli avvenimenti, girandoli completamente e velocemente a favore della politica perseguita da Cavour. A proposito delle falsità divulgate dai mass media sulla battaglia di Milazzo, assai significativo è il pagamento di Garibaldi (che ormai nuota nell'oro del Banco di Palermo a sua discrezione) al romanziere al seguito Alessandro Dumas di centomila franchi, non certo per sedicenti acquisti di fucili mai comperati nell'immediato futuro e comunque a totale disposizione negli arsenali abbandonati, che lo inducono con gratitudine a scrivere di "7000 Napolitani vinti da 2500 Garibaldini"!

Proprio dai massimi vertici parte allora un nuovo ordine di contrattacco a Clary. Il passaggio obbligato attraverso la flotta fa svanire anche questo inatteso tentativo; addirittura la marina si dichiara non più "Regia" ma "Nazionale"! Perché non aver adoperati gli strumenti adatti per riportare alla ragione l'armata di mare?

In questa maniera si concorda con Garibaldi la ritirata oltre lo stretto dei Napoletani, lasciando ad essi solo le fortezze da usare unicamente come presidio virtuale pronto a rispondere ad eventuali attacchi ma inabilitato a scatenare offensive autonomamente. La decifrazione dei patti porta a comprendere come il nizzardo si sia assicurato il passaggio sul continente rendendo inattivi i cannoni della fortezza di Messina, idonei a fermarlo indefinitamente.

Così gli arditi uomini di Bosco lasciano il forte assediato di Milazzo e s'imbarcano mestamente su quelle navi in cui avevano indarno sperato di scorgere quei rinforzi capaci di farli sgominare il nemico. L'amarezza è appesantita dal ludibrio che di loro si prendono i Sardi che fanno finta di bombardarli!.........

 

 

 

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