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MARSALA 150 PDF Stampa E-mail
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A MARSALA NESSUN EROISMO MA L’INIZIO DELLA TRAGEDIA DI NAPOLETANI E SICILIANI
Dopo 150 anni si ripropone a Marsala lo sbarco famoso dell'11 maggio 1860 come se la revisione storica non avesse dimostrato tutte le bugie scritte nei libri. Stavolta ci saranno i Neoborbonici per gridare la verità sull'inizio della fine dell'indipendenza e della grandezza delle Due Sicilie. Appuntamento al porto alle ore 10 di martedì prossimo.

 

L’11 maggio 1860 comincia l’invasione del Regno delle Due Sicilie con un’operazione narrata per 150 anni con una sfilza di bugie clamorose che il comune buon senso sarebbe sufficiente a demolire totalmente. Come si fa a bersi la fola di due bastimenti scalcagnati “rubati” sotto il naso della polizia sabauda, riempiti con poco più di mille volontari senza esperienza bellica e armati alla men peggio che sfidano la I flotta del mediterraneo e tentano di portare la rivoluzione nello stato borbonico dove, poco tempo addietro, un certo Pisacane ci aveva rimesso logicamente le penne?

Se si ragiona solo un po’ e collegando la presenza di Garibaldi, la flotta inglese e piemontese di scorta e l’inazione della marina borbonica, si può tracciare un quadro più accettabile di quanto accaduto. Garibaldi, ben sapendo di Pisacane, era partito naturalmente con altre garanzie fornite evidentemente da chi lo accompagnava con navi da guerra. Ma se i sabaudi lo aiutavano, crolla la favola della presa delle imbarcazioni a Quarto e diventa attendibile la “disattenzione” della polizia locale. Inoltre con appoggi di quel genere come non armare fino ai denti gli assalitori (episodio di Talamone) e come limitarsi a quelli normalmente assoldati dalla rivoluzione internazionale? Sulle navi sarde e albioniche dovevano esserci molti altri uomini veterani e in assetto di combattimento, altrimenti come spiegare l’ingrossamento della forza di sbarco nei giorni successivi quando l’apporto dei “picciotti” più che essere esiguo era assai poco affidabile? Documenti consultati individuano già nel porto di Marsala militari in divisa blu (non rossa!) che scendono dalle scialuppe, cioè soldati di Vittorio Emanuele! Altri documenti mostrano “garibaldini” con abiti indiani, cioè come le truppe coloniali inglesi…

Il traditore, comandante in capo a Palermo, Ferdinando Lanza sposta tempestivamente il col. Francesco Donati dalla zona dello sbarco con il suo battaglione di carabinieri borbonici ad Agrigento(sic!) in modo che gli invasori non trovino ostacoli militari terrestri. Sempre preventivamente le cosche mafiose, umiliate e indebolite dal buon governo borbonico, sono state assoldate per terrorizzare la gente e spianare la strada allo straniero. Quando tacciono gli inutili spari dei cannoni borbonici, un silenzio avvolge la città deserta che si apre davanti ai filibustieri di Garibaldi. Sulle porte sprangate delle case dei marsalesi spicca la scritta “proprietà inglese” in modo che siano almeno risparmiate dal sacco che la credenza popolare attribuisce alle scorrerie barbaresche. Questo è l’ <> sbarco dei “Mille” a Marsala. Non c’è quindi né da festeggiare gesta ardimentose (poiché tutto era accuratamente stato preparato per eliminare i rischi), né, tanto meno, celebrare avvenimenti storici (dato l’inizio della fine del Regno delle Due Sicilie e dell’indipendenza dei suoi abitanti e dei discendenti). Chi vuole invece osannare lo sbarco dei “Mille” o dice sesquipedali bugie sul loro valore oppure intende commemorare la morte del Sud per far rivivere il Nord in antica crisi socio-economica. In entrambi i casi, i Meridionali non devono partecipare in alcun modo ma cercare di far sapere la verità ai tanti loro fratelli ignari.

 

Dal “Saccheggio del Sud” dello scrivente riportiamo alcuni passi su Marsala 11-5-1860.

 

“La paradossale sicurezza ottenuta pagando gli uomini giusti, fa circolare per l'Europa e per l'Italia (naturalmente anche a Napoli) il nome del porto ove sarà accesa la miccia che farà esplodere il Regno. A riprova di questo assunto v'è il fatto che il giorno prima dell'arrivo degli invasori, navi britanniche entrano nel porto di Marsala e ne ingombrano la banchina con masserizie varie per ostacolare un sempre possibile tentativo di difesa dei Napoletani.

A Talamone Garibaldi, ostentando la divisa di generale sardo che ufficialmente non potrebbe più indossare, consegna al comandante del forte l'autorizzazione del Ministero della Guerra di Torino per il prelievo di rifornimenti di ogni sorta e quantità. (…)

La sera del 10 maggio 1860 i due legni di Garibaldi sono avvistati nelle acque territoriali e parte dal comando di Napoli l'ordine di fermare con ogni mezzo la spedizione prima che prenda terra l'indomani, diretto alla piccola flotta che sorveglia le coste sicule formata dalla fregata Partenope e dagli incrociatori Stromboli e Capri. Il capitano di quest'ultimo bastimento da guerra, Marino Caracciolo (la forza dei nomi è a volte sorprendente!), riesce a convincere gli altri a disattendere gli ordini, facendo l'11 maggio impunemente passare le navi garibaldesche. Il "Piemonte", con a bordo Garibaldi, entra nel porto come al rimorchio di un battello inglese. Ma all'imboccatura del porto è in attesa lo "Stromboli" che segnala di essere in procinto di aprire il fuoco. Frattanto anche il "Lombardo" è sopraggiunto e per primo sta per incominciare le operazioni di sbarco favorite dalla presenza di un nugolo di barche piemontesi e di carriaggi vari sulla banchina per il celere allontanamento degli stranieri arrivati. Inoltre, si ripete, dappertutto sono disseminati mercanzie e marinai inglesi. Quest'ultima circostanza fornisce all'ammiraglio britannico la preconfezionata scusa per chiedere al comandante napoletano Acton di attendere il ritiro dei sudditi di Londra per sparare, per non correre il rischio di colpirli. Naturalmente tale assurda petizione sarebbe stata inascoltata in qualsiasi altra nazione del mondo se a recepirla ci fosse stato un leale duce indigeno. Acton, invece, non aspetta altro per perdere tempo e aderisce subito. Ovviamente quando l'ultimo masnadiero in camicia rossa o, come la maggioranza, senza segni di riconoscimento come veri banditi, si è allontanato sui carri, dopo essere serenissimamente sbarcato in armi in terra straniera con la marina militare di fronte, anche l'ultimo marinaio albionico risale sulle sue navi. A questo punto il copione della commedia che si sta recitando prevede le cannonate dimostrative dei regi: alcune salve scuotono il molo ferendo di striscio qualche imprevisto ritardatario. Il tradimento di Acton è provato dal fatto che mentre dal "Lombardo" si scendeva a terra colla determinante protezione inglese che aveva ottenuto di non far sparare sulla banchina, se fosse stato in buona fede, cioè solo soggiogato dalla bandiera britannica, poteva comunque far fuoco sul "Piemonte" in attesa solitaria e con a bordo Garibaldi. Per di più l'ineffabile Acton invece di mandar giù i suoi uomini all'inseguimento dei garibaldesi che, stanchi e spaesati, potevano essere impegnati attirando l'attenzione delle truppe di terra, pensa bene di impossessarsi delle navi di Garibaldi ormai vuote. Di questa "cattura" se ne vanterà persino a Napoli!

Per rendersi meglio conto dell'essenza degli avvenimenti è bene riflettere sulle parole proferite dal premier inglese Russel al Parlamento del suo paese che sono rivolte non tanto a scagionare lo sfacciato comportamento delle proprie navi, quanto a mettere in significativa evidenza l'inazione della flotta napoletana non solo nei confronti degli invasori ma anche delle numerose imbarcazioni piemontesi che li aiutavano.

A bollare definitivamente di tradimento i duci napoletani ci pensa personalmente Garibaldi che loda pubblicamente il decisivo lavoro del cap.Caracciolo nel comportamento della flotta regia.

L'invasione di una banda di malviventi stranieri (perché in massima parte ricercati da qualche polizia) coll'appoggio determinante di due stati con cui il Regno ha ufficialmente amichevoli relazioni diplomatiche, porta immediatamente a decise proteste di Napoli in tutta Europa. Alle parole sebezie seguono quelle della Cancelleria di Berlino contro Torino, quelle di Vienna contro Parigi e Londra, quelle zariste che minacciano addirittura interventi armati russi contro i Savoia. Scorre un fiume di concitate parole ma assolutamente nessun fatto concreto viene dalla civilissima Europa in soccorso delle Due Sicilie. Come già detto, non è più il tempo di Metternich, in cui un patto d'onore legava i grandi stati ad ognuno dei quali era legato uno stato minore. Lo sviluppo capitalistico ha concentrato da una certa parte la potenza economica e quindi la rigorosa politica conseguente; l'altra parte, pur annoverando grosse potenze come l' impero russo e quello austriaco, non è sostenuta dai ceti emergenti che dominano sempre più secondo la più stretta logica economica ed è, pertanto, progressivamente inferiore.”

V.G.

 

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