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Associazione culturale Neoborbonica
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Un'altra picconata al risorgimento PDF Stampa E-mail

Che il revisionismo del risorgimento tosco-padano stia diventando di moda?

Forza e onore,

Mario Bellotti

Comitato Neoborbonico della Lombardia

(da www.opinione.it)

Edizione 171 del 08-08-2007

E' tutta un'altra storia

Pisacane, eroe e cavia
di Gilberto Oneto

Quello di Pisacane non è il primo tentativo di cercare di sollevare i meridionali contro i Borbone, e non è neppure la prima volta che Cavour tenta di impadronirsi del Regno delle Due Sicilie per interposta persona, facendo fare ad altri il “lavoro sporco” e proclamando la sua formale estraneità ai fatti. La prima volta che ci ha provato è nel 1854, durante la guerra di Crimea: aveva distaccato 100 ufficiali e 500 soldati piemontesi che, senza uniforme, avrebbero dovuto sbarcare a Reggio Calabria, come primo contingente di una invasione di altri gruppi di fuoriusciti italiani e ungheresi. L’operazione era stata fermata da Napoleone III che, nel bel mezzo di una guerra, non voleva inimicarsi i Borbone e gli Asburgo loro alleati. La seconda volta era stata nel 1855, quando Cavour aveva progettato di dirottare il corpo di spedizione sardo direttamente a Napoli, come avevano fatto Inglesi e Francesi col Regno di Grecia. Qualcuno ha addirittura pensato che la spedizione di Crimea era stata pensata dal diabolico Conte come un paravento proprio per sbarcare a Napoli. Secondo il generale Durando, che ha descritto queste vicende nel suo “Diario”, la macchinazione non sarebbe stata messa in atto per paura della marina napoletana.

Ma Cavour non molla: di nuovo nel 1856 ha pensato di poter fare sbarcare in Sicilia la “Legione anglo-italiana” che era stata formata per la spedizione in Crimea e mai utilizzata. La Sicilia avrebbe addirittura - nei suoi disegni - dovuto costituire il compenso per la partecipazione piemontese alla guerra. Il premier inglese era allora lord Palmerston, un uomo molto prudente, che è riuscito nell’occasione a dissuadere il focoso Conte, negandogli l’appoggio degli Inglesi, mancando il quale la “Legione anglo-italiana” si sarebbe ridotta a ben poca cosa. Arriva l’occasione del 1857: questa volta il piano è ancora più subdolo. Si utilizza un gruppo di esagitati mazziniani da cui si possono prendere le distanze, ma soprattutto li si usa come cavie per poter studiare le reazioni e i punti deboli dell’avversario e trarne profitto in una successiva spedizione più “concreta”. Insomma Pisacane viene cinicamente sacrificato come certi astronauti russi, per “aggiustare il tiro”, per mettere a punto, in accordo con gli Inglesi, il meccanismo della spedizione di tre anni dopo per la quale viene utilizzata un’altra pedina, Giuseppe Garibaldi, gradita ai mazziniani, ai sabaudi e al governo britannico. In caso di tentennamenti del Generale (che puntualmente ci saranno) è pronto un altro avventuriero di riserva, un altro nizzardo, il colonnello Ribotti..

Nel ricompensarne la figlia, lo stesso Garibaldi ha mostrato, forse inconsciamente, gratitudine nei confronti di Pisacane, mandato avanti a tastare il terreno. Ci sono interessanti analogie nello svolgimento delle due spedizioni. E’ lo stesso il fornitore dei mezzi di trasporto (quel Rubattino che fa ogni volta finta di farsi “fregare” le navi ma che se le fa pagare prima e anche dopo), è identica la manovalanza patriottica, è la stessa l’ipocrisia del governo sardo che appoggia ma fa finta di non sapere, è del tutto simile la presenza della flotta inglese che segue con discrezione e da neanche troppo lontano lo svolgersi degli eventi. Assolutamente uguale è anche il risvolto farsesco dei due comandanti che si lanciano nell’avventura in un momento di grave depressione personale e per fuggire a una storia di corna. La lezione è servita: nel 1860 si evita di sbarcare in territori non strettamente controllati (in Sicilia la Mafia si preoccupa di “convincere” i locali a non opporsi ai nuovi venuti); non viene più commesso l’errore di imbarcare solo mazziniani; si provvede a “convertire” alla bontà della causa italiana gli ufficiali napoletani con ricche promesse e cotillons; gli Inglesi non si limitano più a controllare ma prendono parte attiva alla vicenda; e non ci si affida più alla raffazzonata buona volontà di patrioti meridionali ma si imbarcano padani idealisti, più disciplinati.

La vicenda di Pisacane ha altri strascichi che meritano attenzione. Il primo riguarda il calabrese Giovanni Nicotera. Questi è appioppato alle costole del Pisacane da Cavour, di cui è un agente. Catturato dai Napoletani se la cava facendo i nomi di complici, di sospetti e di chiunque gli capita a tiro pur di salvarsi la pelle. Un antesignano dei “pentiti” e dei “collaboratori di giustizia”: per questi servizi è graziato da Francesco II, imprigionato e tirato fuori dai garibaldini nel 1860. Per ripulirsi la coscienza, adotterà – come si è detto – la figlia di Pisacane. Riprende la sua attività di patriota stipendiato con Bettino Ricasoli, che lo incarica, nello stesso 1860, di organizzare una Legione toscana che deve invadere lo Stato pontificio. Per qualche ragione (le vicende dei servizi segreti sono sempre misteriose) non ha più le simpatie di Cavour: forse aveva parlato troppo a Napoli? Cavour si rivolge al Ricasoli chiedendogli di liberarsi del Nicotera, accusato di intitolarsi “da sé colonnello brigadiere di una Brigata che non esiste nei quadri dell’Armata”. Certi personaggi della storia italiana sono però inaffondabili e ritroviamo qualche anno dopo il Nicotera, deputato al Parlamento, che si occupa della repressione contro il brigantaggio meridionale.

Il secondo riguarda il piroscafo “Cagliari”. Mentre cerca di svignarsela da Sapri, viene catturato da due incrociatori napoletani che lo sequestrano in base alle leggi del Diritto marittimo internazionale, considerandolo giustamente “buona presa”, cioè come una nave pirata. Disgrazia vuole che a bordo si trovino però due macchinisti inglesi, Henry Watt e Charles Park. Questo dà a Cavour la scusa per imbastire tutto un gioco diplomatico finalizzato alla restituzione del battello. Se un normale arbitrato internazionale avrebbe affidato la nave ai Napoletani e si sarebbe limitato a fare rilasciare i due macchinisti, l’azione di Cavour e del governo inglese (che nel frattempo ha modificato il suo atteggiamento – non c’è più l’emergenza Crimea – ed è dichiaratamente ostile al Borbone) riesce a ottenere la riconsegna della nave, in seguito anche a minacciose azioni dimostrative della marina britannica.
Infine, come avverrà anche per la spedizione garibaldina, l’atteggiamento di Cavour è improntato alla peggiore ambiguità. Organizza e finanzia la spedizione di Pisacane ma fa finta di non saperne nulla, per poterlo rinnegare in caso di insuccesso.

Il 16 maggio scrive al suo ambasciatore a Napoli, il conte Gropello: “Non appena seppi ciò che era accaduto a Ponza e a Sapri m’affrettai, per mezzo di Vostra Eccellenza, a manifestare al governo napoletano la profonda indignazione provata dal governo del Re alle notizie del criminoso attentato commesso contro la sicurezza di uno Stato amico”. E poi ancora: “La violenta scorreria di Ponza e di Sapri fu l’opera di pochi cospiratori, trascinati in una impresa disperata, e sarebbe un abusare del senso giuridico delle parole, confondere questi attentati – dei quali non si può dire sia più grande la colpa o la pazzia – colle legittime condizioni di una guerra aperta. Sarebbe la prima volta che una banda di uomini malvagi e faziosi fosse investita delle prerogative di parte belligerante. I fatti di Ponza e di Sapri hanno costituito un delitto di ribellione e di latrocinio, punibile colle leggi penali ordinarie”. E - senza ritegno -: “Questo fatto deplorevole e delittuoso ha suscitato l’indignazione del governo del Re, e questa indignazione è stata condivisa da ogni uomo sensato e onesto. Vogliate perciò esprimere a mio nome questi sentimenti ai ministri di Sua Maestà Siciliana”.
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