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Home arrow Storia arrow Storia del Regno arrow UN RITRATTO DI PIO IX ALLA REGGIA DI CASERTA

UN RITRATTO DI PIO IX ALLA REGGIA DI CASERTA PDF Stampa E-mail

Nella piccola cappella dedicata a Pio IX (al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti) della Reggia vanvitelliana, già sede di un oratorio di corte, è esposto un ritratto marmoreo raffigurante il pontefice su menzionato. Questa scultura è stata eseguita da Lorenzo Bartolini (Prato, 1777 – Firenze, 1850). Tale opera, al di là del suo pregio artistico, è la testimonianza del felice rapporto politico-religioso che, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta del XIX secolo, si instaurò tra il pontefice e la dinastia borbonica, al tempo rappresentata da re Ferdinando II.

Il ritratto è un busto in marmo di Carrara alto 105 cm circa. Nella parte posteriore è incisa la seguente iscrizione: NEL MESE DI MARZO 1847 BARTOLINI MODELLO’ IN ROMA D’APPRESSO S.S. PIO IX / FACEVA IN MARMO IN FIRENZE IL 21 LUGLIO 1849 PER IL PRINCIPE ANATOLIO DI DEMIDOFF. Dalla biografia di Lorenzo Bartolini, scritta dal Tinti nel 1936, sappiamo che l’autore incontrò non poche difficoltà nel realizzare il ritratto suddetto. Pare che Pio IX posasse per lui in maniera alquanto distratta e frettolosa. Lo scultore deluso da tale atteggiamento lasciò Roma e ritornò a Firenze. Questa decisione fu poi da lui spiegata in una lettera destinata al suo amico Benericetti-Talenti. Nonostante il trascorrere di alcuni mesi, l’indifferenza del pontefice al ritratto non mutò. Bartolini ebbe modo di completare l’opera, presso la sua bottega fiorentina, soltanto quando gli fu spedito, dal Vaticano, il goletto papale che Pio IX indossava abitualmente. L’arrivo di questo indumento ecclesiale gli consentì di ultimare alcune rifiniture del busto. L’artista nuovamente amareggiato per il disdicevole comportamento assunto dal papa, ma anche dalle sue ambigue posizioni politiche, vendette il ritratto al principe Anatolio Demidoff. Questi, successivamente, lo regalò al pontefice, il quale, a sua volta, lo donò, insieme alla coppa in alabastro che oggi si conserva nella Sala di Marte del palazzo vanvitelliano, a Ferdinando II. Il Borbone accettò di buon grado i due “presenti” papalini, ma sapeva, in cuor suo, che di certo non erano stati fatti in maniera disinteressata, bensì essi rappresentavano il riconoscimento di un sostegno politico di non poco conto. E’ a tutti ben noto l’episodio che vide Pio IX tradire le scelte, precedentemente da lui stesso adottate, costituzionali, che da tempo erano state richieste dai maggiori esponenti romani del pensiero liberale. L’antefatto ci ricorda che il pontefice, nel marzo del 1848, concesse la Costituzione, ma anche che la sua riforma non fu certamente espressa attraverso nuovi criteri legislativi ed amministrativi, frutto del pensiero moderno, ma che, al contrario, nascondeva una evidente volontà a stabilire dei proficui compromessi con le forze patriottiche del momento. Ma tali comportamenti crearono non pochi malintesi, essi fecero capire al popolo, specialmente quando lo stesso pontefice autorizzò alcune truppe volontarie e regolari a partire per il nord e a schierarsi con l’esercito piemontese impegnato in duri scontri con quello austriaco, che il papa fosse una sorta di novello Cristo giunto in terra a diffondere nuove idee liberali e rinnovatrici. Il suo mito accrebbe maggiormente quando egli, durante il saluto alle milizie romane in partenza per il Piemonte, pronunziò la seguente frase: “GRAN DIO BENEDITE L’ITALIA”. Ad aprile dello stesso anno l’equivoco fu chiarito. Il pontefice dichiarò di non voler partecipare alla guerra contro l’Austria, adducendo ad una serie di motivi prettamente religiosi. Il mito del papa liberale così cadde, e, nell’immediato, fu sostituito da quello del pontefice traditore. Intanto Pio IX, nel tentativo di placare la popolazione e guadagnar tempo, istituì una serie di governi non dichiaratamente costituzionali. Il malcontento dei romani sfociò nella rivoluzione, e il vicario di Cristo, fortemente intenzionato a salvare la propria pelle, scappò dalla capitale papalina chiedendo asilo politico a Ferdinando II. La storia inoltre ci insegna che Pio IX non si rifugiò presso la reggia vanvitelliana, ma nella cittadina di Gaeta. E per strani scherzi del destino, quel suo ritratto in marmo, eseguito da Lorenzo Bartolini, che, l’anno precedente, egli aveva tanto snobbato, gli tornò utile come dono da fare al Borbone, in cambio della preziosa ospitalità ricevuta.

 

 

Luigi Fusco

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