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TOMMASO DE VIVO PDF Stampa E-mail

TOMMASO DE VIVO ACCADEMICO ATELLANO AL SERVIZIO DEI BORBONE

L’antica città  di Atella, tra le sue tante beltà storico-artistiche ed archeologiche, ed i suoi innumerevoli personaggi storici, verso la fine del XVIII secolo, ha dato i natali anche al pittore Tommaso De Vivo. Nato da Pietro ed Elisabetta Marchesoni, l’artista atellano iniziò il suo apprendistato presso la Real Accademia di Belle Arti di Napoli. Ancora adolescente De Vivo conseguì la specializzazione in pittura eseguendo diverse copie di alcuni dipinti Cinque-Seicenteschi, conservati nel Real Museo Borbonico della capitale partenopea. I livelli raggiunti nell’arte del copiare gli consentirono, successivamente, di entrar a far parte di svariati circoli intellettuali composti dalla miglior nobiltà napoletana, nonché dalla più stimata borghesia locale. Principi, marchesi, avvocati e notai furono i principali acquirenti delle opere dell’atellano. La signoria partenopea tanto ambiva ad avere dentro casa una copia di un Caravaggio, Raffaello o Ribeira eseguita da Tommaso De Vivo. Un suo dipinto sostituiva egregiamente l’originale e rendeva alla parete, verosimilmente tappezzata in seta di San Leucio, di un appartamento di un qualsiasi palazzo, probabilmente sanfeliciano, un prestigio a dir poco effimero, ma quanto più efficace nel sostituire l’autentico. L’amicizia con il marchese Luigi Medici consentì al De Vivo di ricevere la protezione del sovrano Francesco I di Borbone; questi assegnò al pittore un sussidio di 24 ducati mensili, perché andasse a Roma a perfezionarsi nella disciplina pittorica. Nella capitale pontificia l’atellano conobbe l’arte del Landi e del Camuccini. Presso la città eterna De Vivo si esercitò nel disegno ed apprese i fondamenti dell’arte romana. Il soggiorno romano fece conoscere al De Vivo anche i grandi capolavori del Cinquecento e del Seicento, rispettivamente rappresentati dalle opere di Raffaello e Caravaggio. Nonostante gli entusiasmi dovuti alla nuova esperienza artistica al di fuori della propria patria, l’autore campano mantenne sempre forti legami con l’ambiente culturale insito nella cittadina napoletana. Gli anni Trenta del XIX secolo segnarono per Tommaso De Vivo il suo ritorno a Napoli e l’investitura di pittore della Real casa borbonica. Egli riuscì ad accattivarsi le simpatie dei sovrani partenopei nel 1830, quando presentò alcuni suoi lavori all’Esposizione Borbonica. Per l’occasione l’atellano dipinse “Diomede che scende dal Carro”, tela oggi esposta al Museo e Gallerie Nazionali di Napoli; “San Francesco di Paola in Estasi” ed un “Ritratto virile”, entrambi copie di Guido Reni; infine realizzò “Il soccorso all’indigenza”, opera attualmente conservata nei depositi della Reggia di Caserta. La committenza reale diede la possibilità al De Vivo di creare diverse opere di gusto seicentesco, marcatamente naturalistiche ed, in qualche caso, esclusivamente caravaggesche. Ma la “tempeire” culturale dell’Ottocento romantico influì non poco sulla sua pittura. Il richiamo e la celebrazione della cultura medioevale riecheggiò nelle tele di Tommaso De Vivo; le architetture romaniche e le scenografie gotiche divennero i soggetti principali di numerose sue rappresentazioni. Ma di fondo la sua cultura fu impregnata di elementi e dettami squisitamente accademici. Ed è proprio tal caratterizzazione, forse un po’ reazionaria, ma anche conservatrice, che offrì una ulteriore opportunità all’artista originario di Orta di Atella, cioè di ricevere alcuni incarichi relativi alla decorazione, attraverso specifici dipinti, di alcuni ambienti del palazzo reale casertano. Tra il 1845 ed il 1846 De Vivo eseguì la “Sibilla fa osservare ad Enea Tizio incatenato alla rupe, divorato dall’avvoltoio”, la “Zingara predice a Sisto V l’ascesa al pontificato” ed il ritratto di papa Pio IX. Tutte opere sapientemente ispirate all’idea, di tipo rinascimentale, di forma, grandezza, purezza e rispetto della composizione pura ed equilibrata, tanto cara all’arte degli antichi greci e romani. Il favore raggiunto negli anni di Ferdinando II di Borbone diede la possibilità al De Vivo di diventare tra i principali e più importanti pittori attivi a Napoli nella prima metà del XIX secolo. La sua gloria, la sua bravura, e non ultima la sua notorietà, vennero ripagate dal “re Bomba” da una serie di incarichi all’interno della Real Accademia di Belle Arti. La sua fama venne poi ricordata da un altro autore partenopeo, verosimilmente un suo allievo all’Accademia, e presumibilmente di origini atellane, di cui però conosciamo il nome; e questi, appunto, celebrò il maestro attraverso un suo busto-ritratto, oggi esibito nel circolo “Tommaso De Vivo” di Succivo.

Luigi Fusco

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