Il solito cronista di provincia è scivolato pesantemente sulla storia patria. Su un giornaletto di Nocera ha citato, parlando della situazione politica locale, uno dei luoghi comuni inventati dai nostri colonizzatori: Facite ammuina. Nell'invitare a riempire di proteste il sito redazione@noceranotizie.it , riportiamo l'esauriente risposta del coordinatore nazionale del Movimento Neoborbonico A. Romano. L'apoteosi della mortificazione identitaria di un SUD sottomesso anche culturalmente è degnamente rappresentata dalla malefica storiella del "Facite Ammuina". E' sconfortante constatare come già parecchie volte si è dovuto impegnare tempo e pazienza per lavarci il fango sbattutoci in faccia con questa oltraggiosa caricatura. Tuttavia occorre ricordare altresì che proprio grazie a queste "sottili trame demagogiche" se sono partite numerose spinte revisioniste. E' il caso di dire che non tutti i mali vengono solo per nuocere. Tuttavia, premesso che chi tace acconsente e che nessuno dei maggiori cattedratici nostrani, pur conoscendo la verità, si è mai disturbato a smentire quanto maleficamente è stato costruito per far sorridere offendendoci, in passato per qualcuno di loro è stato certamente imbarazzante confrontarsi con "noi" su un argomento storicamente nullo perché privo di un benché minimo conforto documentale. E' chiaro, quindi, che si può affermare senza timore di essere smentiti che il famigerato articolo n. 266 "Facite Ammuina" è un'invenzione denigratoria di bassa lega essendo priva di qualsiasi benché minimo supporto documentale. Quello che va in giro e che qualcuno giura di aver visto non è altro che una miserabile montatura. E potremmo finire qui. Ma nostra intenzione è quella di dimostrare anche il livello di becera ignoranza di chi, con "un'innocente" invenzione, ha cercato, riuscendovi, di rinvigorire le offese, la maldicenza ed il disprezzo sulla nostra storia e sulla nostra gente. Va innanzitutto detto che fin da Carlo, primo re delle Due Sicilie, mai alcun regolamento, legge, prammatica o consuetudine è stata scritta, stampata o letta in napoletano. Ciò dovuto anche e soprattutto al noto rigore formale dei maggiori giuristi di un Regno che annoverava tra i suoi indiscussi primati le migliori cattedre mondiali del diritto. Tant'è vero che Cavour, prendendo atto che l'Armata di Mare delle Due Sicilie era di gran lunga più addestrata, organizzata, preparata e "regolamentata" di quella sarda decise, tra l'altro, di inglobarne "di peso" anche tutti i regolamenti militari. A questo punto vi immaginate un piemontese che prende ordini in napoletano? Un altro elemento non meno importante è che l'Armata di Mare del Regno delle Due Sicilie si è chiamata Real Marina solo nel periodo murattiano. Tra l'altro è da notare che il fantomatico "Maresciallo in capo dei legni e dei bastimenti della Real Marina - Mario Giuseppe Bigiarelli", firmatario di una delle due copie in giro dei famigerati regolamenti, non risulta tra le migliaia di nomi in nostro possesso anzi, e la cosa ci insospettisce non poco, un certo Ten. Vasc. Mariano Bigiarelli compare tra i nomi degli ufficiali italiani della Regia Marina Militare Italiana di stanza a Napoli nel 1900. Non è che forse proprio qualche marinaio italiano in una forma di manzoniana memoria ha accreditato ai regolamenti dei Borbone ciò che in quel tempo, invece, accadeva sui "legni" italiani?
Cap. Alessandro Romano
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